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LETTURE / ZOMBI. OLTRE 900 TITOLI PER NON RIPOSARE IN PACE


di Francesco Lomuscio / Universitalia, Roma, 2013 / pp. 488, € 29,90


 

Morti viventi, un genere immortale

di Marco Meloni

 

La complessità del mondo umano e delle interazioni sociali è da secoli al centro di un dibattito fra le scienze, che cercano di comprendere, se non addirittura di spiegare, funzioni e strutture delle articolate società nelle quali viviamo. Un mondo composito, eterogeneo, incapace di essere sintetizzato e chiarito in maniera semplice e nomotetica. Quando l’antropologo James Clifford (1993) parla di frutti puri impazziti sa bene che ormai definire qualcosa in modo stabile e certo è divenuto impossibile, poiché troppe sono le contaminazioni e le cause di un medesimo fenomeno.

Questa incertezza e molteplicità non risparmia certo il mondo dell’immaginario e dell’orrore. E lo stesso personaggio, la stessa realtà, la stessa tradizione possono essere interpretati secondo modelli e riferimenti completamente diversi.

Pensiamo solo per un attimo alla grande varietà di mostri che possiamo incontrare nella produzione culturale occidentale. Ci sono i mostri “insospettabili”, come la vecchina che ci offre dei dolci perché vuole cucinarci o la spietata regina che necessita di rimanere la più bella del reame. Il serial killer in giacca, cravatta e biglietti da visita dorati, o il bambino al cui passaggio cadono le croci e si muovono schiere di corvi neri. Ci sono i mostri seducenti e talvolta aristocratici. Che fanno infrangere le navi contro gli scogli o ci spingono a non rifiutare, anzi quasi ad amare, il male, a volerne fare parte, come le molte donne innamorate di vampiri che cedono la vita e il sangue a quell’amore immorale e peccaminoso. Ci sono i freak, i brutti, i reietti, a volte capaci di compensare il loro aspetto sgradevole con un animo innocente e in balia dei veri mostri, quelli dai capelli biondi come Olga Baclanova nel film di Tod Browning, Freaks. E poi ci sono loro, i mostri fuori e dentro. Serial killer degli incubi, morti viventi, mummie, mostri della palude, grandi divinità antiche del Necronomicon.

Ognuno di noi sceglie una sua nemesi nel mondo dell’orrore e da essa rimane affascinato, legandosi a una figura o a un personaggio specifico. E dando, talvolta, una lettura personale e del tutto nuova che ne arricchisce il suo significato e ruolo.

Francesco Lomuscio, autore del libro Zombi, oltre 900 titoli per non riposare in pace, agli zombie dice di preferire da sempre i film slasher, ma di non aver potuto rinunciare a scrivere di morti viventi, colpito dalla visione del film di George A. Romero e da un articolo apparso nel 1990 sulla rivista di genere Nosferatu. Il suo testo offre al lettore più di 900 recensioni di film, alcuni quasi impossibili da recuperare, rendendo evidente un universo estremamente vario di personaggi, tematiche, situazioni. Dai precursori di Romero ai nuovi zombie “usa e getta” dei film d’azione, dal valore sociale e proletario al tema dell’ostracismo sociale, dall’umanizzazione del mostro fino al passaggio dall’eroe all’eroina di molti film più attuali. Nell’intervista che segue ci illumina sul suo lavoro.

 

Perché pubblicare un libro sugli zombie oggi? È una casualità temporale o ci sono altre ragioni?

 

In realtà questo libro mi ha tenuto impegnato per ventitré anni. Non so dirti una data esatta, ma già nel 1996 avevo fatto una tesina di quaranta pagine che affrontava la nascita del cinema di genere sugli zombie dal 1932 al 1996. Credo però che l’interesse abbia preso corpo nell’estate del 1990, perché lessi su una rivista di cinema horror appena nata, che si chiamava Nosferatu, un articolo dal titolo I film che fanno resuscitare i morti, in cui venivano presi in considerazione un centinaio di film. Io sono sempre stato un appassionato di cinema horror sin da bambino, ho iniziato a vedere film dell’orrore quando avevo quattro-cinque anni, quindi nel 1990 avevo già un mio bagaglio culturale formato; eppure leggendo questo articolo rimasi colpito da una serie di titoli sconosciuti, rari o che non erano mai arrivati in Italia, e ciò mi ha spinto in modo decisivo verso questo tema.

Dal 1990 ho iniziato a cercare tutto ciò che riguardasse i film sugli zombie, e a scriverne fino ad arrivare a questo libro. È un caso che sia uscito adesso che c’è questa “febbre”, esplosa soprattutto dopo la messa in onda di The Walking Dead; già nel 2008 avevo cercato un editore e solo per una serie di casualità il testo è stato pubblicato solo quest’anno.

 

Quali sono le caratteristiche specifiche dello zombie rispetto alle altre figure del mondo orrorifico? E quali hanno colpito o affascinato te tanto da scriverne un libro?

 

In realtà lo zombie non è nemmeno la mia figura preferita, perché preferisco gli slasher movie, i film alla Venerdì 13 o Halloween. Ma dalla lettura di quell’articolo del 1990 è cresciuta una forte passione anche per loro. C’è da dire che oggi tendiamo a identificare lo zombie con il morto vivente perché Romero nel 1968 con La notte dei morti viventi ce lo ha presentato in questo modo, come una salma resuscitata alla ricerca di carne umana che non ricorda nulla di quando era in vita. In realtà, nasce molti anni prima, e con caratteristiche molto più varie ed eterogenee; addirittura si parla di zombie per la prima volta in un romanzo del 1684. Nel cinema posso citare Il gabinetto del dottor Caligari del 1920 e L’isola degli zombies del 1932, in cui i protagonisti non sono morti viventi ma persone di colore che vengono schiavizzate tramite una potente droga che inibisce le capacità logiche ma non quelle motorie, e la magia voodoo. Quindi si muovono o agiscono senza essere consapevoli, senza una precisa volontà. Rispetto poi, ad esempio, al vampiro, che è una figura, se vogliamo dire, capitalista, l’aristocratico che succhia il sangue degli altri, lo zombie è una figura proletaria, tanto che nei primi film di genere è spesso un bracciante o un operaio. Qualcuno che è già controllato da qualcun altro anche prima della sua trasformazione.

 

Al Museo del Manifesto Cinematografico di Milano si è tenuta una mostra sui manifesti dei film di vampiri, zombie e lupi mannari (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 46). Secondo gli organizzatori solo la figura del vampiro, fra le tre, si è evoluta in questi anni. Tu cosa pensi?

 

È una tesi che parte, a mio avviso, da una scarsa conoscenza del tema. Il vampiro si è ovviamente evoluto, ma Twilight, ad esempio, non porta all’attenzione del pubblico nuove figure vampiresche. È semmai una versione Harmony del vampiro del passato, ma i caratteri fondamentali rimangono i medesimi: è sempre un bello che ama e ama attraverso il sangue. Di vampiri brutti al cinema ce ne sono stati pochi, ad esempio in Vamp o in Dal tramonto all’alba, dove i vampiri erano esseri mostruosi. Dracula è l’emblema del bello che seduce. Non diventa mostruoso se non mostrando i canini, che poi non sono presenti nemmeno in tutte le sue trasposizioni cinematografiche. Lo zombie, invece, parte invece come uno schiavo sfruttato per gli scopi del padrone di turno e poi, prima di arrivare a Romero, negli anni Cinquanta, fondendosi con la fantascienza, viene utilizzato metaforicamente come allegoria del nemico comunista nei film di genere americani. C’è una pellicola in particolare, Assalto dallo spazio di Edward Cahn, in cui gli zombie sono corpi in cui si sono insediati degli alieni; un vento che resuscita i morti e li usa contro i vivi, con un’aggressività che sarà poi ripresa in molte delle pellicole successive.

 

E George Romero?

 

Con Romero è nata la figura moderna di zombie. Dal suo film del 1968 a oggi lui ha sempre avuto un occhio particolare per il contesto sociale e politico in cui i morti viventi si trovavano. I suoi film non sono dei veri e propri horror, ma spesso è predominante il carattere di denuncia politica: Il giorno degli zombie, il terzo capitolo della serie, a me personalmente piace poco proprio perché gli zombie sono ridotti all’osso nella loro caratterizzazione mentre si concentra l’attenzione sul militarismo e l’anti-reaganismo, poiché il film è del 1985.

In generale Romero ha sin dal 1968 cercato di portare all’attenzione nei suoi film alcuni temi sociali rilevanti: ne La notte dei morti viventi l’eroe è un uomo di colore, cosa impensabile per i film dell’epoca e in Zombi del 1978 lo scenario è un supermercato e vi è una forte critica ai luoghi e ai templi del capitalismo. Recentemente, con il nuovo interesse per il genere, sono uscite ben tre sue pellicole, La terra dei morti viventi, Diary of the Dead e Survival of the Dead, in cui Romero muove pesanti critiche all’America di Bush, alla faziosità dei media e al bisogno di imporre guerre non necessarie.

 

Hai in parte anticipato un tema importante. Lo zombie ha radicata in sé questa valenza “sociologica” di critica del sistema. Può nascere per un incidente nucleare, per un virus creato in laboratorio, per la follia dell’uomo che sfida la natura o le sue leggi. Secondo te perché si presta meglio di altre figure dell’immaginario collettivo a questo tipo di analisi, molto più politica?

 

Prendiamo sempre ad esempio il vampiro, che per me è esattamente l’opposto dello zombie. È bello, aristocratico, ricco, di successo. Perfettamente inserito. Lo zombie è un mostro che ci fa pena perché è brutto, sgraziato e si tende a emarginarlo. È una conseguenza di un errore, un fallimento, che l’ha reso specchio della parte più crudele dell’essere umano. La ricerca di carne non è altro che il tentativo di riprendersi qualcosa, il desiderio di tornare a essere parte della società tramite la materialità del corpo. Mentre lui marcisce, ha bisogno di parti nuove da consumare per sentirsi ancora presente, considerato. È una sorta di rivincita sulla carne, la sofferenza di un desiderio, quello di voler tornare umano, che non può essere soddisfatto e che lo mantiene ostracizzato e lontano dal resto della società.

 

Cosa pensi del successo di Warm Bodies? E di World War Z (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 46)?

 

Warm Bodies in qualche modo può essere interpretato come uno zombie alla Twilight, anche se preferisco il modo in cui il regista ha affrontato il personaggio e la trama. C’è maggiore aderenza ai temi classici della figura e non si è persa la capacità di raccontare i morti viventi pur inserendo il romanticismo nella storia. Non è paragonabile ad altri film di genere, ma lancia comunque un messaggio importante: l’amore rende umani. Lo zombie ha bisogno di tornare a essere umano e lo può fare anche tramite i sentimenti e non solo con il possesso della carne. Poiché questo film si rivolge a giovani teenager, che oggi hanno sempre più confusione riguardo ai valori e alle cose importanti da perseguire, credo sia giusto puntare su questo tipo di messaggi. Esistevano comunque già delle storie d’amore anche in passato: ne Il ritorno dei morti viventi 3 del 1993 c’è una storia alla Romeo e Giulietta in chiave moderna; in Zombie Honeymoon del 2004 si racconta il viaggio di nozze fra una donna e il marito trasformato in zombie. Sebbene entrambi i film presentino scene più sanguinose di Warm Bodies, che si rivolge a un pubblico più giovane. Per quanto riguarda invece World War Z, è probabilmente il film di morti viventi più spettacolare della storia del cinema, perché, avendo speso molto, i produttori si sono potuti permettere delle incredibili scene di massa. Funziona molto bene come action movie ma gli zombie sono un pretesto: non c’è mai uno sbudellamento, non c’è sangue, vedi folle che si ammassano, saltano, aggrediscono, ma mai nessuno viene ucciso. È il film blockbuster dove Brad Pitt combatte i morti viventi, che in realtà non sono nemmeno tali poiché frutto di una contaminazione. Ha una bella trovata finale, che non si era mai vista nel cinema horror, ma direi più un bel film confezionato per il grande pubblico che un lavoro valido per il genere. Non fa paura e non vuole far paura. È un film furbo che guarda a un pubblico ampio e per questo evita ogni elemento splatter o disgustoso.

 

Il tuo film preferito di quelli che hai recensito? E quello invece che consideri il peggiore?

 

Questa è una domanda che mi fanno in tanti ed è difficile rispondere. Per questo libro ho schedato 906 film, e se contiamo anche i riferimenti e le citazioni arriviamo rapidamente ai 1.200 circa. In assoluto, il migliore è La notte dei morti viventi, non c’è alcun dubbio. Condensa perfettamente i caratteri e i valori dello zombie rimanendo ancora attualissimo e moderno nella sua narrazione. E ha rilanciato il genere horror negli anni Settanta. Poco dopo sono arrivati infatti L’ultima casa a sinistra di Craven, Non aprite quella porta di Hooper e Halloween di John Carpenter, che sono la base della moderna cinematografia del terrore. Della serie di Romero, la pellicola che rivedrei però più volentieri è La terra dei morti viventi, perché è quello in cui la dimensione sociopolitica si fonde meglio con la trama. Mi piacciono anche molto Il ritorno dei morti viventi, un classico film horror anni Ottanta che gioca bene, senza esagerazione, con lo splatter, pur non facendo molta paura. E poi c’è un piccolo film che mi piace sempre citare, che ho inserito nel libro perché non ne parla quasi nessuno, che si chiama La notte di Halloween, un film televisivo del 1985 in cui dei ragazzi vanno al cimitero la notte di Ognissanti per leggere un’antica pergamena e resuscitano i morti. Anche in questo caso vi è, pur non mancando scene violente, poco splatter e una colonna sonora anni Cinquanta che lo rende simile a un teen movie del passato. A me piace moltissimo.

Fra i peggiori direi Zombie Chronicles, che è davvero orribile, o Oasis of the Zombies di Jess Franco, che è noiosissimo, soporifero, fatto male, con degli zombie ridicoli che non nascondono minimamente il fatto di indossare del trucco o delle maschere. L’ho dovuto vedere due volte, in due versioni differenti, una francese e una spagnola, e sono una più brutta dell’altra.

 

Per concludere, oggi gli zombie sono anche nei videogiochi, nelle applicazioni per telefonini, nella pubblicità. Io ho almeno due giochi nel mio iPad con gli zombie e un paio di titoli per le console a casa. Secondo te questo tipo di fenomeni fa bene o male al cinema di genere?

 

Secondo me il videogioco ha ucciso l’horror, soprattutto l’horror di zombie. Il cinema degli ultimi anni non vede più i non morti come spaventose creature ma come bersagli da colpire, in perfetto stile videogame. Un tempo i protagonisti erano cittadini comuni, persone che dovevano scappare. Oggi, dopo Resident Evil, sono tutti militari, armati fino ai denti, capaci di fronteggiare qualsiasi nemico. Non c’è più bisogno di aver paura del morto vivente. Automaticamente chi guarda il film si aspetta di vedere il momento in cui l’umano spara allo zombie e non più quello in cui lo zombie aggredisce l’umano. Peggio ancora, le nuove protagoniste sono tutte donne, il sesso debole che sovrasta gli zombie. È in qualche modo il mettere la parola fine alla paura; se anche le donne, da sempre le vittime designate, possono affrontare qualsiasi pericolo, non vi è più nulla di cui spaventarsi. Basta vedere il remake de La notte dei morti viventi: nell’originale, la protagonista, una donna indifesa, era uccisa dal fratello trasformato in zombie; nel film di Tom Savini la ragazza indifesa diviene una cacciatrice che spara in testa agli zombie senza avere più paura di loro. Quando anche una comune mortale passa in mezzo ai non morti senza alcun timore non c’è davvero più nulla che possa spaventare.

 


 

LETTURE

  Clifford James, I frutti puri impazziscono. Etnografia, letteratura e arte nel secolo XX, Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
Nardulli Gianluca, I film che fanno resuscitare i morti, in Nosferatu, Numero 2, Luglio/Agosto 1990, Edizioni Acme, Roma.
Skal David James, The monster show. Storia e cultura dell’horror, Baldini e Castoldi, Milano, 1989.