Sway
di Zachary Lazar
C’è un periodo di cui si continua a parlare come se fosse
ieri, eppure sono passati quarant’anni. Rintracciare le radici
prossime di quello che accade anche adesso è tornare alla fine
degli anni Sessanta, quando i personaggi che caratterizzavano un mondo
si chiamavano Mick Jagger, Charles Manson, Kenneth Anger, Marianne
Faithfull e Keith Richards. Controcultura, si direbbe adesso, fatta di
garage, di musica sgraziata, fatta del nascondimento dell’occulto
e di coloratissimi francobolli allucinogeni. Sway è tutto questo, è la biografia di un
decennio in cui le cose (per quanto questo accada sempre) cominciarono
a non voler essere più le stesse. Zachary Lazar ripercorre il
periodo che si concluse a Woodstock parlando proprio attraverso il
vissuto di alcuni dei suoi più discussi caratteri. Ne escono
fuori le intemperanze lisergiche e il bizzarro divismo di una band di
rock and roll, le follie visionarie dei registi d’avanguardia,
l’esplosione dell’omosessualità e l’eterna
mano del maligno. Tutti processi nient’affatto conclusi al giorno
d’oggi, tanto che nomi come Jagger, Faithfull e Manson
imperversano tuttora sulle copertine dei giornali. Non sono semplici
biografie quelle che Lazar traccia nel suo romanzo, ma sono le immagini
incompiute di una storia che sembra apparentemente essersi conclusa
all’improvviso, spesso violentemente, senza che i più si
accorgessero della sua sopravvivenza. Nella nota dell’autore si
legge: “Benché molti dei personaggi citati portino il nome
di persone realmente esistite, le loro caratteristiche e gli
avvenimenti che li vedono coinvolti sono frutto
dell’immaginazione dell’autore”. Ma è
un’immaginazione, questa, ben salda su di un solido e vivo
immaginario.
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titolo Sway
di Zachary Lazar
editore Einaudi,
Torino
pagine 275
prezzo € 18,00
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Elogio dell'antropologia
di Claude Lévi-Strauss Einaudi onora il centenario
della nascita di Claude Lévi-Strauss pubblicando la sua lezione
inaugurale al Collége de France il 5 gennaio 1960, quando gli fu
ufficialmente affidata la cattedra di Antropologia sociale. Vi si affrontano alcune questioni
fondamentali dell’antropologia sociale, o meglio del suo
programma strutturalista. Lévi-Strauss, infatti, precisa che la
disciplina può essere inclusa tra le scienze semiologiche.
L’antropologo descritto da Lévi-Strauss ha a che fare con
la vita dei segni nella vita sociale, ma la funzione dei segni e dei
simboli può essere compresa solo nella misura in cui
appartengono ad un sistema. Sistemi in apparenza diversi possono
contenere proprietà similari, e proprio questo aspetto
può permettere la ricostruzione di una struttura estendibile a
tutte le società umane. L’universalità del
tabù dell’incesto fornisce un utile esempio, non solo per
chiarire questa questione, ma anche per esporre il metodo da seguire
nella ricerca antropologica. Lévi-Strauss si allontana
dall’induttivismo di Alfred R. Radcliffe-Brown per adottare il
metodo deduttivo: non ci si interroga sugli avvenimenti o sui
risultati, ma sul senso della proibizione dell’incesto, per
fornire così una risposta sulla natura intima del fatto sociale.
Alla registrazione dei fatti subentrano modelli, ossia sistemi di
simboli, che tutelano le proprietà caratteristiche
dell’esperienza. Questo tipo di impostazione si confronta col
problema dell’invarianza, l’estensione universale delle
regole rilevate, che in antropologia si presenta come la domanda
moderna ad una questione molto antica: quella dell’esistenza di
una natura umana. Lévi-Strauss inizia la sua lezione rendendo
omaggio ai maestri dell’antropologia – non nascondendo
affatto la sua predilezione per la scuola durkheimiana, che così
tanto ha ispirato la formazione del suo pensiero – e conclude il
suo discorso dedicando un pensiero a quei selvaggi che, purtroppo sulla
via dell’estinzione, sono stati in grado di trasmettergli il loro
povero sapere e verso i quali si sente così tanto in debito.
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titolo Elogio dell'antropologia
di Claude Lévi-Strauss
editore Einaudi,
Torino
pagine 51
prezzo € 9,00
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Il lamento del prepuzio
di Shalom Auslander Uno sguardo su quanto possa
essere determinante nell’educazione di una persona e
potenzialmente letale l’integralismo religioso e il legame con
l’ortodossia lo si può dare leggendo Il lamento del prepuzio, romanzo autobiografico di un nostro
contemporaneo, ebreo newyorkese, che ci racconta qui della sua guerra
senza fine – e senza speranza, data la disparità delle
forze in campo – contro il dio dei suoi padri, e la sua
puntigliosa e spietata guerra contro gli uomini. Il racconto di
Auslander, sarcastico e feroce, gioca sul contrappunto fra i ricordi
della sua infanzia, e delle battaglie combattute durante la sua
adolescenza, prima di tutto contro se stesso, per soddisfare i suoi
bisogni peccaminosi: mangiare cibo non kosher e soddisfare le sue curiosità sessuali, e la
sua condizione di adulto, che, nell’attesa di un figlio, vive nel
terrore che il “dio degli eserciti e della vendetta” si
scateni contro di lui per rancore e, perché no, pura cattiveria
e spirito persecutorio. L’invadenza che i dispositivi di
socializzazione ancora attivi nelle comunità ebraiche più
chiuse e ortodosse riesce a determinare una interiorizzazione
così forte dei “valori” della tradizione da
condannare i suoi appartenenti ad un senso di colpa irrimediabile e
impossibile da sradicare, che al massimo si può tenere a bada
con l’ironia e l’invettiva, cercando di schivare le mine
che questo dio occhiuto e persecutorio mette sulla strada – e
questo è il bello – non solo di chi gli si ribella, ma di
tutti, pii e peccatori. Una versione religiosa, insomma, della profana
“legge di Murphy”, che offre forse una spiegazione a quel
senso di colpevolezza e autodenigrazione che sembra fare profondamente
parte della cultura ebraica. Il simbolo di questo conflitto interiore
diventa il prepuzio del figlio che deve nascere ad Auslander, attorno
al quale cominciano a ruotare le ansie e il ribellismo dello scrittore,
che si sente “… proprio come un prepuzio. Reciso dal mio
passato, incerto sul mio futuro, insanguinato, pestato, buttato
via.”. Sradicato, insomma, dalla sua cultura di origine, senza
avere però dove andare.
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titolo Il lamento del prepuzio
di Shalom Auslander
editore Guanda, Milano
pagine 268
prezzo € 15,50
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