“Robot che si autoreplicano,
vestiti di fibre ottiche, cervelli che si interfacciano
con i computer (e viceversa), posate e tovaglie che ci informano in tempo reale
sulle proprietà dei cibi, farmaci a misura di paziente ottenuti per biosimulazione, spray che generano fiducia, topi che
leggono Kant”.
Non è un estratto dalla quarta di copertina di qualche
Urania fa, ma il sommario di una pagina che Il Sole 24Ore
ha dedicato domenica 3 luglio 2005 ad alcuni possibili amplessi tra robot,
materiali e cervelli. Titolo: Dieci modi
di dire futuro e il sommario conclude: “Realtà e
fantascienza non sono mai state così vicine”.
Nello stesso mese di luglio, l’editore Fazi
pubblica Il libro del futuro - Come vivremo
nel XXI secolo di Andreas
Eschbach, scrittore di fantascienza e, in quanto
tale, appassionato di futuro. Scrive Eschbach “ Se ci raccontiamo le storie sul futuro lo
facciamo per influenzarlo”.
Giugno, appena un mese prima, il
direttore dei periodici specializzati AL e GdoWeek,
Luigi Rubinelli, scrive nell’editoriale del
supplemento speciale intitolato Future
Menu: “C’è una disciplina che si sta sviluppando a ritmi sconosciuti in
altri settori: è quella della previsione del futuro. Le aziende, i diversi soggetti
economici, non hanno soltanto bisogno di dati ma soprattutto di
informazioni, di tendenze, di capire come sarà il futuro nel breve e nel
lungo periodo. Non è affatto vero, come il senso comune vorrebbe, che tutti gli
sforzi delle diverse business community sono rivolti a
cercare risposte nel breve periodo. L’operatività, questa sì, va in quella
direzione, ma il top management è obbligato a fare l’esercizio della
previsione.”.
La Repubblica, il 3 dicembre
2005 pubblica
una riflessione del filosofo Yves Michaud
(uscito su Le Monde
il 29 novembre) dal titolo Il futuro non brilla più. Scrive Michaud: “Crisi delle utopie, crisi dei progetti, crisi dei
modelli, perfino crisi della storia divenuta finzione… il tempo si è per così
dire appiattito: non comporta più la dimensione di un fine ultimo che faceva
luccicare il futuro. Domani sarà come oggi, o semplicemente come
domani”.
A caso, accostando un paio di quotidiani, un libro, una
rivista specializzata, si scorge un’ansia di conoscere il futuro, di come sarà
o non sarà, perché le denunce di sparizione del futuro sono altrettanto
numerose delle anticipazioni sul domani. Non serve continuare, ma questa è una
lista che si va allungando a dismisura. I due fenomeni sono collegati, chi si
oppone al sistema denuncia di questo inquinamento
temporale, con la stessa critica che si ritrova in chi denuncia le alterazioni
del tempo meteorologico (la natura impazzita ecc.). Chi si erge a paladino del sistema cerca di ottimizzarlo, la vecchia favola del
capitalismo sano e le sue storture correggibili, quindi prevedere è non fare
errori verso l’esterno, il mercato obbliga ad anticipare gli altri concorrenti.
Chi prima pre/dice, pre/vede, pre/visiona, primo
arriva nella darwiniana competizione di mercato, ma
tutto è vano.
Vicolo cieco, poiché questa
relazione fomenta unicamente la redistribuzione del
tempo su un piano orizzontale. Gli attori di questa relazione sono, prima di tutto, concetti, astrazioni. Essi
agiscono in un tempo mitico, un tempo senza tempo, poderosa reiterazione
strutturale che unicamente riproduce la forza
consumo, lasciando scorrere immobile il tempo percepito, quello dello
shopping, dove si incontrano le reciproche aspirazioni, spesso confondendosi.
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