LETTURE / LA POLITICA IN 140 CARATTERI


(a cura) di Sara Bentivegna / Franco Angeli, Milano 2014 / pp. 224, € 29,00


 

Cinque tesi su twitter e politica

di Tito Vagni

 

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Scritto insieme ad altri studiosi di comunicazione, il libro curato da Sara Bentivegna è un saggio di enorme interesse per quanti studiano le evoluzioni della politica nella sua ibridazione con i linguaggi digitali. Trattandosi di un lavoro polifonico e articolato, in cui si alternano analisi prettamente teoriche a interessanti ricognizioni empiriche, si è scelto di far emergere solamente alcuni degli snodi essenziali del testo.

Innanzitutto, si può parlare dei social network come del nuovo vicinato? A nostro avviso no, essi vanno intesi come una germinazione della vita metropolitana. L’idea di vicinato, come spiegano Lee Rainie e Barry Wellman è legata alla possibilità di trovare risposta immediata ad un bisogno improvviso (cfr. Rainie, Wellman, 2013). Le tecnologie della comunicazione utili a mettere in connessione due o più persone (telegrafo, telefono, smartphone, skype, messaggistica, email, ecc.) potenziano tale facoltà perché estendono il network in cui ciascun individuo è inserito. Con l’elettricità e con il digitale il vicinato si emancipa dal territorio fisico e diviene completamente immateriale. Ciò che rimane costante è il tipo di legame stretto tra i soggetti, improntato alla reciproca utilità, alla generosità e all’operosità. Le tecnologie della comunicazione oggi sono il nuovo vicinato, ma i social network rientrano solo parzialmente in questa definizione. Le loro etiche e le loro estetiche poco hanno a che vedere con forme di solidarietà scaturite dalla divisione del lavoro e quindi dalla complementarietà funzionale. Esse sono affini alla vetrina, ai passages e, avvicinandoci ai giorni nostri, ai canali televisivi, e in linea con questi media, assume centralità, in termini quantitativi e qualitativi, la proliferazione degli sguardi. Da qui, un forte interesse verso le tecniche di seduzione o quelle narrative ed espositive. La forma ludica, il piacere, il consumo e non, invece, l’impegno o la partecipazione (che non sono assenti, ma certamente meno significativi) sono gli aspetti caratterizzanti questo medium. Twitter è in linea di continuità con la metropoli, ne è una costola moderna e anche i dati di accesso alla piattaforma illuminano tale connessione: Twitter fatica a penetrare nelle abitudini degli utenti con un basso livello di istruzione e tra gli abitanti della provincia, perché ha caratteristiche affini a quelle dell’esperienza metropolitana in termini di complessità relazionale, etica ed estetica.

Il secondo interrogativo da porci, può così riassumersi: accesso universale al dibattito pubblico? Le possibilità di accesso si scontrano con alcune logiche tipicamente moderne. Potenzialmente tutti possono prendere la parola, ma la potenza e il valore delle proprie pratiche sono legate a forme evolute della legge dell’opinione che regolano le relazioni sociali da secoli e sono divenute particolarmente significative nelle metropoli moderne. Sono quindi poco indicativi i casi di quanti senza una già consolidata reputazione mainstream sono riusciti a creare delle posizioni d’influenza effettiva sul resto degli utenti, sebbene, come sottolinea opportunamente Bentivegna, non si deve sottovalutare la funzione dell’ascolto confondendola con il residuo di spettatorialità insita nei social network, perché essa è spesso una pratica consapevole. Queste dinamiche, probabilmente comprensibili in una fase di assestamento del medium, non lo privano della capacità di radicalizzare il meccanismo democratico – anche se esso appare ancora ampiamente inespresso.

Un terzo punto chiave su cui riflettere è se la conversazione generi o no soggettività politica. Nel testo, Twitter viene paragonato ad altri luoghi tradizionali in cui la conversazione intorno alla politica genera identità e costruisce visioni del mondo. La prima questione è capire se Twitter, i forum, i blog, le chat sono luoghi assimilabili e parimenti capaci di generare forme di partecipazione politica. Quando si propende per una risposta positiva a questa domanda, ciò a cui si guarda sono i contenuti. Ma il contenuto della conversazione, che sia di natura politica o ricreativa, è utile a comprendere indirettamente la natura del medium, perché il modo di scrivere su Twitter è imprescindibilmente legato ad una forma tecnica data e irriducibile. La brevità dei messaggi, la loro caducità, la possibilità di coinvolgere interlocutori all’interno delle proprie conversazioni, l’istantaneità, il retweet, sono solo alcune delle potenzialità del medium che lo distinguono dagli altri. Ciò impone immediatamente uno sguardo sul mondo non assimilabile a quello di altri media.

In secondo luogo, i discorsi capaci di produrre soggettività, almeno nella riflessione di Jurgen Habermars, non possono mancare di razionalità. Essi devono essere orientati ad uno scopo e perseguirlo in una maniera irreprensibile (cfr. Cristante, 2012). Ciò ha come obiettivo ultimo la creazione di una soggettività politica che attraverso la comunicazione trova la sintesi nell’uno. Twitter, al contrario, quando utilizzato in chiave politica, contribuisce all’esasperazione dell’individualità. Esso è una delle tecnologie reticolari per eccellenza perché la sua polifonia non è mai riducibile all’uno. L’uso dell’ashtag, ad esempio, consente d’inserirsi in un flusso comunicativo, ma questa adesione non implica in maniera automatica la volontà di “confermare l’appartenenza a una ben identificabile comunità” come invece si sostiene nel testo perché molto spesso Twitter accoglie nel suo ambiente dei semplici appassionati di politica e non dei militanti in senso classico, dunque utenti che s’inseriscono in un dibattito in modo temporaneo e circostanziato. Come spiega bene Patrice Flichy nel suo ultimo saggio (Flichy, 2014, si veda anche in questo numero, ndr) le forme della partecipazione politica sono sempre meno determinate da stratificazioni della conoscenza e dell’esperienza politica. Essa è, al contrario, frutto di un innamoramento improvviso, di una necessità pratica che spinge i soggetti a dedicarsi ad un tema che li coinvolge da vicino. Ma una volta raggiunto l’obiettivo si registra loro un immediato disimpegno.

Occorre poi soffermarsi sull’uso strumentale di twitter. Storicamente si sono affermate due modalità di stare all’interno del medium: utilizzarlo in sinergia con gli altri media a disposizione per raggiungere un obiettivo preciso (è il caso delle campagne elettorali fino ad ora sperimentate, che hanno certificato un uso strumentale della rete) oppure farsi modificare dal medium trasportando i suoi meccanismi di funzionamento nelle istituzioni della politica, in un passaggio non causale ma fisiologico derivante dall’ibridazione con l’esperienza tecnologica. Tutti gli studiosi evocati nel testo attribuiscono a Twitter la capacità di rafforzare l’esperienza democratica in termini di partecipazione alla discussione pubblica. Ma il rapporto tra twitter e politica non può limitarsi a questa sinergia strumentale. Il M5S in Italia è in questo senso un esperimento – perlopiù incompiuto ma interessante – di come farsi plasmare dai linguaggi digitali, traslando la logica di democrazia radicale della rete alle istituzioni della politica. Le altre forze politiche si muovono ancora seguendo una logica televisiva che predilige l’idea di pubblico/consumatore a quella di cittadino/utente. Un esempio del modo in cui viene vissuto e gestito il web 2.0 in Italia è ben rappresentato dalla seguente citazione: “in una fase della democrazia nella quale la trasparenza e l’immediatezza sono diventati valori e codici comunicativi largamente condivisi, i soggetti politici ricorrono a strategie fondate sulle dirette streaming, su battute veloci affidate a un tweet e su contenuti che enfatizzano la dimensione umana e privata del soggetto pubblico” (Bentivegna, 2014). Bentivegna lo definisce “un modello di adattamento”, una prassi che va nella direzione di ibridazione tra tecnologie e forme politiche, fatto necessario perché la politica che s’impossessa del nuovo medium senza esserne determinata regredisce rapidamente ad arcaismo (cfr. Benjamin, 2006). Ciò che può essere particolarmente rilevante non è l’affiancamento della sfera digitale a quella empirica e quindi il potenziamento delle possibilità di accesso (che pure possono rappresentare un rafforzamento della democrazia deliberativa) ma la trasposizione dei meccanismi di funzionamento dalla rete alle istituzioni della politica, come si registrarono dopo l’avvento della televisione (Abruzzese, Susca 2006). Ultimo ma non meno importante interrogativo che i testi curati da Bentivegna ci pongono: l’omofilia nei media digitali è un problema? Come scrive la stessa curatrice, la questione è già stata sollevata dalla sociologia prima dell’avvento del digitale. Michel Maffesoli, ad esempio, con il suo concetto di tribù, tanto usato quanto ancora utile a descrivere ciò che ci accade intorno, alla fine degli anni Ottanta ha messo in luce nuove forme di socialità non più lococentriche, ovvero basate sul luogo di nascita e sulla condivisione di un territorio fisico, ma su comunità di desideri (cfr. Maffesoli, 2004). Tale fenomeno è stato riscontrato anche dalla sociologa della cultura Wendy Griswold secondo cui con la diffusione dei media elettronici “c’è sempre meno identità tra comunità relazionali e comunità territoriali” (cfr. Griswold, 2002), ciò significa che le comunità tipiche della modernità stanno diminuendo in favore di comunità basate su identità o interessi comuni. Secondo Griswold questo è un fenomeno negativo che dà luogo a egoismi individualistici: ognuno grazie alla rete può incontrare i propri simili e stabilire con loro contatti senza abbandonare la propria casa, ciò comporterebbe l’unificazione del mondo ma al contempo una maggiore divisione relazionale. La sociologa parla a tal proposito di “nicchie culturali” che, non contemplando la diversità, rappresenterebbero potenzialmente bacini d’intolleranza.

Su questo argomento è però rilevante il contributo di Rainie e Wellman che, nel testo già indicato, lavorano sul passaggio dalla società basata sui gruppi (famiglia, partito, associazioni ludiche, ecc.) alla società basata sul network (rete di legami forti e deboli). Proprio alla luce delle ricerche condotte intorno a questa fondamentale transizione, è possibile sostenere che la moltiplicazione delle possibilità di relazione a lunga distanza non inibisce i legami forti, basati su una frequentazione fisica e su una conoscenza globale, ma li affianca ad una moltitudine di connessioni meno strutturate che arricchiscono la socialità del soggetto. Le tecnologie della comunicazione non sono dunque strumenti che favoriscono una torsione individualista, esse piuttosto forniscono agli utenti l'occasione di estendere le proprie relazioni oltre i confini fisici e culturali.

 


 

LETTURE

  Abruzzese Alberto, Susca Vincenzo, Immaginari postdemocratici, Franco Angeli, Milano, 2006.
Benjamin Walter, Angelus Novus, Einaudi, Torino, 2006.
Boccia Artieri Giovanni, Stati di connessione, Franco Angeli, Milano, 2013.
Cristante Stefano, Jurgen Habermas, Storia e critica dell'opinione pubblica, in Pireddu Mario, Serra Marcello, Mediologia, Liguori, Napoli, 2012.
Flichy Patrice, La società degli amatori, Liguori, Napoli, 2014.
Griswold Wendy, Sociologia della cultura, Il Mulino, Bologna, 2002.
Maffesoli Michel, Il tempo delle tribù, Guerini, Roma, 2004.
Rainie Lee, Wellman Barry, Networked, Guerini, Roma, 2013.