E se Tarzan esistesse davvero? Sarebbe ancora vivo, nascosto
nel profondo della foresta vergine africana? Perché, in
realtà, non tutta l’Africa è stata
svelata, almeno agli uomini bianchi… Tanto che anche Joe R.
Lansdale ha provato a scrivere un romanzo su Tarzan – non uno
dei suoi migliori, forse, ma prova della sopravvivenza
nell’immaginario dell’uomo-scimmia più
famoso del mondo (2008) – che, appunto, tornato nella giungla
africana dopo gli anni di permanenza fra gli uomini, si trova a
riprendere il suo vecchio mestiere di castigamatti. Ma forse
è un apocrifo… Forse Tarzan, tornato in Africa,
si è infettato di AIDS, o di Ebola, o di Marburg, che
allignano proprio nelle aree ancora vergini dell’Africa
centrale, come ci racconta fra gli altri Richard Preston in Area
di contagio (1994). O forse esiste, ma è
fra noi – fra i bianchi, insomma, nelle aree
“civilizzate”, mimetizzato fra gli altri uomini
bianchi – magari dimentico della sua mission di
difensore del bene, di eroe. Anche lui, infatti, figlio
(adottivo) della giungla, appartiene alla razza degli eterni
eroi teorizzati da Michael Moorcock, pur – magari
proprio per – avendo dichiarato, orgogliosamente, a Philip
José Farmer che “… mia madre
è una scimmia, mio padre è Dio!” Questa
natura ibrida è stata quella che gli ha permesso
inizialmente, nella sua vicenda personale, di sopravvivere, poi di
farsi amici gli altri animali della foresta africana, poi di
ridisegnare la geografia dell’immaginario esotico/avventuroso
del XIX e XX secolo, quello di Il mondo perduto (2002)
di Arthur Conan Doyle (sì, lo
“scopritore” di Sherlock Holmes), delle Miniere
di Re Salomone (2004) e di She (1966)
di Henry Rider Haggard. E contribuisce, al suo esordio, nel
1912 – mentre il suo gemello dizigote John Carter, va alla
conquista di Marte – a ricordare al pubblico della narrativa
di massa che non ci sono solo le stelle da esplorare (di quello si
occupava allora la science fiction), ma
c’è ancora parecchio, sul nostro pianeta, da
scoprire, tanti delinquenti da punire, tanti studiosi da proteggere,
tante ragazze da salvare… Ma dopo qualche decennio
di fulgore – oltre che sulle riviste e nei libri economici,
nei fumetti, e al cinema, naturalmente, si inabissa. Torna a mostrarsi
periodicamente in televisione dagli anni Sessanta in poi, ma mostra
forse un po’ la corda. In TV non rende. E le sue apparizioni
più recenti (l’ultima serie TV è del
2003) sono ancora meno convincenti: Tarzan si è trasferito
in America, a New York. Una versione postmoderna del personaggio, quasi
un Piccoli Mowgli crescono, in omaggio al fratello
maggiore dell’uomo scimmia, Mowgli, il figlio della giungla
di Rudyard Kipling (1984), lo scrittore
dell’imperialismo britannico, quello che teorizzò
che l’uomo bianco portava un pesante fardello: civilizzare
i selvaggi. Che, tradotto dall’inglese, significava
colonialismo, fucilazioni, sfruttamento, schiavitù. E
poi sembra scomparire per qualche anno. Ma poi, forse sotto
altre spoglie, ricompare, replicato in più copie. Sempre in
versione tardomoderna – anzi, no global. Quella di certi
gruppi ecologisti che si occupano dell’Africa. E del rispetto
della natura. Ora questi epigoni di Tarzan – bianchi e pieni
di buone intenzioni – non vestono più la pelle di
leopardo. Magari i jeans, le scarpe da ginnastica. Hanno gli orecchini,
e magari portano il codino. Indossano t-shirt col simbolo di Emergency,
o di Greenpeace. Insomma, sono “no-logo”. Solo
che… Solo che forse hanno smarrito il senso della loro
missione di incarnazioni dell’eterno eroe. Scriveva
Francesca Caferri, in un articolo pubblicato dal quotidiano
“La Repubblica” (2005):
Marcus Colchester, direttore del
Forest People Programme (spiega che) se la conservazione dell'ambiente
negli ultimi decenni è diventata un tema di sempre maggiore
attualità, così non è stato per i
diritti delle popolazioni indigene. La lista di casi di popoli cacciati
per far spazio a parchi è lunga: si va dai Masai del Kenia e
della Tanzania ai Chetri del Nepal, passando per gli aborigeni
dell'Australia e i pigmei del Camerun. Fra i governi e le associazioni
ritenute responsabili di questi o simili casi dagli stessi popoli
tribali ci sono imputati eccellenti: Conservation International, the
Nature Conservancy, la Wildlife Conservation Society e lo stesso Wwf.
Naturalmente, le multinazionali dei diamanti non si sono fatte
sfuggire l’occasione di sponsorizzare questa battaglia in
favore dell’ambiente… Cosa pensare di
questa metamorfosi? Forse è legata
all’abbigliamento? Possibile che la pelliccia –
potremmo definirla “etnica”, come si dice adesso?
– indossata da Tarzan all’inizio della sua storia
avesse poteri magici? Che gli fosse stata donata da qualche sciamano
lungimirante, un po’ diffidente nei confronti di quello che,
nonostante tutto, era un “uomo bianco”? E che il
passaggio al no-logo abbia rotto l’incantesimo? Tant’è,
ma queste organizzazioni, sicuramente politically correct,
forse hanno smarrito un po’ il senso delle
proporzioni… Che siano composte solo da bianchi occidentali?
Quelli del fardello di cui scriveva Kipling? Da ariani,
insomma? Vuoi vedere che, se le popolazioni arcaiche che ancora vivono
sul pianeta fossero state – come fino all’Ottocento
e oltre – ancora considerate composte di scimmie, sarebbero
state rispettate e protette di più? E che forma ha preso,
oggi quel “fardello”? La difesa delle specie
animali per i turisti dei safari fotografici? Certo che di
primo acchito può sembrare sconcertante il comportamento
delle associazioni per l’ambiente. Esiti, o derive, del
tardomoderno, della globalizzazione, del neoterico, che non butta via
nulla, produce percorsi individuali e cause collettive variegate,
eccentriche, centrifughe. Che convivono tranquillamente.
Un’altra conseguenza della fine delle “grandi
narrazioni” di cui scriveva Jean-François Lyotard
(1981). La tendenza dei miti dell’immaginario a scomparire. O
a cambiare abito. Con la fine delle ideologie, delle
“narrazioni”, appunto, fondate su una
finalità superiore, su valori assoluti, tutto diventa uguale
– e ugualmente legittimo. L’ambiente e gli uomini,
gli animali e le anime. Ci si sceglie una “causa”
avocandosene il diritto, e isolandola dal contesto. Senza pensare alle
conseguenze. Come se non ce ne possano essere. Mentre i fenomeni
sociali – tutti – producono
conseguenze. In genere inintenzionali. Ma in questo
caso… Viene in mente come immagine
speculare di questa vicenda il film di Roland Joffe, The
Mission (1986), in cui spicca l’interpretazione di
un gigantesco Robert De Niro. In breve, la storia.
Siamo in Paranà, regione sudamericana controllata da
spagnoli e portoghesi, intorno alla metà del XVIII secolo.
Il capitano Mendoza (Robert De Niro), cacciatore di schiavi e
mercenario, uccide in duello il fratello. Il rimorso lo dilania,
finché un gesuita (Jeremy Irons) non lo convince a risalire
con lui il fiume Iguazu per raggiungere una tribù di indios
che vive nella foresta. La loro missione è tentare di
organizzare un sistema comunitario dove agli indigeni sia possibile
vivere senza essere sfruttati. Sebbene condiviso dalle gerarchie
ecclesiastiche, il piano fallisce sotto il fuoco delle armi del braccio
secolare degli europei, preoccupati dalle possibili conseguenze
dell’esperimento. Naturalmente, le gerarchie cattoliche si
adeguano, e scaricano il gesuita e i suoi compagni. Bellissima,
e altamente simbolica, è una sequenza specifica del film.
Una volta deciso di seguire il gesuita, Mendoza, ancora lacerato dal
rimorso, non più solo per aver ucciso il fratello, ma anche
per le sofferenze inferte agli indios, si carica di tutte le sue armi,
e se le trascina dietro, impedendo a chiunque di condividerne il peso.
È il suo fardello personale, quello che
gli serve a ricordare continuamente la sua colpa. Solo quando, rimasto
bloccato, vede un indio tagliare la corda che lega le armi e farle
precipitare nel fiume, si rassegna: è stato liberato
– attenzione: da una delle sue vittime – finalmente
dalla sua colpa, e dalla sua sofferenza. Recupererà le armi
in seguito, solo per difendere gli indios dall’assalto dei
suoi connazionali. E così, risponde a Rudyard Kipling.
Mendoza non è Tarzan, ma gli si avvicina assai. Anche
perché non esita, quando arriva il momento, ad usare la
forza per difendere i suoi nuovi “fratelli”. Facciamo
un balzo in avanti nel tempo, ma rimanendo sempre in Africa –
nell’Africa australe, per la precisione – e
affacciamoci ad un altro territorio dell’immaginario,
più vicino alla fantascienza. Alla storia narrata in District
9, il film di Neill Blomkamp (2009). Siamo in Sud
Africa, a Johannesburg. Nel cielo, spunta una astronave aliena: non
porta messaggi – di pace o guerra; non aggredisce, non chiede
aiuto. Arriva, si ferma nel cielo della città, viene violata
dagli umani. L’astronave è in avaria. Rimane
lì. I suoi “abitanti” vengono condotti
sulla terraferma, e abbandonati a se stessi, in una miserabile distesa
di catapecchie e baracche. Come i neri sudafricani fino al 1994, quando
ebbe fine l’apartheid. E fanno quello che fanno tutti i
disperati: vendono le loro tecnologie, frugano nelle immondizie,
commettono illegalità, subiscono quella dei locali,
praticano la prostituzione extrarazziale. E si moltiplicano, fino a un
milione e ottocentomila. Intanto, uno di loro, Christopher (questo il
nome “umano” che gli è stato assegnato:
come agli schiavi neri americani veniva assegnato il cognome del
padrone), è riuscito a raccogliere in un cilindro di metallo
una sufficiente quantità di un fluido in grado di rimettere
in moto le biotecnologie alla base della loro scienza, e di far
ripartire l’astronave. Finché
la popolazione locale non li sopporta più, e le
autorità si rivolgono a una multinazionale diversificata (la
Multi-National United) che ha l’appalto
dell’ordine pubblico, perché esegua lo sfratto e
la deportazione degli alieni, i gamberoni, come
vengono chiamati con disprezzo dai sudafricani, a 240 chilometri di
distanza da Johannesburg. Ma gli alieni resistono. Il responsabile
dell’operazione, Wikus Van De Merwe, un bravo ragazzo,
all’oscuro di tutto, durante la perquisizione di una delle
baracche – quella di Christopher – trova il
cilindro con il fluido, che ne esce, e ne rimane infettato. Portato in
ospedale, fugge, perché ormai è diventato la
cavia degli umani che non riescono a usare le biotecnologie degli
alieni, e sperano di riuscire a carpirne i segreti grazie a questo
“ibrido” cascatogli fra le braccia –
è il caso di dirlo – dal cielo, e finisce per
rifugiarsi proprio da Christopher. Alla fine, col suo aiuto,
Christopher riesce a scappare, con la promessa di tornare a salvarlo,
insieme ai suoi compagni, perché Wikus si è ormai
trasformato completamente in alieno… Wikus lo aspetta, nel
campo dei “gamberoni”, realizzando con frammenti di
rifiuti fiori artificiali che spera di far avere alla sua amata, da cui
non può tornare… Forse Tarzan,
producendo una nuova variazione del mito, e ricongiungendosi col suo
gemello viaggiatore dello spazio, si è reincarnato in lui,
che da uomo bianco diventa un extraterrestre, un alieno, e, contro gli
umani, bianchi e neri, combatte per un gruppo di profughi
extraterrestri, i nuovi “dannati della Terra”.
:: letture ::
— Caferri F., Le tribù minacciate dagli ecologisti cacciate per far posto ai parchi,
http://www.repubblica.it/2007/05/sezioni/ambiente/tribu-ecologisti/tribu-ecologisti/tribu-ecologisti.html
— Conan Doyle A., A Lost World, 1912, Il mondo perduto, Bompiani, Milano, 2002.
— Jung C. G., Ein Moderner Mythus,1958, Su cose che si vedono nel cielo, Sonzogno, Milano, 1974.
— Lansdale J. R., Tarzan: the Lost Adventure, 1995, Bd Edizioni, Lucca, 2008.
— Lyotard J.-F., La condition postmoderne, 1981, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano, 1981.
— Kipling R., The Jungle book, 1894, I libri della giungla, Mursia, Milano 1984.
— Preston R., The Hot Zone, 1994, Area di contagio, Rizzoli, Milano, 1994.
— Rice Burroughs E., Under the Moons of Mars, 1912, Sotto le lune di Marte, Newton, Milano, 1994.
— Rice Burroughs E., Tarzan of the Apes, 1914, Tarzan delle scimmie, Newton, Milano, 1994.
— Rider Haggard H., King Solomon Mines, 1885, Le miniere di Re Salomone, Donzelli, 2004.
— Rider Haggard H., She, 1887, Lei, Bompiani, Milano, 1966.
:: visioni ::
— Blomkamp N., District 9, Usa, 2009.
— Joffe R., The Mission, Uk, 1986, Warner 2009.
— Tarzan, 1966-1968, NBC, Usa.
— Tarzan, 2003, The WB, Usa.
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