BUSSOLE | QDAT 63 | 2016
VISIONI / THE ASSASSIN
di Hou Hsiao-hsien / Spotfilms, 2016
Il niente e il qualcosa a duello
di Fausto Vernazzani
È probabile che sia impossibile da rintracciare una
definizione più appropriata di quella offerta dal critico
della rivista online di cinema asiatico easternKicks,
Stephen Palmer, riguardo all’operazione di Hou Hsiao-hsien
con The Assassin: “È come se
Tom Waits facesse la cover di una canzone delle Sugababes”
(Palmer, 2016). Il paragone offerto in una tavola rotonda digitale
immaginaria è estremamente appropriato, essendo The
Assassin il risultato del connubio di due generi e modi di
fare cinema assai distanti l’uno dall’altro: lo
slow cinema, di cui Hou Hsiao-hsien non è uno dei maggiori
rappresentanti contemporanei, ma certo tra i genitori del fenomeno, e
il genere, tutto cinese, del wuxiapan (武侠片, film di
arti marziali d’epoca, cappa e spada, abbreviabile anche in wuxia),
appartenente a una forma cinematografica tendente al commerciale,
devota all’azione sfrenata, ai combattimenti corpo a corpo e
con armi bianche.
The Assassin è l’adattamento di
un racconto breve scritto all’epoca della dinastia Tang
(618-907 d.C.) da Pei Xing, intitolato Nie Yinniang,
dal nome della protagonista. Nie Yinniang è la figlia di
dieci anni di un importante generale, presa di mira da una monaca il
cui desiderio è addestrarla per trasformarla in
un’assassina. Nel racconto di Pei Xing la storia si divide in
due parti con un’introduzione nella quale si narra di come la
monaca l’abbia addestrata per scopi immediati e distanti
venti anni nel futuro, che apre le porte al successivo racconto di Nie
Yinniang, il resoconto della sua vita prima dagli occhi del timoroso
padre Feng e poi del suo padrone Liu.
Hou Hsiao-hsien insieme alla storica collaboratrice Chu
Tien-wen, il romanziere e sceneggiatore Ah Cheng e lo sceneggiatore
Hsieh Hai-meng riscrive il racconto breve di Pei Xing per integrarlo
coi caratteri classici del wuxiapan.
The Assassin mostra l’addestramento in
bianco e nero e con una ratio in 4:3, promuovendo il passato di Nie
Yinniang (Shu Qi) con le passate forme del linguaggio cinematografico:
pochi minuti in cui conosciamo la Monaca addestratrice (Sheu Fang-yi),
la nostra assassina e il suo letale talento, di cui siamo testimoni
attraverso quei pochi secondi di rapidi movimenti che le bastano per
far crollare giù da cavallo senza vita la sua vittima. Il
presente prende la ratio e i colori saturati del cinema digitale
odierno, con una definizione tale da non lasciar respiro allo
spettatore, impegnandone lo sguardo nel raccogliere le centinaia di
dettagli improvvisamente apparsi per corredare le modifiche apportate
alla storia scritta da Pei Xing: Nie Yinniang ritorna dalla monaca
senza portare a termine una missione: assassinare un alto ufficiale.
Non lo ha ucciso perché, dopo averne osservata
dall’alto per ore la giornata spesa a giocare col suo
bambino, non è riuscita a trovare il coraggio per spezzare
l’idillio familiare. L’umanità non
è svanita in lei.
Tuttavia riceve un ulteriore ordine, andare nella provincia di
Weibo a uccidere il suo governatore, divenuto troppo potente e dunque
figura instabile per la Cina in cerca di unificazione, una
caratteristica sia della dinastia Tang che della precedente Sui, sulle
orme della più antica dei Qin, ma la missione ha un peso
particolare per Nie Yinniang: il governatore Tian Ji’an
(Chang Chen), oltre a essere suo cugino, era l’uomo a cui Nie
Yinniang era promessa prima che la monaca la portasse con sé
per trasformarla in un’assassina professionista. Hou
Hsiao-hsien ci presenta dunque la nostra protagonista con un dilemma
morale e sentimentale: portare a termine l’assassinio andando
contro le proprie emozioni e inclinazioni, oppure trattenere i propri
istinti innestati dalla monaca e difendere Tian Ji’an dai
pericoli disseminati sul suo percorso di vita?
Quanto Pei Xing aveva scritto con toni più riflessivi,
descrivendo addirittura un combattimento come l’apparente
lotta tra due bandiere incrociate l’una contro
l’altra e raccontando di un’altra combattuta dando
a Nie Yinniang le sembianze di un insetto, assume i caratteri del wuxiapan
convenzionale: le tematiche della vendetta, dell’amore,
rappresentate con una tecnica cinematografica aliena al genere.
Classici come A Touch of Zen (1971) e Dragon
Inn (1967) di King Hu o episodi più recenti come Ashes
of Time (1994) di Wong Kar-wai sperimentavano nella regia una
forte ricerca stilistica senza però mettere in discussione
neanche per un istante quanto era necessario per aderire al wuxiapan:
combattimenti spettacolari, una narrazione lineare e prorompente.
Dettagli del tutto assenti dallo scarno The Assassin,
dove le immagini perfette fanno da portavoce della storia, togliendo la
parola alle principali caratteristiche che muovono il genere a cui una
fetta degli spettatori suppone appartenga l’opera di Hou
Hsiao-hsien. Hou Hsiao-hsien ha creato un dibattito intorno al quale
due fronti opposti si sono scontrati: i fan di Tom Waits in un angolo e
quelli delle Sugababes nel secondo, volendo continuare a utilizzare la
metafora di Stephen Palmer. La cultura alta e la cultura bassa, intese
nel senso ormai confutato attribuito da studiosi come Theodor Adorno
tanto nella Dialettica dell’Illuminismo,
scritto con Max Horkheimer, quanto nell’Introduzione
alla sociologia della musica, si sono scontrate in campo
aperto aprendo l’ennesima discussione sulle distanze che il
cinema di qualità dovrebbe prendere dal suo disgraziato
fratello concepito come “bassa” macchina
macina-soldi. C’è chi ne dichiara
l’estraneità dal genere wuxiapan
alzando al cielo una croce come avesse dinanzi il diavolo, chi avrebbe
invece desiderato l’arte fosse stata messa da parte, per
dirla con un classico gioco di parole.
Nato nel Guangdong in Cina nel 1947 e cresciuto in Taiwan, a ben otto
anni dal suo ultimo film, il deludente debutto alla regia di un
prodotto non asiatico, Le voyage du ballon rouge,
Hou Hsiao-hsien con The Assassin dimostra di non
esser rimasto ancorato al passato, ma di essersi bensì
adattato alla nuova epoca delle contaminazioni in campo
cinematografico. Il cinema dei generi è infatti protagonista
di una rivalutazione internazionale grazie al suo potere di rendere i
confini invisibili, un’evoluzione produttivo-distributiva la
cui diretta conseguenza è stata la fusione di più
strumenti narrativi e stilistici del cinema in opere miste, veri e
propri meticci in cui è possibile incontrare di tutto, anche
un genere d’azione puro riprodotto con lo slow
cinema di cui sono maestri molti registi del sud est asiatico
come il filippino Lav Diaz, il thailandese Apichatpong Weerasethakul e
la filmografie del (semi)documentarista cinese Wang Bing.
È il niente in un gioco di specchi col qualcosa,
il nothing e il something
estratti dallo studioso Victor Fan dalla recensione di Kay Hoddy, in
cui The Assassin è messo a confronto con
la bellezza di un vaso Ming, tanto bello quanto privo di contenuti.
Victor Fan, tuttavia, dalla lotta tra il niente,
padrone apparente delle lunghe, silenziose e spesso vuote inquadrature
di registi come Tsai Ming-liang nel suo ultimo Stray Dogs,
un contemporaneo e connazionale di Hou Hsiao-hsien, e il qualcosa,
l’iperattività del genere wuxiapan
degli anni Settanta, e perché no della trilogia di Zhang
Yimou e del celeberrimo La tigre e il dragone di
Ang Lee, estrae proprio quest’ultimo: dinanzi a uno specchio
il niente mostra qualcosa, ed
è proprio se stesso. Il niente di Hou
Hsiao-hsien è quel vuoto emozionale in
cui si risveglia una scintilla di vita e desiderio per la Nie Yinniang
incarnata da Shu Qi.
Il niente di The Assassin
è osservato nell’assenza dei segni, quali numerosi
dialoghi, un’azione forte e la rapidità della
macchina da presa, nonché il rispetto del suo ruolo di
subordinazione nei confronti degli attori protagonisti. Il niente
voluto da Hou Hsiao-hsien è però dotato di senso
e ricorda allo spettatore come il significato delle immagini svuotate
non debba essere per forza di cose ricercato al di fuori di esse
stesse, soprattutto quando l’occhio della cinepresa viene
fatto coincidere con quello del pubblico. Dietro le scelte di Hou
Hsiao-hsien risiede, infatti, il desiderio di ristabilire un forte
contatto, una spinta alla partecipazione a chi siede nelle sale:
posizioni da osservatori, da non confondere con le soggettive, lettori
dell’animo di Nie Yinniang, per cui viene concessa una chiave
speciale, quel niente da riempire col nostro qualcosa.
Sulla rivista online di critica cinematografica, Quinlan,
Raffaele Meale conclude con queste parole: “The
Assassin ricorda cosa sia l’essenza
dell’immagine, e cosa significhi avere
uno sguardo”. Il resuscitato cinema di Hou Hsiao-hsien lo
possiamo dunque definire partecipativo, devoto a una forma di
rappresentazione incompleta senza la presenza di un pubblico che abbia
uno sguardo e non sia solo un paio di occhi fermi
a guardare. Tutto sta nell’accettare le varie forme di
linguaggio utilizzate nel cinema, non sempre quelle a cui siamo stati
educati negli anni, come coi film di King Hu e Chang Cheh, di Zhang
Yimou e Tsui Hark, entro cui spesso e volentieri rientra anche
l’atteggiamento interrogativo e indagatore del pubblico
partecipante.
Proprio per questa ragione ci può essere, appunto, chi si schiera da un lato o l’altro del ring, con Tom Waits o con le Sugababes.
LETTURE
— Theodor Adorno, Introduzione alla sociologia della musica, Einaudi, Torino, 2002.
— Theodor Adorno, Max Horkheimer, Dialettica dell’Illuminismo, Einaudi, Torino, 2010.
— Victor Fan, The Something of Nothing: Hou Hsiao-Hsien’s “The Assassin”, in The Los Angeles Review of Books, 29 dicembre 2015,
— https://lareviewofbooks.org/article/the-something-of-nothing-hou-hsiao-hsiens-the-assassin
— Kay Hoddy, The Assassin, in easternKicks, 3 agosto 2015, http://www.easternkicks.com/reviews/the-assassin-2015
— Bogna Konior, The Assassin, in easternKicks, 11 agosto 2015, http://www.easternkicks.com/reviews/the-assassin-2015-alt
— Raffaele Meale, The Assassin, in Quinlan. Rivista di critica cinematografica, 22 maggio 2015, http://quinlan.it/2015/05/22/the-assassin
— Stephen Palmer, easternKicks reacts! The Assassin, in easternKicks, 20 maggio 2016,
— http://www.easternkicks.com/features/easternkickers-reacts-the-assassin
VISIONI
— Hou Hsiao-Hsien, The Assassin, Studio Canal, 2016.
— King Hu, A Touch of Zen, Eureka Entertainment, 2016.
— King Hu, Dragon Inn, Eureka Entertainment, 2015.
— Ang Lee, La tigre e il dragone, Rai Cinema, 2010 (home video).
— Tsai Ming-liang, Stray Dogs, New Wave, 2015.
— Kar-Wai Wong, Ashes of Time Redux, Rai Cinema, 2010 (home video).
— Yimou Zhang, Hero, Eagle Pictures, 2008.