Ladri di saponette e dintorni italiani | di Andrea Sanseverino | |
All’improvviso un black out crea una sorta di
cortocircuito che intreccia le vicissitudini dei Piermattei con uno
spot appena andato in onda. Così una modella appena
tuffatasi in una piscina di una solitaria villa all’interno
di un rassicurante mondo a colori, si ritrova circondata dal bianco e
nero, rischiando di annegare nel mezzo di un fiume. È
salvata da un incredulo Antonio che sta tornando a casa dopo il furto
in fabbrica e che, come in un La vita è
meravigliosa senza ritorno, evita l’incidente che
lo avrebbe reso paralitico, scongiurando per sempre gli epiloghi
stabiliti dall’autore: la via del marciapiede per Maria,
quella dell’orfanotrofio per Bruno e Paolo. La trama
è irrimediabilmente sconvolta. Nichetti non è
certo il primo a giocare sulla contaminazione fra il mondo reale e la
sua rappresentazione attraverso l’arte: i sei personaggi
pirandelliani, nella più significativa fra le esperienze di
teatro nel teatro, irrompono sul palcoscenico non trattenuti
dall’usciere e suscitando lo scontato disappunto del
capocomico; il poeta-esploratore Tom Baxter fugge
dallo schermo de La rosa purpurea del Cairo per
conoscere il mondo reale in compagnia della dolce spettatrice Cecilia,
destando non poche preoccupazioni in Gil Sheperd, astro nascente del
cinema hollywoodiano che interpreta Tom e che teme che questi possa
commettere nefandi reati, precludendogli per sempre una brillante
carriera. Ma se in questa commedia di Woody Allen un attore si
precipita nel New Jersey, luogo della bizzarra evasione, per convincere
il suo personaggio a ritornare nella pellicola, in Ladri di
saponette è il regista milanese in persona a
calarsi nella propria finzione per salvare il finale tragico della sua
opera, già compromessa irrimediabilmente dagli scellerati
tagli pubblicitari nel bel mezzo di fondamentali battute. Nichetti
parte dunque per Roma, da dove giunge l’ampex, per scendere
dal treno direttamente nella location neorealista del suo film. La
trasformazione nel Nichetti-personaggio è immediata, senza
alcun artificio, a differenza, ad esempio, di Buster Keaton che
approdava all’interno della pellicola proiettata in sala
attraverso la potenza evocatrice del sogno: nel 1924 il genio del
cinema muto americano aveva infatti diretto e interpretato Sherlock
Jr., che, secondo il regista e critico René Clair,
“è paragonabile a ciò che furono per il
teatro i Sei personaggi in cerca d’autore
di Pirandello” (Cremonini, 1995, p. 49). | ||
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