VISIONI / LA VITA DI ADELE
di Abdellatif Kechiche / Cecchi Gori Home Video, 2014
Blu, blu, l'amore è blu
di Francesca Fichera
Un diario e una porta: da lì, in due luoghi narrativi diversi, comincia il racconto di una vita. È La vita di Adele – Adéle nel francese dell’originale – e anche quella di Clémentine, che sbroglia la matassa del suo percorso interiore attraverso le pagine dei suoi diari intimi, puntellando il discorso de Il blu è un colore caldo (2010), graphic novel d’esordio di Julie Maroh, di notazioni meta-narrative. Da Clémentine, irrequieta protagonista disegnata, nasce l’altrettanto inquieta Adele del film di Abdellatif Kechiche, cui dona carne, ossa e identità Adèle Exarchopoulos, vibrante trasposizione fisica del segno grafico che, per apparente paradosso, prendendo le distanze dalle sue origini ne realizza gli aspetti fondanti.
Sia Clémentine che Adele sono l’adolescenza fatta forma, rappresentazione quasi esacerbata delle ansie e delle incomprensioni che la caratterizzano, soprattutto in quei casi in cui – come quello descritto – “manca qualcosa al cuore” e il mondo interiore si sente escluso dal circostante per un motivo in più. Questa ragione, ne La vita di Adele, è l’omosessualità – anche se lo è molto di più nella sua vita a fumetti, quella di Clémentine, dove è di fatto nucleo tematico del racconto: Adele non conosce il perché di quella mancanza, sa solo che c’è, e per un discorso molto caro a Kechiche – come testimonia il precedente Cous cous (2007) – prova a riempirla mangiando, anche smodatamente, mentre continua a respingere ciò che è comune, ossia i ragazzi che tanto piacciono alle sue compagne, a causa di un’incompatibilità che non è in grado di spiegarsi.
Alla fine, ma soprattutto nel mezzo, c’è Emma: simbolicamente simile al suo corrispettivo cartaceo, nel nome e nell’aspetto (che nel film è incarnato da Lea Séydoux), è la rivoluzione amorosa fatta persona, il fil bleu che, d’ora in avanti, sconvolgerà le trame dell’esistenza di Adele, privandola dei suoi dubbi e dandole in cambio l’agitazione. La sua doppia prima apparizione, prima casuale e poi cercata, sperata, inconsciamente calcolata, è l’atto del cambiamento in potenza, una profezia di colore (e di sapore) finalmente realizzata. Prima di Emma, e cioè del compimento fisico del sentimento, del suo materializzarsi, il blu è nei paraggi di Adele: chiazza i muri, colora gli abiti, lacca le unghie, ravviva la folla. Ciò che nel libro della Maroh non fa altro che tingere i capelli della co-protagonista e fluttuare nell’aria e nei sensi della sua amata, nel film è una macchia destinata a spandersi lentamente, un preludio e una presenza cromatica costante, come nella Trilogia dei colori di Krzysztof Kieślowski (1993 - 1994). Puntando al massimo dell’ “effetto-cornice”, di una composizione del quadro attenta e soppesata in ogni dettaglio, Kechiche abbandona il consueto taglio documentaristico e “sporco” della sua regia in favore di progetto d’inquadratura a dir poco maniacale. Lo scopo: mettere a fuoco La vita di Adele insieme con tutti i simboli – splendidi – di cui è disseminata, in un gioco di visione a spirale dove è mostrato esclusivamente ciò che lei guarda, osserva, esperisce attraverso i sensi. La cifra stilistica del regista franco-tunisino, quello “spiare” la quotidianità con la camera a spalla lasciandola scorrere per ritrarla nel suo apparente disordine, è qui declinata in una versione più consapevole e abbellita, dov’è evidente il filtro di un’impostazione dello sguardo maggiormente votata alla ricercatezza. La macchina da presa scrive con attenzione i due capitoli di un volume fluviale che mutua dal suo corrispettivo cartaceo soltanto gli elementi principali della trama, reinterpretandone – come già detto – il senso complessivo: il fulcro (simbolico, estetico) è il blu, innesto di un cambiamento radicale che la Clémentine del fumetto attua con struggimento e che, invece, la Adele secondo Kechiche risolve piuttosto sbrigativamente, e con un dispiegamento dei sensi totale ed edonisticamente ossessivo; e tuttavia in ambedue i casi, sebbene con linguaggi e anche con punti d’approdo differenti, s’assiste a una messinscena funzionale dell’eterno dialogo fra l’Amore e la Morte. Nel primo, la Maroh punta su uno sviluppo di stampo aristotelico, finendo col dipingere un amore tragico, in movimento ma compiuto, più che rispondente ai canoni narrativi, e nel quale a rimanere irrisolta è solamente la risposta alla denuncia della (ancora errata) percezione sociale dell’omosessualità. D’altro canto, la parola “fine”, così definita e solida nel graphic novel della giovane autrice, assume un carattere di angosciante ambiguità nella rilettura operata da Kechiche: non fa solo parte della normale alternanza insita nei percorsi sentimentali – un amore nasce, cresce e, naturalmente, può morire, per poi rivivere in altre forme e in altri tempi; una fine può anche corrispondere all’ultima fase della crescita di un individuo. C’è chi muore nel corpo e chi perde il proprio slancio vitale (l’eros platonico, per l’appunto), e Adele rientra in quest’ultima categoria: per lei, parafrasando Leslie Fiedler a proposito de La lettera scarlatta in Amore e morte nel romanzo americano, Emma è colei che “dovrebbe offrire la promessa della salvezza” e che è “in realtà, […] un motivo di annientamento” Fiedler, 1963). Ma è, quello di Adele, un annullamento silente, privo di gesti eclatanti o effetti evidenti: al contrario della Clémentine da cui è stata plasmata, Adele muore dentro perché incapace di credere nelle proprie scelte. Non è schiacciata da un contesto ostile – a parte che a scuola, in un breve episodio iniziale ripreso integralmente dal fumetto – ma da se stessa, dalla carenza di autonomia e sicurezza da cui è affetta nell’intimo, dal suo eccesso di ingenuità. Quel “manca qualcosa al cuore” di cui si fa cenno in principio, riferimento esplicito al settecentesco La vita di Marianna di Pierre de Marivaux, l’autore-feticcio di Kechiche su cui, nel 2003, è stato costruito il film La schivata; quell’idea è un labirinto, un cerchio maledetto da cui Adele non sa uscire, e dove si lascia finire dai colpi di una vita subita. Perciò, vestita della tinta di un’identità che non le appartiene e con la quale non è pronta a dialogare, non può far altro che avviarsi verso un orizzonte mortifero. Lì, in quello spazio che ci è dato solo di immaginare, Adele non vive più – si limita a esistere, volendo usare un cliché. E, con lei e in lei, muore pure l’amore, che, come scriveva Italo Calvino “non può esistere […] se non si è se stessi con tutte le proprie forze” (Calvino, 1993).
LETTURE
— Calvino Italo, Il barone rampante, Mondadori, Milano, 1993.
— De Marivaux Pierre, La vita di Marianna, Rizzoli, Milano, 1951.
— Fiedler Aaron Leslie, Amore e morte nel romanzo americano, Longanesi, Milano, 1963.
VISIONI
— Ingmar Bergman, Persona, Rai Cinema - 01 Distribution, 2013.
— Abdellatif Kechiche, Cous cous, Warner Home Video, 2013.
— Abdellatif Kechiche, La schivata, Cecchi Gori Home Video, 2005.
— Abdellatif Kechiche, Tutta colpa di Voltaire, Cecchi Gori Home Video, 2006.
— Abdellatif Kechiche, Venere nera, Warner Home Video, 2012.
— Krzysztof Kieślowski, Film bianco, San Paolo, 2008.
— Krzysztof Kieślowski, Film blu, San Paolo, 2008.
— Krzysztof Kieślowski, Film rosso, San Paolo, 2008.
— Julie Maroh, Il blu è un colore caldo, Rizzoli, Milano, 2013.