| |
È anche per questo – e non tanto per il banale dato della follia di Nannetti,
del motivo per cui era “ospite” del manicomio – che
viene automatico pensare a Foucault, e ai suoi lavori
sulla follia e la reclusione. Il discorso di Nanof è infatti ininterrotto, disordinato, strabordante.
Il muro del cortile ne è saturo, letteralmente. E costringe a pensare alle parole che Michel
Foucault dedica in L’ordine del discorso alla follia e al suo statuto: … l’immenso discorso del pazzo, che diventa
rumore…[4] Ma contemporaneamente, come scrivevo in apertura, il ritmo
del Graffito rimanda anche ad altro, alle comunicazioni di massa, al modo
comunicativo dei new
media. Alla televisione e alla Rete, insomma. Ne è
una ipotesi di raffigurazione, proprio per il suo incalzare, riempire gli
spazi, usare parole, immagini, simboli, mescolandoli fra loro – e producendo un
nuovo modo di espressione. Tutto dentro la società di massa e la tarda
modernità. Nanof è a cavallo di molte culture,
insomma, e di molti saperi. Quello della tecnologia
novecentesca della fabbrica e del movimento: la turbina, la corriera.
Quello della comunicazione: le antenne televisive. Quello
alchemico delle corrispondenze fra cose e sostanze diverse: i colori, i numeri,
i metalli associati fra loro in una delle più belle figure incorporate
nel suo libro. Quello del numerico e del digitale: la sua “tabella pitagorica”. Nanof apre la strada a Gaiman, e al suo American
Gods,[5]
a Hartley e al suo La città che dimenticò di respirare,[6]
ma forse più di tutti a Erik Davis
e al suo Techgnosis.[7]
In questo senso si colloca nella scia delle avanguardie
storiche e anticipa la modularità ipertestuale del computer e della rete. Come è impossibile, osservando il
Graffito, non cogliere i sotterranei legami con la grafica di Karel Thole, quando illustra Dick; con alcune sequenze di Dark City, quando il detective Bumstead
interroga un suo ex collega da tutti considerato ormai pazzo, nel suo antro
ricoperto di graffiti, grafici, tabelle, matrici;[8]
con alcune tavole del Codex Serafinianus.[9] Ma, più di tutto, oltre queste
contiguità, che possono tutto sommato apparire casuali, dovute a coincidenze,
come non cogliere l’analogia fra la dimensione di flusso del Graffito e le
raffigurazioni dello scorrere dei dati in linguaggio-macchina nei computer,
come ad esempio in Matrix. Un discorso percepito nel sentire comune (e spesso non
solo) come frammentario e inconcludente, ma che nel graffito di Nanof conquista una dimensione organizzata e coerente, ipertestuale e multimediale, che aspetta solo il suono e il movimento per
dispiegarsi nella sua piena espressività, e parlarci del nostro e di altri spazio/tempi, interiori e alieni. Un compito chissà quando e dove sotterraneamente assegnatogli, che l’alieno Nanof obliquamente, sinuosamente, conduce.
[4] M. Foucault, L’ordine del discorso, Einaudi, Torino,
[5] N. Gaiman,
American Gods,
Mondadori, Milano, [6] K. J. Hartley, La città che dimenticò di respirare, Einaudi, Torino, 2006.
[7] E. Davis, Techgnosis,
Ipermedium, Napoli, 2001.
[8] A. Proyas,
Dark City,
| |
[1] (2) |