VISIONI / THE LEGO MOVIE
di Phil Lord e Cristopher Miller / Warner Bros, 2014
Fabbricanti d'universi
di Roberta Iannarone
Dai negozi di giocattoli ai videogame, passando per parchi a tema, convention e gallerie d'arte, prima o poi doveva accadere che i mattoncini colorati più amati (e giocati) del mondo approdassero anche sul grande schermo. Un po' perché la legomania è ormai dilagante e si traduce in accessori fashion, stravaganti oggetti d'arredo, siti web dedicati alle produzioni audiovisive a tema e un'infinità di stramberie come il robot che risolve il cubo di Rubik interamente costruito in Lego (http://www.theverge.com/2014/3/15/5512554/lego-mindstorms-robot-sets-rubiks-cube-world-record); un po' perché il mondo Lego si intreccia spesso e volentieri con il mondo dell'arte, dando vita ad espressioni artistiche anche molto eterogenee tra loro: dagli still life fotografici alle riproduzioni di famose opere d'arte, innumerevoli artisti, più o meno noti (e a volte più o meno artisti), si sono serviti di costruzioni e pupazzetti dell'azienda danese per realizzare opere davvero originali e fuori dal comune, come ad esempio il newyorchese Nathan Sawaya – che ha addirittura coniato il termine brickartist, “artista del mattoncino” (http://brickartist.com/). E un po' anche perché alla fine con i Lego, prima o poi, abbiamo a che fare un po' tutti nella vita.
Phil Lord e Cristopher Miller, già registi dell'insolito e godibilissimo Cloudy With A Chance Of Meatballs (conosciuto in Italia come Piovono polpette), film d'animazione del 2009, sono i registi che hanno tentato l'azzardo del secolo – riuscendo nell'impresa con risultati davvero eccezionali: The Lego Movie esce nelle sale il 20 febbraio, scatenando immediatamente la curiosità di chi con quei mattoncini ha passato a giocarci l'intera infanzia. E perché no, magari anche l'età adulta.
La trama è quasi da disaster movie: il supercattivo di turno, tale Lord Business, si accinge a distruggere l'universo con una potentissima arma, il Kragl. L'unica speranza di salvezza è Emmett Brickowski, meglio noto come “quello speciale”, cioè colui che grazie al “pezzo forte” può disinnescare il Kragl e sventare il piano di Lord Business. Peccato che il povero Emmett così tanto speciale poi non lo è. Anzi, è il classico cittadino modello di Brickburg, che rispetta le regole e “segue le istruzioni” ed è perfettamente integrato nello spaventoso meccanismo omologante messo in piedi dallo stesso Lord Business che governa l'intera Legoland. Ma alla fine sarà proprio il suo essere un individuo così comune a renderlo davvero speciale – e a permettergli di salvare il mondo dall'annientamento totale.
Tra divertentissime gag, parabole buoniste – della serie “tutti possiamo essere speciali e anche i cattivi possono essere buoni” – e un'incursione a sorpresa nel mondo reale, la pellicola (che nasce ovviamente con intenti puramente promozionali) è anche l'occasione per poter ragionare su cosa è Lego e sul perché il suo successo (è la terza casa produttrice di giocattoli al mondo) dura da ormai ottant'anni.
È importante focalizzare due questioni. Innanzitutto, sbaglia chi pensa che il divertimento stia tutto nel seguire le istruzioni e costruire esattamente ciò che è raffigurato sulla scatola. Nella stragrande maggioranza dei casi, la fruizione avviene in due fasi: la prima è di tipo “omologante”, in cui l'artefatto viene assemblato così come è previsto dal progetto di fabbrica. Ma è solo nella seconda fase che avviene il vero processo creativo, all'interno di una dinamica di distruzione e ri-costruzione dell'oggetto, che a questo punto può essere plasmato a piacimento per dargli qualsiasi forma e qualsiasi identità. Non a caso è proprio questo aspetto che attrae l'enorme schiera di consumatori da ogni parte del mondo, senza distinzione di genere. E d'età.
Ecco la seconda questione: sbaglia chi pensa che sia un prodotto destinato solo ai bambini. Anzi. Probabilmente i consumatori più numerosi sono proprio i “grandi”. E sicuramente sono loro a farne gli usi più creativi: è infatti sempre più diffuso il fenomeno degli AFOL (Adult Fans of Lego), cioè quegli adulti che pur avendo superato di gran lunga l'età impressa sulla confezione continuano a montare e smontare blocchetti di plastica senza mai smettere di divertirsi.
Immaginate di poter riprodurre qualsiasi cosa esista al mondo, ogni cosa che l'uomo o la natura o qualsiasi altra entità possano aver creato. Immaginate poi di poter riprodurre anche qualsiasi cosa vi passi per la testa, di poter realizzare fisicamente ciò che non esiste da nessun'altra parte dell'universo conosciuto, se non nell'immaginario collettivo o addirittura solo nella vostra testa. Immaginate infine di assemblare dei pezzettini di plastica colorata e vederci dentro “qualcosa”, come se grazie ad una strana alchimia i mattoncini avessero al proprio interno un'intenzione, un'entità che spinge le mani del “mastro costruttore” a far venire fuori il progetto che contengono in nuce. Tutto questo è Lego.
La Lego nasce nel villaggio di Billung in Danimarca nel 1932. Ma non si chiamava Lego. E non produceva mattoncini colorati: Ole Kirk Christiansen, falegname e carpentiere, aveva messo su una società che, tra le altre cose, produceva giocattoli di legno. Il nome “lego” venne fuori solo due anni più tardi: è la contrazione di “leg godt” che in danese significa “gioca bene”, ma il caso vuole che la parola latina “lego” si traduca anche come “io studio” o “io metto insieme”.
Bisogna attendere il 1958, l'avvento della plastica e il cambio della guardia ai vertici dell'azienda (nel 1954 Godtfred, figlio di Christiansen, diventa direttore della Lego) perché nasca il mattoncino di plastica Lego come lo conosciamo (e con cui giochiamo) ancora oggi. Dagli anni Sessanta in poi, decine di generazioni di bambini e di adulti-bambini in tutto il mondo hanno incrociato in vario modo il mondo Lego, il cui successo è ancora oggi incontrastato. La logica interna al gioco in sé possiede una natura che è intrinsecamente ambivalente – e che con molta probabilità rappresenta il motivo della sua incredibile popolarità. Da un lato, come abbiamo già detto, ha lo straordinario potere di replicare tutto il mondo conosciuto e non; dall'altro, è un sistema di mattoncini assemblabili che funziona con una logica modulare, per cui tutti i pezzi all'interno di una qualsiasi confezione di Lego, che si tratti del castello medievale o della base spaziale, si incastrano alla perfezione gli uni con gli altri, dando vita ad una serie potenzialmente infinita di combinazioni (con soli sei mattoncini da otto bottoni è possibile ottenere più di novecento milioni di oggetti differenti!). E di conseguenza, ad una serie potenzialmente infinita di creazioni, il cui unico limite è la fantasia di chi gioca.
Un giocattolo che riesce ad adattarsi a chi ha di fronte, non limitandone la fantasia ma ampliandone le percezioni: nell'epoca dei prosumer, ossia della fusione della figura del producer con quella del consumer, l'idea di costruirsi da sé il proprio gioco è assolutamente al passo con le nuove dinamiche in atto nella società. Anche la politica aziendale della Lego si muove su questo binario dell'adattabilità, e la casa danese ha saputo adeguarsi alle nuove tendenze del mondo della ludica, lanciando sul mercato una serie di videogame di successo ispirati al mondo del cinema e dei fumetti.
Nel corso dei decenni l'azienda dei Christiansen ha allestito un vero e proprio universo parallelo, assemblato (è proprio il caso di dirlo) ad immagine e somiglianza del nostro. Un universo che è andato espandendosi sempre di più, moltiplicandosi e parcellizzandosi in tutta una serie di mondi collaterali, ognuno dei quali è modellato su (e fa appello a) una porzione di immaginario collettivo preesistente, dal vecchio west alle fiabe medievali, fino ad arrivare alle avventure spaziali e ai viaggi interplanetari. E se tutta la linea di giocattoli è puntellata da questa pulsione citazionista, The Lego Movie di certo non è da meno, sfoderando una carrellata di riferimenti cinematografici che vanno da Star Wars a Il Signore degli Anelli, passando per Pirati dei Caraibi e Batman, inserendo anche alcuni cameo di personaggi storici in versione Lego, come Abraham Lincoln o Michelangelo (di cui ironicamente Lord e Miller inseriscono entrambe le “versioni”, cioè sia l'artista che la tartaruga ninja).
Anche dal punto di vista tecnico l'opera riprende la questione della produzione e ri-produzione del reale e dell'immaginario: ad un primo sguardo la pellicola sembra infatti essere realizzata interamente in stop motion, una particolare tecnica di animazione che consiste nel mettere in sequenza gli scatti fotografici di oggetti inanimati progressivamente movimentati (uno tra i più celebri esempi è la pellicola The Nightmare Before Christmas del 1993). In realtà la “recitazione dal vero” dei caratteristici omini gialli ha funto solo da base di partenza, mentre su buona parte del film si è lavorato con le più avanzate tecnologie della computer grafica, simulando alla perfezione l'effetto frame-by-frame della stop motion e al tempo stesso dando un estremo realismo ai movimenti.
Del resto ciò che ci si aspetterebbe dal classico operaio Lego è proprio che si muova a scatti, ma a discapito della rigidità che in effetti caratterizza i famosi pupazzetti, la Australian Animal Logic (lo studio di animazione capitanato da Chris McKay) è riuscita a dotarli di una dinamicità tale da far dimenticare allo spettatore che gli attori sullo schermo non sono propriamente “in carne ed ossa”. Ancora una volta, dunque, siamo di fronte ad un tentativo (si può dire ben riuscito) di ri-costruzione di ciò che sono il reale e l'immaginario.
Il film di Lord e Miller è in sostanza uno straordinario viaggio al di là dello specchio, nel meraviglioso mondo dei mattoncini colorati. Ma al tempo stesso la direzione del viaggio si ribalta e torna indietro, mostrandoci alla fine noi stessi al di qua dello specchio, in una sorta di riflesso che torna a guardare verso la sua fonte primaria.
VISIONI
— Phil Lord, Cristopher Miller, Piovono polpette, Sony Pictures, 2010.
— Kim Pagel, The LEGO® Story, Lani Pixels, 2012. https://www.youtube.com/watch?v=NdDU_BBJW9Y
— Henry Selick, The Nightmare Before Christmas, Disney, 2010.