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VISIONI / ORFANI vol.1 – PICCOLI SPAVENTATI GUERRIERI


di Roberto Recchioni, Emiliano Mammucari, Massimo Carnevale (copertina)  / Sergio Bonelli Editore, Milano, 2013 / pp. 100, € 4,50


 

Bonelli e l'apocalisse in technicolor

di Roberta Iannarone

 

"Quello che il bruco
chiama fine del mondo,
il resto del mondo
lo chiama farfalla"
Lao Tzu

 

È tempo di rivoluzioni per la Sergio Bonelli Editore. Il 2013 sarà ricordato come un anno cruciale per la casa editrice milanese, che già nel suo glorioso passato aveva più volte lasciato il segno per le sue scelte d'avanguardia. E proprio in un momento di congiuntura economica decisamente negativa, specie nel mercato italiano del fumetto in perenne emorragia di lettori, decide di sfidare la sorte e di lanciarsi in nuove avventure editoriali (o di dare nuovo lustro a quelle vecchie, come in seguito vedremo) con lo stesso spirito innovativo e lungimirante che aveva da sempre guidato la politica del fu Sergio, scomparso da due anni ma la cui presenza, come un simpatico poltergeist, aleggia ancora sulle teste di colleghi, collaboratori e – perché no – lettori.

In realtà era da un po' che questo spirito era, per così dire, "latitante" e le nuove proposte non sempre riuscivano a riscuotere il successo che ci si aspettava – una su tutte, la serie fantascientifica simil-wellsiana Brad Barron, che nonostante avesse alle spalle Tito Faraci, una delle più autorevoli firme del fumetto italiano contemporaneo, non è riuscita a spiccare il volo. Probabilmente per poter cambiare davvero qualcosa e ritornare alla “età dell'oro” bisogna agire più in profondità. E magari osando un po' di più.

Un primo passo sulla strada verso il rinnovamento è stato il “cambio della guardia” in una delle storiche testate, Dylan Dog, uno dei personaggi simbolo della Bonelli: creato da Tiziano Sclavi nel 1986 e subito diventato un'icona per i teenager (e non solo), Dylan aveva perso negli anni un po' del suo smalto iniziale. Era necessario un restyling, o meglio un ritorno allo spirito anticonformista e sperimentale che ne aveva caratterizzato le origini. Per questo motivo, a partire dal settembre 2013, la testata è stata affidata ad un nuovo curatore, Roberto Recchioni, uno dei migliori sceneggiatori della scuderia di via Buonarroti, che con la benedizione di Sclavi si appresta a restituire ai fan dell'indagatore dell'incubo un Dylan di nuovo in grande spolvero. Ma questo è solo il preludio alla grande rivoluzione che sta per avvenire.

Un mese dopo, esattamente il 16 ottobre 2013, esce nelle edicole il primo numero di Orfani, il fumetto più atteso dell'anno (se non dell'ultimo decennio). E quello che sarà con molta probabilità il vero spartiacque nella produzione fumettistica contemporanea, un ponte tra un "vecchio" e un "nuovo" modo di fare fumetti in Italia. È la storia di un gruppo di bambini, sopravvissuti a quella che sembra una catastrofe nucleare – ma che scopriamo subito essere un attacco alieno – che devasta il pianeta e uccide gran parte della popolazione mondiale. Immediatamente vengono reclutati da una superorganizzazione militare internazionale (l'ultima ancora in attività sulla faccia della Terra) che li sottopone ad un durissimo addestramento, fino a renderli degli inarrestabili guerrieri dalle scintillanti armature ipertecnologiche, pronti a vendicarsi di chi ha portato il genere umano sull'orlo dell'estinzione. Con Orfani, nuovo mensile ideato, scritto e disegnato da Franco Busatta, Emiliano Mammucari e (guarda un po' chi c'è anche qui) Roberto Recchioni, si gettano le basi per una rivoluzione a trecentosessanta gradi del fumetto bonelliano.

È una svolta. È un nuovo modo di fare fumetti che si avvicina sempre di più a quello dei comics americani, sia dal punto di vista della produzione, sia per ciò che riguarda strettamente l'aspetto grafico. Mammucari raccoglie infatti la lezione dei colleghi d'oltreoceano e la applica con maestria alla sua creatura: nel primo numero, Piccoli spaventati guerrieri, il lettore impatta con una forte dinamicità del tratto e si individuano chiare influenze provenienti dal mondo supereroistico a stelle e strisce, tra cui la sovversione – qui ancora moderata – della classica “gabbia” bonelliana delle sei vignette distribuite su tre strisce, punteggiata da un uso preciso delle splash pages, strizzando un po' l'occhio anche al mondo del manga e dell'anime giapponese – con una discreta presenza di scie cinetiche – a cui si rifà anche parte dell'assetto iconografico della tecnologia bellica. L'influenza dagli States si fa sentire anche nel ritmo serrato della narrazione, in cui i dialoghi, che sembrano scritti dallo Stanley Kubrick di Full Metal Jacket, sono ridotti all'essenziale per lasciare maggiore spazio al racconto per immagini.

Ma c'è di più: il grande elemento di novità è l'abbandono del classico bianco e nero che da decenni caratterizza il fumetto popolare "bonelliano". In passato alcune eccezioni a questa regola ferrea c'erano state, come ad esempio i numeri cento delle serie storiche, o comunque in occasioni speciali come i vent'anni dalla nascita di questo o quel personaggio, o ancora con albi fuori dalla serie regolare come gli speciali, i Dylan Dog Color Fest o i favolosi “texoni”. Il colore con Orfani diventa invece "di serie". Non sono semplicemente delle tavole inchiostrate e poi dipinte: dietro alla colorazione digitale di ogni singola immagine c'è uno studio attentissimo di ogni singola tinta e sfumatura. Il disegno è concepito fin dall'inizio per accogliere il colore e la policromia non è mai fine a se stessa, come mero effetto speciale, ma si configura sempre e comunque come elemento narrante, assolvendo a quella funzione che nel cinema è propria della colonna sonora: accompagnare l'immagine e contribuire alla costruzione di significati, specie in relazione agli stati d'animo dei personaggi. Quindi in una scena dalla forte tensione emotiva si avrà un rosso acceso o un arancione, mentre il blu verrà destinato piuttosto a vignette dal mood melanconico.

In passato la Bonelli aveva imposto de facto (controllando ancora oggi quasi un terzo del mercato italiano) il bianco e nero come lo standard nella produzione nostrana. Una condizione dettata inizialmente da motivi meramente economici: il colore “costa” e negli anni del secondo dopoguerra, quando cioè Gianluigi Bonelli (papà di Sergio e ideatore di Tex) iniziava a muovere i suoi primi passi, c'erano grandi difficoltà già solo nel procurarsi la carta. Il primo formato di pubblicazione era infatti a striscia – spillata o brossurata – in bianco e nero, reperibile in edicola ad un prezzo davvero irrisorio e adeguato alle tasche (pressoché vuote) dei giovanissimi acquirenti. Neanche il successivo avvento della stagione delle riviste dedicate, il boom economico dei Sessanta e l'importazione massiccia dei supereroi DC e Marvel in technicolor, nulla di tutto ciò ha potuto scardinare quello che ormai si era configurato come segno distintivo e vero e proprio marchio di fabbrica.

Oltre all'uso del colore, che già di per sé potrebbe bastare a sconvolgere le non-più-giovani menti dei lettori storici delle testate Bonelli e che invece funziona come ottimo richiamo per i nuovi adepti, ci sono tante altre novità non strettamente legate ai contenuti, ma che riguardano in un certo qual modo le modalità di fruizione.

Una di queste novità riguarda lo stravolgimento delle tecniche di promozione. Storicamente, l'approccio all'advertising si è sempre contraddistinto per un'impostazione “autoreferenzialista”: i fumetti Bonelli si pubblicizzano solo sui fumetti Bonelli, e sui fumetti Bonelli non si pubblicizza altro che i fumetti della Bonelli. Nell'ultimo periodo, in concomitanza con le pubblicazioni e le ristampe di Tex e Dylan Dog per Repubblica, si era registrato un certo “sconfinamento” su altri media; ma nel caso di Orfani la campagna promozionale è stata di dimensioni inaudite e ha sfruttato anche canali non convenzionali come le video interviste su YouTube o la distribuzione gratuita del “numero zero” – una specie di volantino formato fumetto – sulla piattaforma online Multiplayer.it, sito dedicato all'informazione videoludica.

Per ciò che riguarda strettamente la produzione, e più nello specifico le logiche legate ai meccanismi di fidelizzazione del lettore, anche qui Recchioni e soci hanno lanciato una proposta nuova. Orfani è una miniserie di dodici puntate, al cui termine però è previsto un ciclo di altre tre “stagioni” – un po' come accade anche per i manga: una mossa d'astuzia, che crea nel prodotto fumettistico delle precise assonanze con un altro mondo che al momento sta vivendo la propria golden age, quello delle serie televisive.

Perché in fondo tutte queste strategie messe in atto dal team di Orfani fa capo ad un solo grande obiettivo che guida tutta la politica di svecchiamento editoriale della Bonelli, cioè puntare su quella fetta di pubblico che fino ad ora era stato ignorato dal mondo dei comics italiani: il mondo dei giovanissimi, quella fascia pre-adolescenziale tutta serials, videogames e fumetti giapponesi – che guarda caso coincide esattamente con la fascia d'età dei piccoli protagonisti della nuova serie di cui ci stiamo occupando. Orfani dunque rappresenta per la Sergio Bonelli Editore lo stadio finale della trasformazione da bruco in farfalla – per parafrasare Lao Tzu – che riuscirà a portarla fuori dalla crisi, proiettandola verso un futuro rigoglioso. O almeno si spera.

Non è la prima volta che la casa editrice si trova a dover fronteggiare un drastico calo delle vendite come in questo periodo di congiuntura negativa. A dirla tutta, l'emorragia inarrestabile di lettori ha avuto inizio già negli anni Novanta: una disaffezione diffusa ha progressivamente eroso le tirature di tutte le case editrici, portando spesso alla chiusura di quelle testate che non riuscivano purtroppo ad arginare le perdite. La Bonelli da questo punto di vista è sempre riuscita a giocarsela bene, un po' forse aiutata dal fatto di avere tra le sue produzioni personaggi solidissimi come Tex Willer e Dylan Dog che portano con loro un buon numero di aficionados. Ma con l'arrivo della grande crisi economica degli ultimi anni, è stato necessario mettere a punto nuove strategie difensive: oltre ad introdurre nuovi personaggi (mandando contemporaneamente in pensione quelli un po' più vecchi e meno redditizi), quali Julia, Dampyr e Brendon per citarne alcuni, la vera grande intuizione ha interessato le nuove modalità di produzione. Nel primo decennio del nuovo Millennio, la Bonelli lancia tutta una serie di pubblicazioni “a breve scadenza”, delle miniserie di dodici o diciotto numeri (dai costi nettamente più contenuti rispetto alle serie regolari) che coprono una vasta gamma di generi, dal noir metropolitano di Demian, al poliziesco anni Settanta di Cassidy, fino allo steampunk avventuroso di Greystorm; dall'altro lato intanto propone la collana Le Storie, albi autoconclusivi simili a dei mini graphic novel mensili ambientati in varie epoche storiche. Un'offerta che quindi si amplia e si diversifica sempre di più, fino a rendere la Bonelli una sorta di “supermarket” del fumetto, dove ogni lettore può ritrovare il genere che più soddisfa i propri gusti.

Abbiamo detto che il target di riferimento a cui si rivolge Orfani è la fascia d'età che si aggira intorno ai dodici/tredici anni: un pubblico che snobba il fumetto italiano e confluisce invece verso prodotti di tutt'altro genere o di tutt'altra nazionalità. Ma per riuscire a conquistare i nuovi lettori, il trio Busatta-Mammucari-Recchioni utilizza invece una tecnica che la Bonelli ha già collaudato nel corso del tempo: il meccanismo della citazione. In Orfani è intessuta tutta una rete di rimandi che rimbalzano da un medium all'altro, in un paradigma citazionista complesso e articolato che è del resto la cifra stilistica di tutte le opere di Roberto Recchioni.

Fin dai primi albi, la citazione è stato uno degli strumenti principe di casa Bonelli, che serviva un po' anche ad “ancorare” il singolo personaggio, la storia o anche solo il piccolo dettaglio ad un universo di riferimento precostituito – e ben consolidato – a cui il consumatore potesse fare appello ai fini di una migliore comprensione ed identificazione. Fino a questo momento però i lavori avevano attinto sempre e solo a fonti letterarie o al massimo cinematografiche – e in particolare queste ultime venivano utilizzate come una sorta di portfolio di volti da poter appiccicare sulle facce dei nostri beniamini di carta (vedi Dylan Dog/Rupert Everett, ma anche Julia Kendall/Audrey Hepburn). Con Orfani questo meccanismo diventa più ampio e si interfaccia con i media più disparati, finendo con l'abbracciare l'intero universo fantascientifico audiovisivo degli ultimi trent'anni. Orfani è un idillio al postmoderno che si manifesta fin dalle primissime tavole: un pot-pourri di immagini catastrofiche prese a prestito dall'iconografia apocalittica e post-apocalittica dell'intero sistema dei media, dal fumetto (l'esplosione di quella che ha tutta l'aria di essere una bomba atomica è un esplicito omaggio ad Akira di Katsuhito Otomo) al cinema, passando per artefatti mediali di nuovissima generazione, come le serie tv e i videogiochi, utilizzando e rivisitando all'interno del fumetto il linguaggio degli altri media audiovisivi, in contaminazioni sperimentali che però funzionano – e funzionano anche maledettamente bene.

In questo senso, il paradigma citazionista (o come preferisce chiamarlo Recchioni, il suo “uso massiccio di archetipi”) è infatti estremamente funzionale, assumendo il ruolo fondamentale di bussola per i “neofiti”, in modo da orientarli nella lettura di un artefatto culturale con cui non hanno nessuna familiarità. Piegarsi dunque alle logiche di altri media, mutare forma, trasformarsi da bruco in farfalla per poter sopravvivere, anzi, rinascere con nuovo vigore, con un vigore che contraddistingue tutte le produzioni targate Bonelli e che le ha consentito di essere sempre all'avanguardia nel settore. L'incipit stesso è una dichiarazione di intenti: facciamo tabula rasa, diamo un nuovo inizio. Proprio ciò che vogliono fare Mammucari e Recchioni: dare al fumetto targato Bonelli un nuovo inizio, una sorta di rinascita, andando ad “acciuffare” quel pubblico che non riesce più ad intercettare perché parla un linguaggio iconografico differente.

Esiste comunque un trait d'union tra il vecchio e il nuovo, un elemento che ricollega quest'opera a tutto ciò che la precede e che si può individuare in quella vocazione, propria di Sergio Bonelli, alla valorizzazione sistematica del medium fumetto, all'elevazione del gusto del lettore e infine alla nobilitazione di un mezzo da sempre relegato all'alveo delle manifestazioni della cultura “bassa”, e che invece è spia di un'emozione culturale che attraversa da parte a parte e si manifesta nell'intero apparato mediale. Come in tutta la produzione della casa editrice, anche qui, tra le righe, leggiamo un sottotesto politico complesso, di critica nei confronti del mondo in cui viviamo. Perché l'universo rappresentato in Orfani è esattamente il mondo allo sfacelo in cui noi viviamo, in cui la società è incattivita, l'ordine sociale è sovvertito e vige di nuovo la legge del più forte.

Ci troviamo di fronte ad un prodotto del genere post-apocalittico, un filone della fantascienza che nell'ultimo decennio sta sfornando una valanga di materiale in ogni campo della narrazione audiovisiva, proponendo innumerevoli variazioni sul tema, dagli zombi (vedi in questo numero) alle catastrofi nucleari, passando per invasioni dallo spazio e mille altre ancora. Lo stragrande successo è certamente legato alla “sindrome da fine del mondo percepita”, o come lo chiamerebbe Frank Kermode a quel modello di ansietà che ciclicamente si ripropone e riversa nell'immaginario collettivo il “senso della fine” che accompagna le transizioni da un'epoca all'altra, come accadeva ad esempio con l'avvicinarsi dell'anno Mille o molto più recentemente con la fine del XX secolo e la fobia del Millenium Bug. Il mito dell'Apocalisse (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 42) è tipico della modernità e ha la tendenza a manifestarsi in maniera ricorrente: ad ogni crisi si ha la percezione dell'unicità della tragedia che si sta attraversando, ogni volta sembra che sia la volta buona e che, come recita una vecchia filastrocca per bambini, il mondo possa davvero cascare giù per terra. Ciò che ci fa sentire la fase critica in cui ora ci troviamo ancora di più come unica e insuperabile è la copertura mediatica delle manifestazioni della crisi, che amplifica a dismisura e diffonde su larga scala le immagini orrorifiche delle catastrofi mondiali, a cui abbiamo facile accesso grazie alle tecnologie sempre più avanzate della comunicazione multimediale.

Un'ultima annotazione: qui la minaccia che tenta di cancellare per sempre l'essere umano è un qualcosa che proviene dall'esterno – in questo caso un branco di “alienoni” luminescenti. Non sempre nelle produzioni post-apocalittiche ritroviamo questa tendenza alla deresponsabilizzazione, al voler individuare in un'entità esterna il fattore foriero di morte e distruzione del genere umano. Sono rari i casi in cui l'homo sapiens non viene accusato di essersi rovinato con le proprie mani: è un po' come se volessimo dire che la fine del mondo, quella che i lettori e gli spettatori vivono davvero al di fuori dell'immaginario collettivo, non sia colpa nostra. Che non siamo stati noi a portare il mondo sul baratro. Parallelamente però Orfani è anche la storia di un'infanzia negata, di bambini che diventano adulti troppo presto e troppo in fretta: è la storia della nostra perdita dell'innocenza. Questo allora potrebbe segnalare anche qualcos'altro, magari il nostro essere consapevoli della possibilità di aver avuto un ruolo attivo in questa faccenda della fine del mondo e che in un modo o nell'altro ora siamo costretti a dover rimediare – del genere “chi rompe paga e i cocci sono i suoi”.

 


 

LETTURE

  AA. VV., L'Audace Bonelli. L'avventura del fumetto italiano, Gruppo Editoriale L'Espresso, Torino 2011.
Chiurazzi Gaetano, Il Postmoderno. Il pensiero nella società della comunicazione, Bruno Mondadori, Milano 2002.
Kermode Frank, Il senso della fine. Studi sulla teoria del romanzo, Rizzoli, Padova 2004.