Marco Belpoliti 
Crolli

Einaudi

Torino, 2005

€ 7.00

 

 

 





 
Crolli di Marco Belpoliti


Entrati – più o meno trionfalmente – nel terzo Millennio (ricordate il finale di Strange Days?), possiamo cominciare a riflettere sul decennio che lo ha immediatamente preceduto: gli anni ’90 del Novecento. Periodo importante, perché è quello durante il quale vengono a maturazione i processi che accompagnano l’assestarsi della tarda modernità, della globalizzazione, della virtualizzazione delle cose.

Decennio di transito, come forse è stato il periodo a cavallo fra ‘800 e ‘900 (il punto di riferimento rimane lo Stephen Kern de Il tempo e lo spazio), perché vede dispiegarsi le mutazioni in senso “elettronico” dell’immaginario, ma anche, molto più prosaicamente e concretamente, due laceranti eventi “reali”, i crolli cui fa riferimento nel titolo Belpoliti: quello del “muro” di Berlino, quello delle “torri gemelle”.

Un decennio cosparso di macerie e relitti – sul piano locale, italiano, come su quello internazionale (cfr. anche la recensione di Anemia di Alberto Abruzzese in questo stesso numero di Quaderni), sul piano storico come su quello simbolico e estetico.

Marco Belpoliti è un sociologo della cultura, e quindi, citando Baudrillard ma anche Dick, Virilio ma anche Kundera e molti altri, si preoccupa di confrontare gli eventi “reali” con i riflessi che hanno avuto nell’immaginario e nella produzione estetica: sul corpo, quindi sulla sua destrutturazione attraverso le performances e le pratiche di artisti come Orlan e Stelarc; sugli oggetti e l’ambiente, attraverso la riflessione sulla categoria del kitsch, citando Hermann Broch, prima di tutto; sulla distesa di detriti che riempie simbolicamente il nostro orizzonte, anche attraverso il richiamo a pellicole come Matrix, Blade Runner, The Truman Show.

L’autore descrive un panorama complesso e articolato, che forse consapevolmente assume come luoghi cruciali tre elementi che individuano i tre mondi di cui parla Karl Popper: quello fisico fatto della pietra, del metallo, del vetro del muro e delle torri gemelle, che possiamo assimilare a elementi del paesaggio naturale; quello sociale, rappresentato dalle produzioni estetiche, dagli oggetti del kitsch alle opere artistiche; quello interiore, che possiamo anche individuare nel corpo individuale, in via di mutazione da sintesi di carne e “anima” forse nel corpo elettronico di cui sempre Alberto Abruzzese scriveva negli anni ’80 del secolo scorso. 

Il corpo, il luogo del nostro abitare, sentire, significare il mondo, pare tendere a svanire, come materia e come coscienza: l’arte degli anni ’90, sostiene Belpoliti, sembra cercare di scongiurare questo rischio – attraverso, aggiungerei, la denuncia e la rappresentazione della sua stessa sparizione.

Alle spalle, e alle origini di tutto il processo, sentiamo affacciarsi ancora una volta gli avvertimenti da Cassandra dei personaggi di Philip K. Dick e di George J. Ballard: Ubik, il Vaughan di Crash,  Palmer Eldritch, il Crawford di Cocaine Nights.


 

Recensione di Adolfo Fattori