LETTURE / DISTORSIONES
di David Roas / Páginas de Espuma, Madrid, 2010 / pagine 176 / € 14,00
Stanze fantastiche
di vita quotidiana
di Livio Santoro
“Il mondo – scrisse una volta Borges – disgraziatamente, è reale; io, disgraziatamente, sono Borges” (2002, p. 186). David Roas, giovane autore barcellonese, sembra volersi adattare in continuazione a questo adagio nelle cento e passa pagine di
Distorsiones, la sua ultima raccolta di racconti e micro-racconti a spasso tra il fantastico metropolitano e il
nonsense contemporaneo. Le storie che si susseguono hanno, infatti, la testardaggine della realtà, e allo stesso tempo la disarmante evidenza delle prospettive. Ma va detto che le due cose, probabilmente, non si allontanano troppo l’una dall’altra. Si provi a fare qualche esempio da questa galleria di racconti: c’è la storia di un uomo che esce dal proprio corpo sdoppiandosi mentre fa l’amore con la propria moglie (El precio del placer); c’è il racconto di un piccolo mondo familiare ripreso dalla soggettiva di un bimbo autistico (Juegos de bebé); ci sono le vicende di un uomo che si trova invariabilmente proiettato sul marciapiede ogni volta che tenta di entrare nel portone del proprio palazzo (Excepciones); c’è la proiezione di una televendita distopica in un mondo in cui il muro, a Berlino, è crollato dall’altra parte (Usos y abusos del comunismo – La tienda en casa); c’è il ritratto di una città in cui chiunque cammina per le strade, chiunque si ferma al bar a prendere una birra, chiunque incontra gli altri, è semplicemente morto (Silencio). Insomma, una galleria di
topoi fantastici e quasi-fantastici in cui la biforcazione e la rifrazione, la scomposizione e la distorsione (programmatico è il titolo della raccolta) sono i temi portanti di un discorso sottostante che regge l’impalcatura della narrazione.
Per quanto le cose che accadono all’interno di tutte queste storie possano voler puntare il proprio fuoco sull’assurdo, esse innanzitutto, come vorrebbe Borges, parlano (in maniera squisitamente ironica) del quotidiano. Roas trasferisce nelle vicissitudini del “giorno dopo giorno” il gioco della frammentazione che è proprio del canone fantastico, rovesciando un assunto classico: alla presenza della realtà nel fantastico subentra l’innegabile presenza del fantastico nella realtà. È, in fin dei conti, il gioco delle prospettive e delle possibilità, francamente niente di più.
Quando Borges discusse circa la terribile testardaggine del reale nel suo essere tale, provò proprio a definire questa essenza quotidiana della porosità prospettica a cui si adeguano le note del fantastico. Le storie raccontate da Roas, per restare sul nostro tema, si fanno forti della dimensione del quotidiano allo scopo di estenderne la terribile sostanza alla piattaforma del fantastico: è così che il reale si appropria dell’immaginifico, non accade viceversa (per quanto le parole reale e immaginifico possano avere, in questa sede, un senso ben distinto tra di loro). D’altronde questi racconti, che non risparmiano su dettagli geografici, e su riferimenti cittadini della soggettiva del passante, si svolgono in (e raccontano di) una città che ha già discusso in maniera peculiare circa la materia disgraziata del quotidiano. Barcellona, fatta delle sue strade dritte dal cui orizzonte si inquadrano i tramonti in lunghissime strisce ritagliate nei palazzi – strisce che dal blu portano fino all’arancione più profondo – ha provato già in passato a fare i conti, a modo suo, con l’abbacinante dimensione del quotidiano, e soprattutto, con la frammentarietà intrinseca in questa dimensione. La bandiera artistica di Barcellona, ovverosia il modernismo, per affermare cosa risaputa, si propone uno schema narrativo peculiare: frammenta quadri compositi per poi ricostituirli ponendo talvolta quegli stessi frammenti nell’esatto posto in cui essi si trovavano in precedenza. Se per leggere in letteratura questa tendenza è necessario sfogliare libri su libri, basta camminare per le strade della città catalana e osservare quanto lo stesso modernismo ha fatto nelle arti figurative. Naturalmente, e purtroppo banalmente, bisogna citare Antoni Gaudí. Pur provandoci non è possibile fare altrimenti. Bisogna giocoforza mostrare un particolare (ne basta solo uno, perché la sua consistenza è in qualche modo totale) del grande quadro dipinto da colui che, a ragione o a torto, è stato chiamato architetto di Dio. Nascosto sul soffitto del colonnato irregolare del Parc Güell, nella parte più alta della città, c’è un fregio in cui alcune stoviglie (piattini e tazzine da caffè, nella fattispecie), preventivamente infrante in pezzi difformi, sono ricostruite quasi allo stesso modo di come esse erano prima della rottura. I frammenti di una cosa che si chiama realtà, ricostruiti secondo lo stesso ordine della stessa realtà, insomma. Ma con un piccolo (enorme) distinguo: tra un frammento e l’altro, invariabilmente, c’è un sottile ma visibile interstizio a legare quei due lembi che tra loro originariamente s’appartengono.
Si perdoni l’insistenza sul modello proposto in apertura, ma a questo punto non è possibile non citare nuovamente il vecchio Borges allorquando scrisse, con una specie di messianica ironia: “Noi (l’indivisa divinità che opera in noi) abbiamo sognato il mondo. L’abbiamo sognato resistente, misterioso, visibile, ubiquo nello spazio e stabile nel tempo; ma abbiamo ammesso nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di assurdità per sapere che è falso.” (2002, p. 130).
Questi “tenui ed eterni interstizi di assurdità” sono quanto la letteratura fantastica rende al mondo. Anche se il genere fantastico, come ogni altro genere, per citare ancora una volta Borges, è uno strumento convenzionale di interpretazione che non ha attinenza con quanto l’autore scrive: “I generi letterari dipendono, forse, meno dai testi che dal modo in cui i testi vengono letti.” (1981, p. 49).
Roas, tanto per non lasciare intentato il proposito di rendere palesi gli interstizi assurdi del reale, denuncia chiaramente tale necessità su cui si fonda il fantastico come interpretazione e fissazione di un genere letterario: “Tutto è assolutamente normale. Maledetta realtà” (“Todo es absolutamente normal. Maldita realidad”, 2010, p. 172, trad it. a cura dell’autore). Questa frase, che chiaramente fa da eco a Borges, messa a chiusura dell’ultimo racconto della raccolta Distorsiones, dichiara senza dubbio la necessità del dubbio, nella stessa realtà maledetta (come quella di Borges era disgraziata), che lascia visibili i suoi interstizi. Interstizi grigi messi tra un frammento colorato e l’altro, fra un pezzo e l’altro di un piattino da caffè, fra un tassello e l’altro di un mosaico a forma d’animale (come nelle fotografie più scattate dai turisti impertinenti che affollano Barcellona). E quando questa realtà è geograficamente riferita, quando cioè sta sul pianale conosciuto di un luogo familiare, succede proprio questo: la realtà assume i tratti fantastici della realtà stessa, ovverossia le prospettive diventano topoi letterari.
Uno di questi topoi più importanti, fondamentale per il canone, è unanimemente individuato nella confusione tra lo spazio e il tempo (prendete la spazialità del tempo o la temporalità dello spazio, fate voi); ecco che Roas si appropria di questo topos e lo trasferisce nel quotidiano, in una riflessione che ognuno di noi, probabilmente, avrebbe potuto fare (se non l’ha già fatta, questo è chiaro): “Calcoli che la casa si trova a un’ora e mezza di tragitto da Barcellona. È curioso – ti dici – tradurre la distanza in tempo e non in spazio. In treno, il tempo è la tua unica misura” (ibidem, pag. 24*). Come a dire che gli elementi costitutivi del fantastico, in un modo o nell’altro, si trovano nella realtà stessa, sono visibili ad occhio nudo (in questo caso, almeno, sembra possibile affermarlo). In altri casi il fantastico, pur offrendo la sua specifica connessione che lega le diverse maglie del reale, si innesta sulla immediata e individuabile dimensione giornaliera di un contesto palese, per routinizzarsi come un qualsiasi elemento della vita di tutti i giorni, come nel racconto El precio del placer, la storia dell’uomo che si sdoppia mentre fa l’amore con la propria moglie: “Io (i miei io) e mia moglie fummo enormemente felici per alcune settimane. E dato che lei non mi chiedeva nulla, immaginando che fosse contenta per il piacevole cambiamento avvenuto nella nostra vita sessuale, rimasi in un prudente silenzio e accettai con soddisfazione i miei successivi sdoppiamenti.” (ibidem, p. 47**).
La stessa cosa che avviene, per fare un altro esempio, nella testimonianza di chiusura del protagonista di quella Barcellona di Silencio, una città in cui girano solo defunti: “Improvvisamente […] una domanda irrompe nella mia testa, una domanda che non riesco a rendere in parole perché, in quello stesso momento, Juan afferra con forza la mia mano destra senza che io possa evitarlo, con un rapido movimento la mette sul mio polso sinistro, dove già so che mi attende soltanto il silenzio” (ibidem, p. 95***).
Tutto è già interno alla nostra realtà, gli stessi elementi che potrebbero negarla o quantomeno metterla in dubbio sono già al suo interno, non c’è bisogno di andare troppo in là per trovarli, ma la loro essenza palese e proprio per questo meno manifesta – come quella famosa lettera scorta da Dupin sulla scrivania del ministro D. (Poe, 2009) – rende questi elementi apparentemente troppo distanti da noi. E invece sono proprio qui.
* “Calculas que la casa está a una hora y media de trayecto desde Barcelona. Resulta curioso – te dices – medir la distancia en tiempo y no en espacio. En el tren, el tiempo es tu única escala” .
** “Mi mujer y yo (mis yoes) fuimos enormemente felices durante algunas semanas. Y puesto que ella no preguntaba nada, imagino que contenta por el agradable cambio producido en nuestra vida sexual, yo me mantuve en un prudente silencio y acepté con satisfacción mis sucesivos desoblamientos”.
*** “De pronto […] una pregunta irrumpe en mi cerbero, una pregunta que no llego a verbalizar, porque en ese mismo momento, Juan agarra con fuerza mi mano derecha. Sin que pueda evitarlo, con un rápido movimento la coloca sobre mi muñeca izquierda, donde ya sé que sólo me espera el silencio”.
LETTURE
× Borges J.L., Discussión, 1957, trad. it. Discussione, Adelphi, Milano, 2002.
× Borges J.L., Borges oral, 1979, trad. it. Oral, Editori Riuniti, Roma, 1981.
× Borges J.L., Otras inquisiciones, 1960, trad. it., Altre inquisizioni, Feltrinelli, Milano, 2009.
× Poe E.A., The Purloined Letter, 1845, trad. it. La lettera rubata, Mursia, Milano, 2009.