Simplicissimus, Švejk, Forrest Gump, o la guerra combattuta dai semplici |
di Adolfo Fattori | |
Il romanzo è
una feroce critica contro la chiesa, l’impero, i militari, la
burocrazia fatiscente di un impero austroungarico ormai allo sfascio.
Contro i poteri, insomma, ormai imbalsamati e bolsi di una
società al crepuscolo. Švejk sostanzialmente guada
i guai, facendo l’ingenuo, dichiarando la sua
idiozia, e – e qui è l’operazione
magistrale di Hašek – dichiarandosi, lui praghese,
suddito fedelissimo dell’Imperatore, desideroso di andare in
guerra. Motivo per cui il medico militare boemo che lo visita lo
considererà veramente pazzo, spedendolo
in manicomio. Da cui verrà però strappato dai
medici austriaci, che considerandolo un simulatore, lo manderanno in
prigione. Ma qui incontrerà un cappellano militare che lo
tirerà fuori e lo porterà con sé alla
guerra, che il “buon soldato” comincerà
a “combattere” sbronzandosi con lui e recitando
delle farsesche messe da campo completamente ubriaco. Ma la pace non
durerà a lungo, e dopo varie traversie, si
ritroverà a vagare nelle retrovie, girando più o
meno in tondo, nel vano tentativo di raggiungere la sua destinazione.
Cosa che non avverrà mai, per la morte di Hašek,
che lascerà il soldatino a vagare per
l’eternità nelle terre dell’impero in
frantumi… Figure del transito
dall’arcaico al moderno, Simplicissimus e il buon soldatino
sono espressioni di quella mitica saggezza popolare che si industria
per schivare le varie tegole che la “Storia” gli
scatena contro – e, necessariamente, padroni di un progetto
mirato al futuro: come minimo, appunto, sopravvivere… | ||
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