Il romanzo è
una feroce critica contro la chiesa, l’impero, i militari, la
burocrazia fatiscente di un impero austroungarico ormai allo sfascio.
Contro i poteri, insomma, ormai imbalsamati e bolsi di una
società al crepuscolo. Švejk sostanzialmente guada
i guai, facendo l’ingenuo, dichiarando la sua
idiozia, e – e qui è l’operazione
magistrale di Hašek – dichiarandosi, lui praghese,
suddito fedelissimo dell’Imperatore, desideroso di andare in
guerra. Motivo per cui il medico militare boemo che lo visita lo
considererà veramente pazzo, spedendolo
in manicomio. Da cui verrà però strappato dai
medici austriaci, che considerandolo un simulatore, lo manderanno in
prigione. Ma qui incontrerà un cappellano militare che lo
tirerà fuori e lo porterà con sé alla
guerra, che il “buon soldato” comincerà
a “combattere” sbronzandosi con lui e recitando
delle farsesche messe da campo completamente ubriaco. Ma la pace non
durerà a lungo, e dopo varie traversie, si
ritroverà a vagare nelle retrovie, girando più o
meno in tondo, nel vano tentativo di raggiungere la sua destinazione.
Cosa che non avverrà mai, per la morte di Hašek,
che lascerà il soldatino a vagare per
l’eternità nelle terre dell’impero in
frantumi… Švejk, in realtà,
è un furbastro, come Simplicissimus: “fa
– come si suol dire – lo scemo per non andare in
guerra”. Mente, svicola, si destreggia. E, fin quando il suo
autore morendo non lo lascia da solo, a metà delle sue
avventure, riesce perfettamente nel suo intento. Chissà cosa
sarebbe diventato alla fine della guerra, con la dissoluzione
dell’impero… Speriamo, non uno di quei reduci
incarogniti o di quei piccoli borghesi, così ben descritti
da Joseph Roth in La tela di ragno (1975), ottusi e
meschini, che forniranno ad Hitler il materiale umano (?) per le sue
falangi di assassini e burocrati. Probabilmente avrebbe continuato ad
imboscarsi e industriarsi per sopravvivere. Ricordiamo che
l’Europa del Seicento viaggiava a larghi passi verso la
modernizzazione – anzi, la Guerra dei Trent’anni
realizza uno dei punti di catastrofe di questo transito – e
che per contro la Cacania era ancora ampiamente un paese feudale,
imperniato sulla tradizione e sul suo rispetto: laddove il XV secolo
guardava al futuro, l’Impero austro-ungarico fissava
caparbiamente il passato…
Figure del transito
dall’arcaico al moderno, Simplicissimus e il buon soldatino
sono espressioni di quella mitica saggezza popolare che si industria
per schivare le varie tegole che la “Storia” gli
scatena contro – e, necessariamente, padroni di un progetto
mirato al futuro: come minimo, appunto, sopravvivere… Ma
Forrest Gump? Il suo caso è differente. Intanto, il successo
dell’opera si deve prima di tutto al film che Robert Zemeckis
ne ha tratto, a differenza degli altri due romanzi. Poi, Forrest
è molto diverso dagli altri due eroi –
“di guerra”, è proprio il caso di dire.
Intanto, in realtà il giovane è, senza saperlo,
in guerra da sempre; da quando suo padre, dopo averlo visto nascere e
prima di abbandonare lui e la madre, lo aveva fatto battezzare con il
nome di un ufficiale del Ku Klux Klan. Da quando i suoi coetanei
scoprono le sue debolezze – gli effetti di una poliomielite,
la sua fragilità intellettiva… È in
guerra da vittima predestinata, ma…
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