
Nel primo romanzo, infatti,
la realtà delle cose viene stravolta in modo tale che il commissario
vede costruirsi un canovaccio su cui adagiare le colpe passate del
medico Gastmann: i due si fecero una promessa nel passato, il
commissario promise di condannare il medico per un suo antico delitto,
il medico promise al commissario di continuare a commettere delitti
restando impunito. Il delitto attorno a cui ruota Il giudice e il suo boia
non ha come colpevole Gastmann, e Bärlach ne è consapevole, ma tale
delitto verrà interamente ricostruito dagli eventi e dal commissario,
in modo tale da far cadere colpevole il medico reo, invece, di
tantissimi altri delitti, ma non di quello. La trama si costruisce come
nel classico romanzo giallo, apparentemente, solo che la colpa è
l’elemento che chiede la punizione del medico, la colpa in generale, e
non una colpa, quella per cui poi verrà effettivamente condannato. Qui
la realtà viene costruita dagli eventi, sono gli eventi a venire
incontro al commissario, e non è lui stesso a costruirli abilmente per
emettere il suo personale giudizio.
Nel secondo dei due romanzi, Il sospetto,
la storia per quanto assiale rispetto alla prima è identica, ma
rovesciata. Non si conosce alcunché del delitto, inizialmente, né del
carnefice, si ha solo un sospetto, appunto. Ed è il sospetto stesso che
si va concretizzando nelle pagine del romanzo, come la più lineare
delle evidenze, nonostante la bizzarria dell’intreccio. Qui Bärlach
riesce a formalizzare la colpa di (ancora) un medico, un certo Nehle,
che operava senza praticare anestesia nei campi di concentramento
tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Nehle, dato per morto,
sarebbe invece vivo, ed opererebbe sotto falso nome in una clinica in
cui utilizza gli stessi metodi di cui si faceva forte durante la
guerra. Ed è un sospetto (nato da una fotografia in copertina della
rivista Life) un vacillante elemento dello spettro delle
possibilità a convincere Bärlach a sostenere un’indagine che
apparirebbe insensata quanto cervellotica. Ecco il palindromo: nel
primo caso una realtà si fa costruire da Bärlach, nel secondo caso
Bärlach costruisce una realtà. Ma in entrambi i casi la trama già
esiste nella mente del commissario, preesiste come oggetto al
delitto particolare in quanto si proietta sul dato concettuale che vi
sottende, sulla colpa. Qui Dürrenmatt gioca di strutturalismo,
dimenticandosi del soggetto, utilizzandone le doti certo, ma in favore
della trama. Tutto per distrarsi dalla canonica esperienza del romanzo
giallo, per sostenere a gran voce che la realtà, se vuole, può farsi
costruire come nessun assassino potrebbe immaginare, o come qualunque
commissario riuscirebbe a fare, se solo fosse un mezzo della realtà
stessa. |