VISIONI / DREAMLANDS
a cura di Didier Ottinger e Quentin Bajac / Centre Georges Pompidou / Parigi
La città come rovina,
come memoria
di Alberto Abruzzese, Antonio Rafele
“La base su cui si erge il tipo delle individualità metropolitane è l’intensificazione della vita nervosa, prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni interiori ed esteriori. Anziché con l’insieme dei sentimenti, reagisce essenzialmente con l’intelletto. La più adattabile delle nostre forze interiori: per venire a patti con i cambiamenti e i contrasti dei fenomeni non richiede quegli sconvolgimenti e quei drammi interiori che la
sentimentalità, a causa della sua natura conservatrice, richiederebbe necessariamente per adattarsi ad un ritmo analogo di esperienze.”
G. Simmel, La metropoli e la vita dello spirito, 1903
Luci e colori, negozi e vetrine, sguardi e passanti, insegne e rumori... La metropoli offre sin da principio uno scenario inedito, un accumulo e un’intensificazione straordinaria degli stimoli e delle sollecitazioni, delle abitudini e delle assuefazioni, delle situazioni e delle circostanze. La metropoli intreccia zone del tempo libero, territori dell’arte, flussi incessanti di merci, visioni di architetture in divenire. A volte tutto questo si rifrange e si esibisce come nella mostra parigina Dreamlands, alimentando nuove suggestioni.
L’io vi si trova come spiazzato, stordito e spaesato, perduto in un mondo che non conosce e non gestisce ancora, un mondo che appare ineluttabile e insuperabile, nuovo e misterioso, discontinuo rispetto a ciò che lo precede, ai modi e agli equilibri vissuti e percepiti come naturali, consueti. La metropoli richiede un tempo più o meno lungo di adattamento, esige particolari strumenti, nuove organizzazioni sensoriali. L’io percorre le strade e i vicoli, i cantieri e i boulevard, avanza come sospeso e trasognato, si lascia attrarre, distrarre e sedurre, impara a vedere e non vedere, sentire e non sentire, accogliere e rifiutare. Il tutto senza permettere che qualcuno o qualcosa possa effettivamente incidere, colpire. Riesce in questo modo a seguire un ritmo veloce e dispersivo, a tollerare l’incontro di milioni di persone, a controllare un numero incalcolabile di offerte, segnali e indicazioni, senza subire particolari traumi o sconvolgimenti interiori. Il prezzo da pagare è tutt’altro che irrilevante o periferico: si ripercuote, al contrario, sulla struttura stessa del proprio esistere. Una tendenza costante e ripetuta alla rimozione, ad un ‘far finta” che solo alcune cose esistano o abbiano valore, genera in realtà un diverso modo di affrontare e concepire la vita quotidiana: lontani dai dettami di una classe o di una cultura dominante, da un insieme di regole, pratiche e costumi condivisi, ci si sente più liberi ma anche più soli, più autonomi ma anche più fragili e indifesi, esposti, come mai prima, agli umori e alle sensazioni individuali. La metropoli indebolisce e mette sistematicamente in discussione qualsiasi tipo di limite o confine, valore o convinzione. Un processo così estremo da spingere ad un’esperienza di morte, intesa come esperienza conclusiva e risolutiva, come soglia invalicabile, come limite mediante cui costruire e ricostruire un punto di vista, parziale ma efficace, sulla globalità del vissuto. L’io sente e percepisce la propria esistenza come un arcipelago di frammenti sparsi, come un susseguirsi di istanti discontinui, come un insieme di circostanze disparate, più o meno significative in base al momento, al proprio cocente e attuale bisogno, ma sempre sul punto di saturarsi. Un groviglio di abitudini più o meno solide e più o meno piacevoli ma, in ogni caso, necessarie a “fare” la propria vita, a disegnare un carattere altrimenti muto, molle e indecifrabile, a trattenere, a conservare, un’esistenza altrimenti vuota e distruttiva.
“Balzac ha parlato per primo delle rovine della borghesia. Ma solo il surrealismo ha liberato lo sguardo su di esse. L’inizio è dato dall’architettura che si fa costruzione ingegneristica. Segue la riproduzione della natura sotto forma di fotografia. La creazione della fantasia si prepara a diventare pratica come grafica pubblicitaria. La letteratura si sottomette al montaggio del feuilleton. Tutti questi prodotti sono in procinto di trasferirsi come merci sul mercato.
Le esposizioni universali nascono dall’intento di divertire le classi operaie e diventano per loro una festa di emancipazione. Le esposizioni universali trasfigurano il valore di scambio delle merci; creano un ambito in cui il loro valore d’uso passa in secondo piano; inaugurano una fantasmagoria in cui l’uomo entra per lasciarsi distrarre” (Benjamin, 2002).
La metropoli ottocentesca è il risultato di una serie di processi industriali, economici e culturali atti a creare un sistema di vita alternativo e profondamente discontinuo rispetto alla città storica. Fabbriche, trasporti, folla, costruzioni, stampa, fotografia, illustrazioni, passages, romanzi, blasé, distrazione e piacere, coscienza e memoria, pubblicità, esposizioni, negozi, vetrine, collezionisti, flaneur, mode, consumi, partiti e movimenti sociali... Processi, soggettività e tecnologie particolari confluiscono in un solo spazio, dando vita a significative innovazioni tanto sul piano dell’organizzazione sociale quanto su quello delle forme simboliche ed espressive. La metropoli è la rappresentazione di un istante in cui la verità è carica di tempo fino a frantumarsi, è la rottura improvvisa di ogni linearità e continuità del tempo a cui corrisponde la nascita di forme, intersezioni e connivenze mai prima sperimentate. Forme talmente forti da penetrare nella memoria profonda, archetipica, dell’individuo moderno, costituire gran parte delle sue immaginazioni e narrazioni, essere il teatro e la scenografia permanente dei suoi eroi, delle sue figure, dei suoi miti.
La metropoli è anche il luogo emblematico e creativo delle identità moderne, l’ambiente in cui si generano e si rigenerano i dispositivi ordinari di convivenza: istituzioni del potere, vissuti quotidiani, forme economiche e sociali del territorio, apparati di produzione e consumo, reti di comunicazione, spettacoli e divertimenti, organizzazione del lavoro e del tempo libero, servizi civici e misure di controllo, costumi, ritmi, rituali simbolici e religiosi. Tutti questi elementi subiscono, nella concentrazione nervosa e conflittuale della grande città, un mutamento tanto violento e tumultuoso da alterare ogni precedente modalità dell’esperienza umana, rendendola più adatta alle nuove condizioni di vita. Un delirio comportamentale e percettivo dovuto ai continui flussi umani e materiali, a comunità spinte da impulsi di fame, avventura, emancipazione, ricerca della fortuna, a individui “venuti da fuori” e perciò invasi da un vissuto del tutto estraneo agli usi e costumi delle loro tradizioni sociali, rituali e affettive. Un delirio che chiede di essere appagato e soddisfatto con la creazione di una realtà simbolica e culturale altrettanto intensa e potente del trauma vissuto, di una memoria e di un’identità altrettanto solide e convincenti di quelle appena distrutte.
Cinema e televisione rispondono perfettamente a questo bisogno: amplificano e riconfigurano i dispositivi comunicativi già sperimentati, accelerano le dinamiche spazio-temporali, creano infine i linguaggi, i luoghi, le narrazioni e gli immaginari tipici dell’identità e della cultura di massa. L’industria culturale che ne deriva è una sorta di esposizione universale permanente, un’ostentazione di beni a cui corrisponde un bisogno incessante di cose sempre nuove e seducenti. Hollywood, concerti rock, fumetti, romanzi, eventi sportivi, miti, divi, soap e serie tv, varietà e informazione, generi ed eroi, creano e diffondono presso molti una cultura colma di stereotipi e cliché, un sapere utile a riconoscere abitudini, tendenze ed emozioni, a ripetere percorsi, luoghi e immaginazioni, a scoprire differenze ma anche pratiche e credenze comuni, a giustificare le scelte, le azioni e i comportamenti individuali. La massa assume di riflesso una consistenza molto più significativa rispetto alla semplice somma di individui o classi sociali: sta infatti ad indicare l’avvenuta coesione di individui, dispersi ed estranei perfino a se stessi, intorno a totem, simboli e rituali comuni; sta ad indicare la nascita di una soggettività estranea alle distinzioni tra cultura alta e cultura popolare, attratta dalla sfera intima e profonda del sentire, dal raggiungimento di illusioni, sogni e desideri, dalla necessità di vivere intensamente gli istanti della propria vita.
“Può morire? Tutto ciò che muore ha avuto prima uno scopo qualsiasi, una qualche attività, e così s'è consumato. Ma Odradek? Scenderà le scale trascinando filacce tra i piedi dei miei figli e dei figli dei miei figli?”
(Kafka, 2006).
Distrazione, effimero, esposizioni universali. Fino agli anni Cinquanta siamo anche materialmente dentro la potenza e il fascino, il potere e la centralità, della metropoli. I media successivi non sono infatti che un prolungamento, un’espansione, una formidabile accelerazione. Il cinema offre prestazioni fantasmatiche, accelera le dinamiche spazio-temporali, promuove il bisogno di rompere e superare qualsiasi tipo di barriera fisica, compresa quella già fluida e porosa della metropoli. La fotografia abitua alla discontinuità, ad una continua e ripetuta esperienza di morte, ad un nuovo modo di concepire e costruire la propria identità. La radio e la televisione trasferiscono i consumi dal centro alla periferia, dalla massa al singolo, dall’esterno all’interno, riproducono, su ogni possibile territorio della mente e del corpo, i ritmi e le forme dell’industria culturale. Le reti liberano le potenzialità simboliche e culturali della vita metropolitana, permettono uno stile di vita finalmente estraneo ai modi e alle consuetudini della piccola città o della città storica. Il tutto determina un processo apparentemente multiforme, estensibile a piacere, ma in realtà ripiegato su se stesso, sulla propria riproduzione. Una stanza a specchi concentrici, un gioco di variazioni musicali o stilistiche intorno al medesimo tema. Un gioco in fondo monotono e ripetitivo, ma necessario, esclusivo, sostenuto e alimentato da infiniti e inaspettati travestimenti, volti, piaceri, desideri, sogni e speranze, illusioni e disillusioni. Un gioco dalle regole rigide e inamovibili, interamente dedito al presente e all’ultima novità, al suo eterno e fantasmatico imporsi come irresistibile e ineluttabile, come luce e faro, totem e modello dell’intero sistema, della moltitudine sparsa e variegata di pezzi, frammenti e identità da tempo ormai sperimentate, spinte, consumate. Così accade che Las Vegas o Dubai siano semplici specchi o riflessi dei media dominanti, delle loro immagini e aspirazioni, figure e particolarità, ultime frontiere di un pubblico “a venire”, ultime, luminose e trasparenti, frontiere del consumo, ultime e inarrivabili, giusto il tempo del loro breve e fulmineo passaggio, esposizioni universali. E così accade che Parigi, Londra e New York siano infine divenute mostre o parchi della memoria, accerchiate e obsolete come le “città vecchie” che hanno contribuito a distruggere, monumentalizzare, museificare. Rovine, dunque, macerie, tracce, impronte di un anelito perduto, di uno spirito che conserva il suo istinto originario ma acquista di volta in volta nuove forme, nuove maschere e sembianze, nuove immagini e prospettive. Rovine, dunque, ma anche memoria, ricordo, lascito e impronta di un potente e, forse, insuperabile archetipo.
LETTURE
× Abruzzese A., Forme estetiche e società di massa, Marsilio, Padova, 1973.
× Abruzzese A., Lessico della comunicazione, Meltemi, Roma, 2003.
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× Barthes R., Mythologies, 1957, trad. it. Miti d’oggi, Einaudi, Torino, 1974.
× Baudelaire C., Ecrits sur l'art, 1855-1865, trad. it. Scritti sull’arte, Torino, Einaudi, 1981.
× Baudrillard J., L’échange symbolique et la mort, 1976, trad. it. Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano, 2007.
× Benjamin W., Das Passagen-Werk, 1927-1940, trad. it. I passages di Parigi, Einaudi, Torino, 2002.
× Campbell C., The Romanthic Ethic and the Spirit of Modern Consumerism, 1987, trad. it. L’etica romantica e lo spirito del consumismo moderno, Edizioni Lavoro, Milano, 1992.
× Colaiacomo C., Camera obscura. Studio di due canti leopardiani, Liguori, Napoli, 1992.
× De Certeau M., L'Invention du quotidien, 1980, trad. it. L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma, 2001.
× Freud S., Das ungluck in der kultur, 1929, trad. it., Il disagio della civiltà, Boringhieri, Torino, 1971.
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× Rafele A., Figure della Moda, Liguori, Napoli, 2010.
× Simmel G., Die Großstädte und das Geistesleben, 1903, trad. it. La metropoli e la vita dello spirito, Armando, Roma, 1995.