3
di Susanna and the Magical Orchestra A pochi mesi dal suo ultimo album da solista, Susanna Karolina Wallumrød torna con un nuovo lavoro, stavolta però si fa accompagnare dalla Magical Orchestra, come già è successo in passato. Il risultato di questa rinnovata collaborazione, rigorosamente sotto l’egida dell’etichetta norvegese Rune Grammofon, si chiama 3. È un disco che non fa frastuono, questo 3, un lavoro d’accompagnamento, garbato nello stile compositivo, sottile nei sottofondi elettronici, celestiale nella voce di Susanna. Insomma, un disco fatto di una musica quasi sospesa a mezz’aria, diluita in quarantasette minuti tranquilli ed in dieci tracce soffuse. Su tutte,
Another Day e Lost, nella fase centrale del disco, riportano l’ascolto alla delicatezza, mai in subordine e tuttavia mai sopra le righe, della voce della Wallumrød. È un disco perfetto per accompagnare quest’ennesima stagione autunnale, così soffice e così cortese da non infastidire nemmeno per un istante, tanto cortese da far sperare che la prossima volta (per quanto questo lavoro sia degno della necessaria stima e considerazione) Susanna e la Magical Orchestra provino ad accennare ad una leggera vena di irrequietezza, perché il confine tra la tranquillità ed il tedio è spesso, nel tempo, cosa labile. |
titolo 3
di Susanna and the Magical
Orchestra
etichetta Rune Grammofon
distributore Goodfellas
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A Ways Away
di Tara Jane O'Neil Tara Jane O’Neil non è certo una che sta ferma. Artista nomade e completa (si guardino i suoi dipinti in proposito) propone
A Ways Away alla sua ottava etichetta per i suoi undici (EP compresi) lavori da solista. Poi ci sono i suoi vecchi gruppi: Retsin, The King Cobra, Rodan, The Sonora Pine, Drinking Woman ed alcune collaborazioni sparse qua e là. Adesso, con questo A Ways Away, Tara Jane approda alla K, e ripropone con stile il suo timbro peculiare per un folk umbratile al femminile. E, come al solito, l’ambivalenza dei sentimenti la fa quasi da padrone tra la leggerezza di una voce sussurrata e del trillo dei campanelli e la cupezza di una serie di tempi verrebbe da dire quasi ipnotica. Tutto, poi, condito da spruzzate di chitarre simili a quelle del Neil Young più western (quelle della colonna sonora di
Dead Man, per intendersi). Si potrebbe dire, storcendo il naso, che questo nuovo lavoro dell’artista di Portland non apporta un contributo sostanziale ad una produzione già di ampio valore, ma si potrebbe anche dire che questo non è un difetto, e che anzi è un pregio, una naturale linea di continuità che proviene direttamente dal passato, quasi a chiudere un discorso lasciato aperto con il disco del 2006,
In Circles. Ed allora ben venga che non si apportino modifiche troppo visibili tra un disco e l’altro (se si eccettuano alcuni inserti quasi noise di sottofondo), soprattutto se il risultato di questa volontà è un pezzo come
Howl, una ballata oscura e struggente in cui Tara Jane ci mette tutto quello che sa fare meglio: rendere gli ascoltatori tristi e beati nello stesso momento. |
titolo A Ways Away
di Tara Jane O'Neil
etichetta K
distributore Goodfellas
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At the Cut
di Vic Chesnutt Guardate nella vostra anima, in fondo, dove ci sono le zone più umbratili e oscure, i recessi e le anse della tristezza. In fondo, in quello stagno dove rimestano malinconie, vecchie immagini sfocate, dove sedete a terra e per non guardare le ombre mettete la testa tra le ginocchia. Lì giù, se sentite una voce cantare, non può essere che quella di Vic Chesnutt. Dopo l’apocalittica perfezione di
North Star Deserter (2007) Chesnutt continua ad erigersi come nome di primo piano della sua etichetta, la Constellation, ed a frantumare e ristrutturare il folk, in una tensione drammatica classicamente Constellation.
At the Cut è il suo ultimo lavoro e con lui, ancora una volta, suonano quegli altri monaci sottili dei Silver Mont Zion. Si riprenda il discorso lasciato in sospeso con
North Star Deserter, lo si affievolisca dei toni più spigolosi del cantato e si introducano raffinati arrangiamenti dal sapore ricercato. Ecco che Chesnutt ci offre un disco estremamente sofisticato, in cui spiccano, per dirne solo due, una traccia come
We Hovered with Short Wings, una sconsolata ballata dal gusto vagamente jazz, oppure
Chain, una sofferta carezza accompagnata dal soffio di un pianoforte sotterraneo. Questo
At the Cut non raggiunge l’altissimo equilibrio di North Star Deserter, ma sta appena sotto e questo è già un traguardo immenso. Restano le note dolcemente incantate che guardano verso un cumulo di macerie, resta la voce di Chesnutt, con i suoi falsetti e il suo stridore, capace di rendere concreta un’anima annerita dalla fuliggine del tempo. Insomma,
At the Cut non è un disco consigliabile per i fondamentalisti del reggae, dello ska, del liscio o della samba, per tutti gli altri, invece… |
titolo At the Cut
di Vic Chesnutt
etichetta Constellation
distributore Goodfellas
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