Stockholm & Göteborg
di Henry Cow Gli Henry Cow presero forma nel
1968, rimasero in attività dieci anni, sciogliendosi nel 1978
all’indomani della pubblicazione di Western Culture. Lo scorso anno, Chris Cutler, ai tempi
batterista della band e poi fondatore dell’etichetta
(nonché distributore) indipendente Recommended Records (RēR)
aveva annunciato l’uscita (ora disponibile) di un doppio box
comprendente 9 cd e un dvd contenente oltre dieci ore di materiale
inedito, registrazioni effettuate dal 1972 al 1978 in giro per
l’Europa. Arriva da lì questo singolo cd (il volume sei
dell’edizione completa) che raccoglie registrazioni del maggio
1976 a Göteborg e dell’anno successivo a Stoccolma.
Così, oltre trent’anni dopo Concerts (uscito nel 1976 e rimasterizzato nel 2006),
è possibile ascoltare il gruppo, in dischi a proprio nome, fuori
dallo studio di registrazione e dunque libero di avventurarsi anche in
rischiose improvvisazioni, mostrando fin dove questo laboratorio
musicale spingesse le sue ricerche. È proprio
un’improvvisazione ad aprire qui le danze, Stockholm 1, magmatica e lineare al tempo stesso. Una grande
prova collettiva, Tim Hodgkinson all’organo e Fred Frith alla
chitarra sono corrosivi quanto basta, Cutler esibisce un drumming
magistrale e soprattutto c’è in bell’evidenza,
Lindsay Cooper impegnata al pianoforte: convincente e sorprendente.
Segue una lunga composizione spesso eseguita dal vivo però mai
incisa in studio, Erk Gah, di Tim Hodgkinson, sorta di suite in cinque parti (poi uscita ufficialmente con il titolo
Hold To The Zero Burn, Imagine sul suo secondo album, Each In Our Own Thoughts)
che alterna il canto di Dagmar Krause dal piglio più che mai
espressionista ad allucinati passaggi strumentali che, come anche nel
successivo A Bridge To Ruins (solo organo di Hodgkinson) e più avanti la lunga improvvisazione in tre parti,
Goteborg 1, con fughe in una sorta di etno-musica aliena, lasciano intravedere un sotterraneo legame con l’outer space di Sun Ra. La scaletta include poi,
Ottawa Song (resta preferibile, però, la versione su Concerts) una cover (No More Songs
di Phil Ochs) un’altra breve, densa improvvisazione (Stockholm 1) con tanto di vocalizzi della Krause e, in conclusione, la leggiadra
March firmata da Frith (che nell’occasione siede al piano). Un’ora abbondante di nobile e resistente utopia musicale. |
titolo Stockholm & Göteborg
di Henry Cow
etichetta Recommended
Records
distributore Goodfellas
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Eco, Arches & Eras
di Huntsville Tre improvvisatori indaffarati
con elettronica e strutture ripetitive, che ricordano a intermittenza
gli Shakti di John McLaughlin, ma con un banjo a soppiantare il sitar,
ipotizzando un possibile country yoga o altri ibridi, ancora più
indefinibili. Il rischio in questi casi è di fare un pasticcio,
ma Ivar Grydeland (chitarra e, appunto, banjo), Tonny Kluften
(contrabbasso) e Ingar Zach (percussioni, sarangi e shruti box, tabla
machine), sono in possesso di un armamentario sonoro (compresi altri
vari, imprecisati strumenti) sufficientemente eterogeneo e riescono a
comporre una miscela di suoni sorprendente, come ormai è
tradizione per i lavori proposti dall’etichetta norvegese. Una
conferma della fervida creatività che anima tutta la scena
nordeuropea. Questa seconda uscita degli Huntsville è un doppio
cd, uno registrato in studio e l’altro al Kongsberg Jazz Festival
del 2007. Nel primo disco, tre brevi interludi che intrecciano arpeggi
di chitarra e disturbi elettronici (Lancet,
Ogee e Tudor),
affiancano costruzioni di più ampio respiro, che vivono di
sostenute accelerazioni ed eleganti decelerazioni: la trascinante Eco con intermezzo vocale di Sidsel Endresen seguito da una scorribanda elettrica ad altissima tensione e la più riflessiva
Arrow and Rain, che azzarda un doppio crescendo verso il nulla. Nell’unica traccia del secondo cd,
Eras,
danno una mano due membri dei Wilco, Nels Cline (chitarra) e Glenn
Kotche (batteria). Qui tutto è ancora più contaminato,
ricordando in apertura il mix di elettronica e battiti mediorientali di
Muslimgauze. In seguito il suono si smaterializza, poi, scompaginando
tutto, la band si tuffa in una trascinante avventura elettrica e
percussiva via via più deflagrante, una tempesta di suoni che
come per magia poi evaporano e, leggeri come una nuvola, tornano quasi
impalpabili in Oriente. |
titolo Eco, Arches & Eras
di Huntsville
etichetta Rune
Grammofon
distributore Goodfellas
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Blue
di Finnegans Wake Quinta uscita discografica per
questa formazione belga in origine, ma che oggi vede in formazione
anche musicisti brasiliani. Oggi sono un quintetto e per questa nuova
fatica si fanno dare una mano da una decina di ospiti tra cui spiccano
Guy Segers (Univers Zero, Present), Reginald Trigaux (Present) e Morgan
Agren (Mats/Morgan, Frank Zappa, Meshuggah). Nomi che forniscono subito
un’indicazione chiara sulle traiettorie seguite dalla band, che
cerca di ritagliarsi un proprio spazio nell’ormai affollatissima
area che discende per vie dirette o trasversali da quei gruppi operanti
nei Settanta che militarono in RIO (Rock In Opposition), a partire da
coloro che ne furono cuore e mente principale, gli Henry Cow. Occorre
subito dire che l’effetto fotocopia è evitato, Finnegans
Wake riesce a inserire tratti personali in una formula certo ampiamente
collaudata. Ad esempio, in questo contesto musicale, si è spesso
parlato di rock da camera per la costante presenza di strutture
ritmiche debitrici nei confronti di Béla Bartók e dei
suoi quartetti. Ebbene, Finnegans Wake sposta il cameristico verso il
liederistico affidando quattro brani alla voce di Amarílis de
Rebuá, a onor del vero non sempre convincente nella ricerca
dell’originalità, ma soluzione ben riuscita, ad esempio,
in Magical Cave, che si invola sull’astrattismo di partenza o Vulnavia, che marcia a passo sostenuto. La personalità della band emerge anche nello strumentale
Mida,
brano scosso da un riff chitarristico da tipico hard rock ma
intrecciato accenti da banda di paese che strizza l’occhio a Igor
Stravinskij, riuscendo a spostare il tono cupo e l’andamento
marziale tipico di questo sound. O ancora, si segnala la title track,
che spinge i timbri delle tastiere a sostegno di un melodico violino,
tutto molto in stile Genesis. Un plauso ad AltRock (band come Yugen e
Rational Diet in scuderia) che si conferma etichetta di qualità. |
titolo Blue
di Finnegans Wake
etichetta AltrOck
Productions
distributore Altrock.it
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