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Twilight
Zone funge da trampolino di lancio anche per attori in via di
affermazione e registi in cerca di gloria: un giovanissimo Robert
Redford,
il William Shatner futuro Kirk di Star
Trek, il Ross Martin di Wild
Wild West. A guidarli, dietro la macchina da presa, futuri premi Oscar
come Stuart Rosemberg (Nick mano
fredda) ed abili artigiani come Jack Smight (Detective
Story) o Robert Parrish (Il
Meraviglioso Paese). Il punto di forza dello show fu comunque
quell’evidente gusto del paradosso che Serling si premurò di rimarcare
in ogni singolo episodio della serie: personaggi e contesti “normali”
puntualmente stravolti da un evento straordinario e terribile che
trascinava il protagonista/i, di sorpresa in sorpresa, ad un folgorante climax
finale.
La serie chiude i battenti
nel 1964 fra risultati notevoli ma discontinui, complici gli errori di
gestione da parte dei dirigenti CBS (il passaggio nella quarta stagione da
mezz’ora ad un’ora per episodio,) ma Serling si sente comunque
motivato nel proseguire il percorso intrapreso e propone la sua idea a
network concorrenti. Non potendo usare il medesimo nome (ne aveva
incautamente ceduto i diritti al network) il nuovo show ci mette qualche
anno a decollare. Ma l’8 novembre 1969 la NBC manda in onda l’episodio
pilota di Rod Serling’s Night
Gallery. Stavolta il concetto-base è quello di una galleria d’arte
i cui quadri rievocano ciascuno una storia macabra o fantastica,
naturalmente introdotta da Serling in persona. Il pilot
dura un’ora e mezza e si divide in tre episodi (The
Cemetery; Eyes; The Escape Route) diretti da Boris Sagal, un giovanissimo Steven
Spielberg e Barry Shear. In tutto verranno prodotti 45 episodi (spesso
divisi in più storie per puntata), dal ’70 al ’73, che finiranno
comunque con lo scontentare il suo creatore a causa di continui dissidi
con la rete. Due anni dopo Serling morirà per un attacco cardiaco, al
termine di un operazione durata dieci ore. Non prima di aver lasciato
numerose tracce di sé anche nel cinema, a cominciare dalla sceneggiatura
de Il Pianeta delle Scimmie
(1968) di Franklin J. Shaffner.
La fama e la leggenda di Twilight
Zone perdurarono nei decenni a venire. Molti dei ragazzi che erano
cresciuti sulle sue note ed immagini ora si dedicavano al cinema e
narrativa con successo sempre più crescente. Uno di questi, un giovanotto
occhialuto a nome Steven Spielberg, decise di produrne un remake per il
grande schermo targato Warner Bros. Il risultato fu Twlight
Zone: The Movie (1983) un revival suddiviso in quattro storie, tre
rifacimenti ed un inedito, diretti da John Landis, Joe Dante,
George
Miller e Spielberg stesso. Il (relativo) successo del film spinse la CBS a
mettere in cantiere una nuova versione del programma. Tre nuove stagioni,
dal 1985 al 1988, furono prodotte per un totale di 73 episodi, molti
suddivisi in più storie brevi. Il colore venne a sostituirsi
all’evocativo bianco e nero con nuovi registi (fra cui Wes Craven,
William Friedkin, ancora Joe Dante) che adattarono eccellenti racconti di
Arthur C. Clarke (La Stella), Robert Mc Cammon (I
Serpenti della Notte), Harlan Hellison (Il
Paladino dell’ora perduto, episodio vincitore di un Emmy), Stephen
King (La Nonna) e George R. R.
Martin (L’Altra Strada). Ma i
risultati non furono quelli sperati. I fan della vecchia serie erano
troppo legati al suo taglio originale e alla presenza di Serling sullo
schermo. I giovani, cresciuti con horror come Halloween
e fanta-kolossal alla Guerre
Stellari, semplicemente non capirono.
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