di Paolo Landri
Può accadere anche ad un sociologo – che di solito legge, scrive, raccoglie dati, va sul campo, analizza, in un puro ed asciutto stile intellettuale in ambiti di ricerca seriosamente focalizzati sugli aspetti strutturali dei fenomeni sociali – di varcare, a latere di una passeggiata nel tempo libero, oppure di una pausa tra una sessione ed un’altra di una conferenza noiosa, le soglie di una mostra d'arte contemporanea e di rimanere colpito nella propria immaginazione al punto da riflettere sulle modalità di produzione della conoscenza e sugli effetti dell'arte sulla vita intellettuale.
L'esperienza di spaesamento che prelude ad una ristrutturazione dei processi conoscitivi – una riorganizzazione del campo fenomenico, una sorta di epifania epistemica se si può osare creativamente quest’espressione – è ciò che si intende raccontare in questo breve articolo, nel quale si descrive, da un lato, la fenomenologia di un’esperienza, attraverso un suo racconto e, dall’altro, si propongono spunti di riflessione sui modi di produzione della conoscenza sociologica e sugli effetti di ciò che in questa sede si intenderà per comprensione estetica.
L’esperienza di spaesamento di cui si parlerà non ha affatto i caratteri della generalizzabilità nel senso statistico del termine, né pretende, d'altro canto, di essere unica, almeno nella misura in cui non è incomparabile con altre simili esperienze, poiché riteniamo sia in grado di produrre delle risonanze, dei rimandi che possono costituirla come punto di partenza per un discorso più ampio e complesso sulla performance di differenti pratiche conoscitive. L'esperienza di cui vorremmo dire riguarda il resoconto di un collega-sociologo – del quale manterremo l’anonimato – che decide di visitare con il figlio maggiore la mostra Barock – Arte, Scienza e Tecnologia nella Società Contemporanea. Il collega-sociologo (che chiameremo Alter) rimane particolarmente colpito dalla Mostra e in una conversazione ci fa parte della sua esperienza, avviando una discussione ed una riflessione metodologica che si prolunga al punto da sollecitare un lavoro di ricerca del quale quest’articolo costituisce una prima temporanea stabilizzazione.
La mostra ha avuto molto successo ed è ancora online presso il relativo sito, cosicché l'esperienza di Alter può essere, in un certo senso, replicabile in modo virtuale.
Alter coltivava già da tempo il proposito di visitarla; si trattava, in fondo, di un luogo molto vicino alla Facoltà ed aveva il sentore che potesse trattarsi di una bella mostra. Ne aveva, inoltre, parlato più volte con il figlio maggiore che si era convinto di seguire il padre sia per accondiscenderne il desiderio – e di prestarsi al ruolo di “vittima” culturale – e sia perché il giovane era molto attratto dall’arte figurativa e dalla trasmutazione in rock della radice “barocco” che compariva nel titolo della mostra, avendo di recente abbracciato anche nel vestire un immaginario “dark” che associava all’ascolto di musica che metteva a dura prova le conoscenze e le orecchie del padre, vecchio appassionato di progressive rock e di jazz contemporaneo. Alter, dal punto di vista sociologico potrebbe considerarsi un “quantitativo” puro, appassionato di numeri e tabelle, e convinto che il sociale sia in definitiva una cosa (l’ha detto in fondo Émile Durkheim, ma lo hanno confermato la maggior parte dei sociologi della modernità) – come del resto si continua ad insegnare nelle aule di sociologia – con proprie leggi che il ricercatore attraverso approssimazioni successive riesce a disvelare e a rappresentare.
D’altro canto, Alter ha una sincera ammirazione per l’arte contemporanea e per l’arte in generale, ama visitare e frequentare mostre e atelier culturali e talora avverte di aver un cuore diviso tra la razionalità dei numeri del suo lavoro e il calore delle opere degli artisti e dei musicisti.
La visita di Alter e del figlio si svolge in un giorno infrasettimanale nel quale la mostra non è particolarmente affollata e le sale sembrano dispositivi ideali per la produzione di effetti di coinvolgimento-attaccamento opera-spettatore particolarmente interessanti dal punto di vista epistemologico.
La loro esperienza inizia subito dopo la biglietteria alla visione dello squalo in formaldeide di Damien Hirst che appare quasi un presagio di quell’estetica dell’eccesso caratteristica del barocco nel Diciassettesimo secolo come nell'epoca contemporanea (in questo caso, trasmutata in una forma di eccesso, di rock, se consideriamo che sul piano verbale in inglese to rock vuol dire scuotere, squassare, scombussolare, come nella canzone dei Queen, We Will Rock You).
Ai piani successivi Alter e il figlio attraversano le stanze della mostra, e inanellano una serie di incontri con le opere di 28 artisti contemporanei operanti sulla scena internazionale.
Si tratta dei lavori di artisti quali Koons, di Jake e Nikos Chapman, Jeff Wall, Sisley Xhafa, Parreno, Sherman, Cantor, Hirst, Gilbert and George, Neshat, Kapoor, Rovner, Claire Fontaine, Orlan, Bianco-Valente, Cattelan, che nella loro diversità e nel presentarsi come portato di esperienze differenti, hanno in comune – come si ascolta nella voce della mostra virtuale – “un gusto per l’immagine sensazionale” finalizzata, cioè, a colpire deliberatamente i sensi, con immagini forti, a tratti violente, caratterizzate anche da tentativi di provocazione nei confronti del fruitore, che viene messo continuamente alla prova attraverso continui slittamenti semantici (vero-falso, buono-cattivo, coinvolgimento-distacco) secondo l'estetica propria del barocco.
La Mostra, come si legge nelle presentazioni, ha come soggetto il barocco nella contemporaneità e la contemporaneità del barocco, osservando come attraverso le opere degli artisti si possa tracciare un filone comune che mette insieme due epoche, il Diciassettesimo e il Ventunesimo secolo, completamente diverse eppure accomunate dall’essere all’interno di grandi trasformazioni nella scienza, nella tecnologia, nell’arte e nel rilievo attribuito alla religione che conduce nelle due epoche a “massacri inauditi”, confermando per certi versi l'impressione che “non siamo mai stati moderni” (Latour, 1995).
La visita di Alter e del figlio si snoda, dunque, tra immagini infernali, spettacolarizzazioni della morte, vero e finzione, grottesco e allegoria. L’apice della loro esperienza riguarda, tuttavia, la sala 9, nella quale sono collocate alcune opere di Damien Hirst e di Mircea Cantor.
Ciò che colpisce, in modo particolare, Alter è un’opera, Sole Nero di Damien Hirst, che occupa una delle pareti della stanza. È un’opera molto grande che incuriosisce e che riempie di ammirazione Alter che avverte il senso del bello, del ben realizzato, del fatto ad arte. La curiosità lo spinge però ad avvicinarsi al quadro con il figlio e a far chiedere a se stesso ad alta voce quale sia il materiale di cui il Sole è fatto. Il figlio rapidamente gli fa notare che quel coacervo di “meraviglia” è composto di mosche morte ammassate in modo da riempire senza soluzione di continuità tutto il cerchio dell’opera.
Ciò che prima era stupore, curiosità, attrazione, ora si trasforma in Alter in repulsione, disgusto, rifiuto. E successivamente in un distacco ironico che segue alla prima impressione naive che il quadro gli aveva provocato. Un altro quadro, al lato opposto, del medesimo autore, rappresentante dei teschi riempiti di colore attraverso la stessa operazione di zooming-in e zooming-out (Nicolini, 2009), produce lo stesso effetto attaccamento-repulsione alla scoperta che il colore è prodotto dal sapiente posizionamento di splendide farfalle morte. A questo punto Alter è spaesato e inizia a riflettere di qui sino al termine della visita: Che tipo di evento si è verificato? Quale tipo di conoscenza si è prodotto in questo incontro? E perchè questa conoscenza gli appare così distante da quella che viene di solito insegnata nelle aule di sociologia? Vi possono essere degli ambiti di ricerca sociologica nei quali è possibile attingere o riprodurre questo tipo di conoscenza? Alter nota che molta parte della formazione sociologica dominante tende a mettere in evidenza modi della conoscenza di tipo razionale-cognitivo e a guardare con sospetto agli altri saperi filosofici, artistici che sono svalutati dal punto di vista della legittimità e dell’oggettività. In altri termini, si può immaginare una sociologia barocca, oppure si tratta di una provocazione, di un ossimoro che produce un cortocircuito tra epoche distanti? Ciò che questo in fondo banale episodio indica, e che ha provocato lo spaesamento di Alter (e non del figlio che in questo frammento sembra piuttosto assumere una posizione cinica), ce l’ha confessato nel corso della nostra conversazione, è per differenza la scoperta dell’an-estetizzazione della conoscenza sociologica (e di molta parte dei saperi disciplinari) che si produce e che si riproduce nelle aule accademiche e più in generale nei luoghi formali dell’educazione.
Naturalmente ciò non vale per tutti gli approcci sociologici e per tutti coloro che in qualche misura fanno uso della conoscenza sociologica. Ma nel canone istituzionale domina la convinzione che l’estetica sia marginale, o irrilevante. Non ci si riferisce al fatto che non vi siano insegnamenti di sociologia dell’arte e della letteratura, ma al riconoscere che la conoscenza sensibile (Strati, 2007 e 2008), quella cioè che si attinge attraverso i sensi e la comprensione estetica, sia considerata attualmente di secondo piano nei confronti del core della metodologia della ricerca sociale e che, come competenza non venga se non implicitamente coltivata nelle aule universitarie e men che meno nei precedenti ordini di scuola (almeno nel caso italiano, nel quale è prevalente una progressiva riduzione della cura della multimodalità nella comunicazione).
Il curricolo nascosto, vale a dire la dimensione implicita e spesso non tematizzata che viene insegnata nei luoghi formali dell’apprendimento della sociologia, tende a stabilire una gerarchia di saperi ed oscura il fatto che nel costituirsi in modo standard (in altri termini nell'istituzionalizzarsi) abbia scelto un determinato tipo di matematica, la statistica, che ha un ruolo non irrilevante nel progetto della modernità (come ci ricordano filosoficamente la Arendt, 1958, Foucault, 1976, e di recente in modo empirico, lo storico della statistica Desrosieres, 2009).
Ciò non vuol dire che la dimensione estetica non sia importante, ma che sia considerata più importante per la legittimità scientifica della disciplina una modalità rappresentazionalista della conoscenza (Osberg, Cilliers e Biesta, 2008) che come suo sottotesto propone un’estetica modernistica, fatta di oggetti definiti e di soggetti distaccati (in fondo anche per lo statistico ci possono essere delle tabelle, o delle tecniche belle o brutte, disgustose o banali, anche se di solito queste categorie estetiche sono depurate dal resoconto scientifico. Al contrario, per usare un riferimento pittorico per illustrare la modalità rappresentazionalistica della conoscenza si può far riferimento al noto quadro di San Girolamo nel suo studio di Antonello da Messina, databile tra 1474-1475, nel quale il Santo è pacificamente isolato in una regione interna rispetto ad un esterno). L’esperienza di Alter e del figlio, dunque, induce a pensare ai limiti della sociologia in quanto progetto e sapere che accompagna in forma critica o meno critica i processi di modernizzazione. Una storia, peraltro, interpretabile anche come una esperienza connotata in maniera gendered. Un sociologo maschio che gioca il ruolo di “master” con il figlio allievo.
I fenomeni dell’an-estetizzazione, o più propriamente del dominio di un’estetica a scapito delle altre, che possono sembrare temi astratti e tutti interni al mondo delle discipline, ha, però, delle conseguenze rilevanti per la produzione dei saperi. Si può segnalare la conseguenza di un possibile impoverimento della formazione sociologica.
Tale rischio deriva dal non riflettere criticamente sul fatto che – come l'esperienza di Alter dimostra e come anche viene sempre più evidenziato in una varietà di contesti empirici (Strati, 2007; Viteritti, 2010; Knorr-Cetina, 1999) – la conoscenza sociologica, come qualsiasi altra forma conoscitiva, non è meramente cognitivo-razionale-rappresentazionalistica, coinvolge e si produce attraverso la partecipazione del corpo del ricercatore che è gettato, lo voglia o no, nella situazione conoscitiva. Ciò vuol dire un ricercatore non rappresenta semplicemente ciò che vede, come se ciò che vede sia inerte rispetto al ricercatore, ma che in ogni modalità conoscitiva il ricercatore irrompa nel flusso dell’azione e che di conseguenza (come diceva già tanto tempo fa, John Dewey, 1938) si fabbrichi anche gli strumenti del metodo, imparando dalle sue azioni sul mondo.
Filosoficamente, del resto, Luigi Pareyson (1954) aveva usato il termine di formatività, per indicare il fatto che qualsiasi agire implichi, il “dare forma” a qualcosa, qualcuno (ad un’interazione). Recuperare questi aspetti implica riflettere, come sottolinea Antonio Strati (2007) che “si conosca molto più di quanto non se ne scriva poi nei rapporti di ricerca e nelle pubblicazioni (…); si abbia una conoscenza già prima di cominciare l’indagine sul campo; si sia consapevoli di come tale conoscenza sia esperienziale, corporea, sensoriale e non solamente mentale” (p.15). A meno che non si voglia delegare la cura di questo versante ad altre agenzie educative, con tutti gli effetti di disuguaglianza che ciò comporta (Bourdieu e Passeron, 1970), si tratta di riconsiderare la dimensione estetica della conoscenza sociologica, di provare a coltivarla e di tentare di insegnarla. Per fortuna, ed è questo il senso dell'epifania epistemica di Alter e del figlio, ci si può riferire ad altre tradizioni sociologiche, come l'interazionismo simbolico, l'etnometodologia, ma anche nel discorso antropologico al post-modern turn, (Cfr. Clifford e Marcus, 1986) e ad alcune sperimentazioni contemporanee che riguardano ad esempio la sociologia delle organizzazioni (il già citato Strati, ma più in generale il filone del simbolismo organizzativo e di recente i practice-based studies, Nicolini, Gherardi e Yanow, 2003) e gli studi sulla scienza e la tecnologia (vedi in Italia, l’uscita recente della rivista scientifica Tecnoscienza), le quali accettano la sfida dell'ibridazione nella produzione delle conoscenze e danno forma a socio-logie del contemporaneo che attingono ad una pluralità di criteri di legittimazione della conoscenza. Socio-logie del rischio che si confrontano con la sfida del baroc(k)o.