LETTURE / TRANSMEDIA. STORIA, MEMORIE E NARRAZIONI ATTRAVERSO I MEDIA
a cura di Clodagh Brook ed Emanuela Patti / Milano-Udine, Mimesis, 2015 / pp. 256, € 7,90 e-book
Una questione di immaginazione
di Adolfo Fattori
Il romanzo non scomparirà mai. Perché non morirà mai la necessità antropologica degli umani di narrare e di narrarsi. Anzi, con il moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione – e dei supporti che li sostengono – i romanzi trovano nuove strade per esprimersi e prosperare. Mutano forma, si ibridano, accolgono in sé altri formati di testo, ma non deperiscono e non si ritirano dall’universo delle forme comunicative. Questo già da molto prima dell’avvento del web e del digitale, che ha fatto esplodere la tenace, caparbia tendenza della narrazione a manifestarsi.
È da questa consapevolezza che Clodagh Brook ed Emanuela Patti, i due curatori di Transmedia, partono per sviluppare le proprie considerazioni e introdurre gli altri studiosi che partecipano al volume. E non è scontato, ma necessario che nelle loro considerazioni i due ricercatori partano da alcuni dei colossi della narrativa del Novecento, come Jorge Luis Borges e Italo Calvino – grandi esploratori dei mondi del fantastico – per mettere in primo piano l’emergenza di una necessità – o l’espressione di un dato di fatto: di come la narrazione sia di per sé, tendenzialmente, fatta per colonizzare i media più disparati – e che i mezzi di comunicazione siano fatti per ospitare le varie forme del raccontare.
D’altra parte, la modernità già aveva esplorato le possibilità di migrazione dei testi narrativi da un medium ad un altro, attraverso adattamenti e riduzioni, ad esempio. Basti pensare all’enorme successo che prima ancora che emergessero in pieno cultura e società di massa ebbe la trascrizione per il teatro del Frankenstein di Mary Wollstonecraft Shelley (Prawer, 1981), o – man mano che le tecnologie utilizzabili si facevano sempre meno costose – all’introduzione di immagini nei libri di narrativa, a partire da quella di genere (Brancato, 2003); o che il romanzo già sperimentava dal XVIII secolo formati altri: le lettere, i diari, i telegrammi, come fecero Johann Wolfgang Goethe e Bram Stoker rispettivamente in Le affinità elettive e nel Dracula…
Il Novecento porta a compimento questo processo, moltiplicando i media disponibili: cinema, radio, fumetto diventano canali nuovi, già interscambiabili, di diffusione delle narrazioni, a partire da George Méliés e nei suoi film ispirati ai romanzi di Jules Verne. Per poi riflettersi – rispecchiandosi e rimediandosi – nelle forme stesse del linguaggio narrativo: il racconto si fonde col saggio, come in Robert Musil, Hermann Broch, Gottfried Benn; gli scrittori del noir americano, come Dashiell Hamett e Raymond Chandler esibiscono un montaggio del testo già intriso dei formati di scrittura per il cinema. Ma qui, ancora, siamo in una cornice in qualche misura di superficie, come in un mondo a due dimensioni. Il cambiamento vero, quello che produce gli spazi per l’espressione completa della transmedialità non può che avere le sue radici nel periodo che vede l’emersione di quella atmosfera che definiamo “postmoderno”, in cui, come sostiene Fredric Jameson, tutto diventa un testo, un oggetto comunicante, perciò interpretabile come oggetto estetico, e quindi dotato di una qualità narrativa intrinseca, sdoganando di conseguenza definitivamente i generi letterari da gerarchie e differenze, e insieme a questi i media come canali di diffusione delle narrazioni (cfr. Jameson, 2007).
È la fase storica che vede anche l’affermarsi delle tecnologie elettroniche e del digitale, con la loro capacità di colonizzare e innervare l’intero sistema sociale, dalla produzione (Perrella, Strino, 1980; cfr. un estratto commentato in questo numero nella sezione Ancore, ndr) di merci hard a quella delle merci estetiche, modificando profondamente la struttura e le strategie degli apparati di produzione e distribuzione di cultura e il rapporto con il pubblico: il digitale permette trasferimenti, traduzioni, ibridazioni di testi in forme e modalità inedite, intrecci e alleanze produttive nuove e imprevedibili. Consente, inoltre, una nuovissima potenzialità di integrazione fra il fruitore e il testo, a partire dai giochi di ruolo che hanno come luogo di svolgimento il Web: i giocatori possono raccontare e raccontarsi, creare mondi, esplorarli, fare la storia, almeno quella di cui sono personaggi e protagonisti – autori.
Per poi passare a costruire vere e proprie narrazioni collettive, in collaborazione (Giovagnoli, 2009; cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 20), sperimentando le forme di quella che definivamo cross-medialità. C’è da osservare come da allora sia trascorso solo qualche anno, ma sembra sia passato molto più tempo, a dimostrazione di quanto sia forte l’accelerazione del mutamento e il progresso nelle tecnologie e nel loro uso.
Potremmo sostenere che i due suffissi “cross” e “trans” sono soltanto sinonimi che indicano la stessa classe di fenomeni, magari con qualche piccola differenza di punto di vista o di focalizzazione su un aspetto o un altro, ma crediamo sarebbe semplicistico, perché siamo di fronte – come illustrano gli autori di Transmedia – a un cambiamento di prospettiva molto più profondo: la narrazione, dopo essersi sparsa in tutti i media, aggiudica a sé gli spazi della Storia e della memoria collettiva e storica, invadendoli e contaminandoli, e mescolandosi con la documentazione, il recupero dei materiali d’archivio, la ripresa di storie e testimonianze, ridando fiato al romanzo storico, alle memorie individuali, alla rielaborazione di vicende ed eventi, emancipandoli dalla pura cronaca e attualità del loro tempo e esaltandone il valore narrativo. Forzando, certo, a volte le cose, ma attribuendo loro un senso che nel loro avvenire non poteva essere immediatamente chiaro. Percorsi e transiti colti poeticamente, ad esempio, dall’opera di Chris Marker (cfr. l’opera video commentata in questo numero nella sezione Ancore, ndr).
Non sorprende che nel volume edito da Mimesis ritroviamo, in aggiunta a quelli dei due curatori, scritti di Monica Jansen, Marco Amici, Alessia Risi, che già in un testo di qualche anno fa e insieme ad altri ricercatori, curato dalla stessa Jansen e da Yasmina Khamal, avevano affrontato lo stesso tema, concentrandosi sull’Italia e su quella particolare declinazione della narrativa noir italiana (cfr. Jansen, Khamal, 2010), quella che trasforma la cronaca nera d’Italia degli ultimi trenta-quarant’anni in luogo di riflessione e riscrittura della storia del nostro paese – forzando la mano sui segreti e sugli interdetti politici e sociali ma forse arrivando a definire verità, magari non storiche in senso stretto, ma sicuramente in profondità più vicine alla sostanza degli eventi stessi (cfr. Fattori, 2011).
Ecco, è questo uno dei binari su cui scorre anche Transmedia: lo studio e l’analisi di quei testi narrativi che accompagnano la Storia creandone una parallela, o mettendo in scena personaggi e articolazioni compatibili con gli eventi che fanno parte della memoria storica, aggiungendo a questa, però, uno spessore che simula una possibile, virtuale, memoria collettiva – quella fatta di memorie personali, legate all’affettività, all’esperienza diretta, agli effetti sugli individui delle vicende collettive.
Una “Storia” del genere finisce per ripercorrere i sentieri dell’avventura, del mistero, del pathos, come di mistero sono ammantate tuttora molte delle vicende che hanno segnato la storia del nostro paese nell’ultimo mezzo secolo.
Ed è qui che possiamo cogliere meglio il senso della transmedialità. Quello che si produce è un doppio movimento: da una parte, la fiction insegue e riscrive la Storia colonizzando tutti i media, dall’altro, la Storia si rende più attraente e “fruibile” popolando gli stessi media di prodotti realizzati montando documenti d’archivio, documentari, testimonianze, spezzoni di film o telefilm, fondendo così, nell’immaginario, un livello con l’altro, ridando spazio e forza alla memoria del passato, legittimandola, rinforzandola, fornendole un’opportunità di persistenza che solo le nuove tecnologie della comunicazione possono darle.
La Memoria, la Storia, le storie: questioni centrali nel dibattito sulla tarda modernità, le nuove tecnologie, la conservazione del ricordo del passato, specie di un secolo come il Novecento, dei massacri che lo hanno contraddistinto, dei cambiamenti che si sono prodotti nella struttura della società, delle identità, delle soggettività storiche.
Tema che riguarda sia i singoli, quindi, e le loro biografie, che le collettività e la memoria collettiva. È un’opinione diffusa che la riarticolazione del “tempo vissuto”, della nostra percezione del continuum spazio-temporale nell’epoca attuale, che la dittatura del “tempo reale” rischi di portare ad una obliterazione progressiva del passato, e della memoria dei fatti storici, anche quelli più significativi per il presente e il futuro – insieme alla scomparsa di coloro che li hanno vissuti e vi sono sopravvissuti. E d’altra parte è esperienza di una generazione la difficoltà a “narrare” gli anni Sessanta-Settanta del XX secolo riuscendo a non tradirne la ricchezza, le articolazioni, le articolazioni, il rapporto generativo che ha con l’oggi. Lo stesso discorso vale più in particolare per i misteri italiani di quegli anni. Molto meglio dei saggi storici ci sono riusciti i romanzi di Giuseppe Genna, Andrea Camilleri, Giancarlo De Cataldo…
Forzando i fatti, certo. Ma la propensione a forzare le cose, a mentire, a inventare è connaturato al raccontare, sia che si tratti di sé, della propria biografia, sia che si tratti di eventi collettivi: come scrive il saggista messicano Federico Campbell, è la ricerca di senso nelle cose, che spinge gli umani a farlo (cfr. Campbell, 2011; cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 32). Come è stato per tutta l’opera di Leonardo Sciascia, una ricerca continua di equilibrio fra narrazione e argomentazione, nel riscrivere i fatti del passato più lontano e i misteri della storia italiana recente, alla ricerca – o per la denuncia – di verità che si possono solo immaginare (cfr. Campbell, 2014). Ma, chi si occupa di Storia e di narrazioni, del passato e del futuro, sa bene che:
“La verità è una questione di immaginazione” (Le Guin, 2014).
LETTURE
— Sergio Brancato, La città delle luci, Carocci, Roma, 2003.
— Federico Campbell, Padre e memoria, Ipermedium, S. Maria C. Vetere, 2011.
— Federico Campbell, La memoria di Sciascia, Ipermedium, S. Maria C. Vetere, 2014.
— Adolfo Fattori, Riempire i vuoti. La verità, la memoria, l’immaginazione, in “Belphégor”, X, 2, 2011.
— Max Giovagnoli, Cross-media, Apogeo, Milano, 2009.
— Fredric Jameson, Postmodernismo Ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, Fazi, Roma, 2007.
— Monica Jansen & Jasmina Khamal (a cura di), Memoria in Noir. Un’indagine pluridisciplinare, Bruxelles-Bern-Berlin- Frankfurt am Main-New York-Oxford-Wien: P.I.E. Peter Lang, 2010.
— Ursula Le Guin, I reietti dell’altro pianeta, Mondadori, Milano, 2014 (e-book).
— Giuseppe Perrella, Raffaele Strino, Le macchine simulanti, Theorema, Roma, 1980.
— Segbert S. Prawer, I figli del dottor Caligari, Editori Riuniti, Roma, 1981.