James Graham Ballard ha intrapreso il suo viaggio
più lungo. Forse per quegli infiniti territori interiori,
quegli inner space da lui così
magistralmente esplorati. Erede conseguente di quel percorso della
letteratura britannica che ha radici antiche e solide, e che potremmo
considerare a cavallo fra riflessione filosofica e narrazione
metafisica, ha continuato a tracciare quella strada che parte da Thomas
More e Jonathan Swift, annovera Daniel Defoe, passa per Herbert G.
Wells, George Orwell, Anthony Burgess, e variamente si intreccia con la
filosofia politica, l’impegno sociale, la denuncia di
costume, creando distopie/antiutopie che hanno alle spalle mondi della
cupezza della forca e della gogna, poi dell’acciaio e del
carbone, della prigionia e della servitù. Universi
oscuri e claustrofobici che nella seconda metà del Novecento
in Gran Bretagna prendono la cifra della fantascienza. Grazie a James
Ballard, prima di tutto, epigono di quella letteratura. Ma una science
fiction che sin dall’inizio non segue le linee dominanti,
forti, del genere. Nel 1962, pubblicando l’articolo Which
Way to Inner Space (Come si arriva allo spazio
interiore?) sulla rivista di fantascienza
inglese New Worlds Ballard dà di fatto
vita al movimento della New Wave, che coinvolgerà prima di
tutto Michael Moorcock, John Brunner, Norman Spinrad – altri
grandi eccentrici del genere – e che comincia a battere nuove
strade rispetto alla science fiction tradizionale. A Ballard interessa
esplorare lo spazio interno, quello che definisce
l’interiorità, per esplorarne i grovigli morbosi,
gli angoli oscuri, le curve spiraliformi; un orizzonte nuovo, per la
narrativa di genere, e per quella d’anticipazione in
particolare. Coerente per certi versi con l’emergere delle
inquietudini che condurranno al Sessantotto. La sua dimensione
“utopica” è quindi necessariamente
diversa da quella dei suoi predecessori. Lo sfondo è simile:
una terra “altra”, trasformata però da
una qualche catastrofe naturale (come nel “ciclo degli
elementi”: il vento, il fuoco, l’acqua, la pietra),
che diventa il palcoscenico dell’espressione dei moventi e
delle emozioni più decadenti, disilluse, a volte meschine.
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Col passare del tempo, gli scenari dei suoi romanzi si trasformano
sempre più in istituzioni totali, universi concentrazionari:
un condominio per la buona borghesia, un gerontocomio mascherato da
villaggio vacanze, i nuovi quartieri “alti” delle
città postmoderne, i centri commerciali… i
sobborghi della nuova borghesia dove il disagio e l’angoscia
si insinuano sottili, silenziosi, fra le automobili Bentley, gli
orologi Chippendale, i salotti in stile Regency. Tutti non-luoghi,
location ideali per mettere in scena il delirio e la depressione delle
nuove classi rampanti. Ogni volta, come epilogo, il disastro. E, ogni
tanto, una incursione in territori ancora più inestricabili
e selvaggi, come in Crash, del 1973,
dichiaratamente un romanzo pornografico, che celebra le nozze
post-alchemiche dei corpi umani e delle lamiere d’automobile,
o in La mostra delle atrocità (1970),
una sequela di ossessioni, dalla guerra del Vietnam, al potere dei
media, alle icone americane del secondo dopoguerra… Cartografo
delle “nuove mappe dell’inferno” di cui
scriveva un altro inglese, Kingsley Amis, James Ballard ci fa da guida
nell’esplorazione di una contemporaneità fatta di
deliri e psicopatie suadenti e soffici, nutrite con
“… il bridge, l’alcool e
l’adulterio… il magnifico cemento che tiene
insieme le società”, come scrive nella sua
autobiografia, che culminano in esplosioni devastanti. Insomma, la
messa in opera dell’insegnamento che un altro studioso
anglosassone, il filosofo Henry James Sr., rivolgeva in una lettera ai
due figli, James Jr. (Il giro di vite), e William (Principi
di psicologia): L’eredità
naturale di chiunque è capace di una vita spirituale
è una foresta inestricabile dove il lupo urla e stride
l’osceno uccello della notte. Un
viaggiatore incantato, un esploratore visionario che ci ha orientato
nell’approdo al terzo millennio, di cui ci ha fornito le Istruzioni
per l’uso, per dirla con un altro dei suoi titoli. Gli
auguriamo un viaggio sereno, lontano da quei territori intermedi fra la
vita e l’incubo di cui ci ha magistralmente narrato. |