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****FPS, TPS, RTS, GDR, MMORPG (…): I GENERI VIDEOLUDICI

NELL'ERA DELLA CONVERGENZA

di Valerio Volpicelli

videogiochiNati quasi “per gioco” negli anni Cinquanta del XX secolo, ma esplosi a partire dagli anni Settanta, i videogiochi sono ormai una delle galassie più ricche e varie dell’universo virtuale.
Passati rapidamente da una dimensione rudimentale e sussidiaria – si pensi all’ormai archeologico Pong che girava sui Commodore – ad una straordinaria variabilità, si sono espansi in molteplici direzioni, approfittando al massimo degli esiti della ricerca sviluppata dal cinema degli effetti speciali e di quella connessa in generale alla mimesi del reale attraverso il digitale e contemporaneamente declinando la loro ricerca – sostanzialmente narrativa – in moltissime direzioni, generi e sottogeneri
Se ha senso o no parlare di generi videoludici oggi è difficile dirlo ma, ad ogni modo, è sempre esistita una tendenza a classificare ed etichettare i videogame affinché il pubblico di riferimento di quel genere potesse riconoscerlo ed esserne attratto. In principio vi erano distinzioni nette tra “macro generi”: vi erano lo sparatutto, il picchiaduro, l’arcade, lo strategico (in tempo reale o a turni), e ancora altro…  Ma ha ancora senso parlare di generi quando la produzione di videogame è sempre più orientata alla costruzione di metalinguaggi fatta di innumerevoli contaminazioni – con cinema e fumetti in primis - e sempre più orientata alla convergenza? Se Street Fighters, nato nel 1987 (Capcom), era senza dubbio classificabile come “picchiaduro”, Soul Calibur IV (2008, Bandai-Namco) di certo non è il più classico fra questi poiché in esso vi ritroviamo elementi che riguardano l’acquisizione di esperienza, il “level upping” dei personaggi, che consente loro di apprendere nuove skills e sbloccare nuovi equipaggiamenti ed armi sempre più letali. E ancora, se prima Quake (1996, ID Software) era uno sparatutto in prima persona puro, i suoi epigoni, come Fallout 3 (2008, Bethesda Softworks), di certo non sono dello stesso genere e sostanza, in quanto contengono elementi che consentono al giocatore di modificare il proprio personaggio, l’arma ed i relativi upgrade sparsi nei livelli che alterano completamente la dinamica di gioco.
Da qui la domanda: è ancora possibile parlare di classificazione dei generi videoludici? Dopo la TV, un altro media affronta la commistione dei generi, trasformando cancellando e ricreando ciò che esisteva, per dar luce a qualcosa di nuovo. La convergenza di cui stiamo parlando in questa trattazione è relativa ad una sempre più frequente ibridazione dei diversi generi con elementi GDR (acronimo di Gioco Di Ruolo), ossia un gameplay che risulti vieppiù appagante con il trascorrere del tempo e che garantisca un alto grado di longevità e ri-giocabilità perché per definizione, è un prodotto mass-customizable. Una tale ibridazione si realizza a partire dalla metà degli anni Novanta, permessa dagli sviluppi delle tecnologie e delle piattaforme che li supportano, ma anche dall’evoluzione delle nuove interfacce player-oriented che garantiscono comfort e sicurezza ai giocatori ed infine, senza dubbio, dalla capacità e dall’abilità dei giocatori stessi che, con gli anni, divengono sempre più esperti ed avveduti nel gestire situazioni ormai diventate topoi. Un videogioco di ruolo è un tipo di videogioco che tradizionalmente usa elementi di gioco presi da giochi di ruolo “carta e penna”, il più famoso dei quali è Dungeons & Dragons (D&D). La gran parte di essi assegna numerose caratteristiche personalizzabili dal giocatore come health points, mana points, level, e statistiche di base (base stats) come forza, agilità ed intelletto, che possono essere modificate col tempo dall’acquisizione di nuovi oggetti e/o portando a compimento le molteplici quest (obiettivi di gioco). Il genere di videogioco GDR nasce con l’avvento nell’ormai lontanissimo 1980 di Rogue (A.I. Design), un gioco avente l’intera interfaccia testuale composta da soli caratteri ASCII, nel quale il giocatore assume il ruolo di un avventuriero immerso in un’ambientazione fantasy: il personaggio inizia dal livello più superficiale di un enorme antro sotterraneo, pieno di mostri e tesori. L'obiettivo è di combattere per raggiungere il fondo dei sotterranei, recuperare l'Amuleto di Yendor e tornare in superficie. Fino al ritrovamento dell'amuleto il giocatore non può risalire le scale che ha usato per scendere. Contrariamente a molti dei videogiochi d'avventura suoi contemporanei, però, ogni livello è randomized-dungeon, ossia generato casualmente, rendendo ogni partita unica. Successivamente in quegli anni nacque un gioco che di per sé fece nascere il genere: la serie di Ultima (Origin System), una pietra miliare che, tutt’oggi, è considerato il più longevo GDR della sua porzione di mercato, se non della totalità di esso. Nascevano in quegli anni anche le software house ed i relativi titoli che avrebbero di lì a poco segnato la storia e dato i natali ad una folta schiera di proseliti: Dragon quest (Enix) e Final Fantasy (Squresoft), entrambi ancora oggi giocati e diffusi in tutto il mondo. In questo periodo, oltre a coprire ogni genere di ambientazione, dal western al Giappone feudale, dalla space opera ai manga, il gioco di ruolo compie quello che tutt’oggi è il suo salto maggiore: si “anima”, diventa vivo, e si diffonde il genere fantasy. Fino ad allora le azioni del proprio avatar erano gestite e descritte in forma scritta, ma d’ora in poi si “recitano” attraverso una loro rappresentazione grafica iconica: non si tratta più di muovere un personaggio usando le parole come interfaccia, ma di interpretarlo calandosi nella parte: il “flavour” e l’estetica acquisiscono un’importanza centrale1. Se negli anni Ottanta la caratteristica che contraddistingueva il GDR era la complessità del sistema di gioco, a partire dagli anni Novanta in poi si è avuto uno snellimento delle regole accompagnato al contempo dalla progressiva complessità del mondo di gioco e del proprio avatar, ormai divenuto tridimensionale e ricco di particolari per attirare anche il pubblico più giovane, che prima non era affatto contemplato nei target di riferimento. È in questo periodo che nascono capolavori della narrativa videoludica come Final Fantasy VII (1997, Squaresoft) e The Legend of Zelda: A Link to the Past (1991, Nintendo), quest’ultimo dotato di una varietà di situazioni ed ambienti assolutamente incredibile, tanto che gli abitanti di Hyrule (il mondo di Zelda) sembravano dotati di vita propria e l'interazione con essi e con l'ambiente circostante era tale da far credere di essere realmente nei panni del piccolo elfo Link.

Sino ad allora a farla da padrona – almeno per quanto riguarda i giochi su console – erano i giochi di ruolo di matrice nipponica, i cosiddetti JRPG, ampiamente diffusi e conosciuti in tutto il globo per le loro sceneggiature e i loro personaggi affascinanti e per storie intrise di spiritualità ma poco personalizzabili. I personaggi sono simili a quelli degli anime, talvolta con aspetti “pupazzosi” in stile superdeformed, la cui razza è sovente limitata ad umani, bestie ed evocazioni divine. Solo più recentemente il panorama dei GDR si è diversificato, a tal punto da creare due famiglie principali: lo stile del gioco di ruolo di matrice giapponese da un lato, dall’altro invece uno stile di gioco che propone un’avventura caratterizzata da maggior libertà e personalizzazione del proprio avatar. Questo tipo di gioco di ruolo è definito “alla occidentale”: esiste un mondo complesso, con numerose razze – tra le quali elfi nani, orchi, non-morti - dove il proprio personaggio può vivere infinite avventure e dove, a differenza della controparte orientale, egli non è ben definito, non ha un nome - spesso è attribuito dal giocatore o, semplicemente, viene omesso durante l’intera narrazione – e le scelte cui il giocatore si trova di fronte possono alterare il prosieguo della storia, concedendo una varietà di situazioni e annessi finali differenziati a seconda delle decisioni prese. Archetipi del genere sono la serie di The Elder Scrolls (1995, Bethesda), Diablo (1996, Blizzard), Baldur’s Gate (1998, Bioware), Ghotic (2001, Piranha Bytes), Neverwinter Nights (2002, Infogrames), e Fable (2004, Lionhead studios), quest’ultimo considerato da molti il primo vero tentativo di rendere unica ed estremamente personalizzabile l’avventura in un gioco risultante di una ibridazione action-adventure-GDR. Se il primo capitolo è rimasto disatteso per quanto riguarda i risultati, il secondo (in vendita da poche settimane) rappresenta una sua diretta evoluzione: come nel capitolo precedente, vi è implementato un sistema di morphing del personaggio che si trasforma e cresce in funzione delle avventure, delle decisioni, degli scontri e degli incontri che il nostro eroe “innominato” intrattiene con gli altri PNG (Personaggi Non Giocanti). Se il primo capitolo della serie poteva essere per certi versi considerato un capolavoro mancato, il sequel rappresenta invece un GDR di rara fattura, con dialoghi ed azioni ben scriptate e molteplici opzioni di personalizzazione che alterano la narrazione e ne prolungano la giocabilità. Soffermiamoci ulteriormente sui titoli della Lionhead: dal punto di vista della nostra trattazione, Fable e Fable 2 2, possono essere considerati casi particolari, in quanto paiono due videogiochi con un’impostazione tutt’altro che ruolistica: Peter Molineaux ha progettato il mondo di gioco, l’interfaccia d’interazione e i comandi in maniera da assomigliare più ad un’action-adventure game piuttosto che ad un GDR classico, quasi come se questi elementi ruolistici fossero stati inseriti in un secondo momento, per rendere il prodotto “più appetibile”ad un pubblico più vasto ed eterogeneo. Questa impostazione, ormai sempre più diffusa da origine a videogame che non possono avere una precisa definizione del loro genere d’appartenenza. La commistione di generi avventura-azione-GDR è quella più famosa, ma vanno diffondendosi altri ibridi che riscuotono enorme successo: parliamo degli FPS e, primo fra tutti, parliamo del caso Deus Ex (2000, Ion Storm), sparatutto Sci-fi con anima da gioco di ruolo in prima persona. Tale titolo si spinge oltre i limiti usualmente imposti dai videogiochi di ruolo tramite un sistema di interazione con gli oggetti e PNG totalmente innovativo: ogni azione del giocatore sembra avere ripercussioni con le successive interazioni, tanto direttamente quanto indirettamente: se, volutamente o per sbaglio, entrassimo nel bagno delle signore (il nostro avatar è forzatamente uomo) sul luogo di lavoro, non solo verremmo cacciati ed insultati dalle signore che potremmo trovare all’interno di essi (conseguenza diretta), ma saremo sgridati e invitati a non ripetere il gesto anche dal nostro capo del dipartimento, durante il seguente briefing di missione (conseguenza indiretta). Inoltre l’esperienza di gioco è arricchita dalla necessità di doversi immedesimare nell’avatar per poter scegliere che strategia adottare per portare a termine le missioni attraverso tattiche di gioco e sistemi di potenziamento del personaggio, sia corporei che dell’equipaggiamento. Allo stesso modo, Bioshock (2007, 2k Games), rappresenta un felice esempio di ibridazione del genere sparatutto con una solida base ruolistica, reso capolavoro grazie al gameplay sci-fi horror frenetico ed immediato e dalla sua sceneggiatura che chiama in causa problematiche etiche quali la folle utopia di una società  che crede nella ricerca e nella sperimentazione bio-genetica sugli esseri viventi, in particolare sugli esseri umani, con le conseguenti aberrazioni che essa produce. 
Nel 2004 si assiste ad un sostanziale cambiamento nel panorama dei giochi di ruolo: “se non è online non è” recitavano molte testate del settore videoludico. In quell’anno infatti vedeva i natali il quanto mai blasonato World of Warcraft (Blizzard), MMORPG (Massive Multiplayer Online Role Playing Game) che surclassa il successo dei suoi predecessori – Ultima Online e Dark age of Camelot su tutti – proponendo un sistema di gioco a cavallo tra il gioco di ruolo, la strategia e l’azione. Ma ciò che ha fatto di World of Warcraft un successo planetario forse non è né l’interfaccia, né la componente ruolistica di customizzazione del proprio personaggio, ma la sua community che, nel 2008, contava ben oltre le 11 milioni di iscrizioni attive. Il gioco di ruolo del terzo millennio diventa GDR online; l’esperienza di “condivisione delle esperienze” si sposta progressivamente dai blog ai mondi fantastici dei videogames, spesso con rimandi dagli uni agli altri, così come accade in Second Life (2003, Linden lab), enfatizzando la componente “real” in un mondo virtuale: dal mondo di gioco è possibile acquistare, attraverso le giuste conoscenze e la giusta “reputazione”, oggetti del mondo reale come una chitarra o un I-pod, semplicemente recandosi nel virtual store appropriato. Insomma, definire cosa è o non è un gioco di ruolo oggi è arduo, poiché i confini diventano mobili. Così come per la tv, per la quale non è più necessario redigere semplicemente i testi da mandare su schermo, per i videogames si prospetta la medesima situazione: il lavoro più importante non riguarda la costruzione di un format di gioco che rientri nei canoni di categorizzazione vigenti, bensì la costruzione di una trama avvincente, di un gameplay che risulti conseguentemente valido ed appagante, per poter garantire un’esperienza di gioco che sia vieppiù entusiasmante e in grado di essere ripetuta. Ciò che i designer devono saper prevedere in anticipo è la meccanica di gioco, cioè l’organizzazione degli eventi e dei dialoghi, mentre il resto accade “in game”, per mezzo del giocatore, sulla base di una competenza intertestuale presupposta e condivisa da entrambi. Molti giochi sono pubblicizzati come forniti di “elementi di gioco di ruolo”, talvolta essi sono completamente lineari e non offrono opportunità di gioco di ruolo maggiori di quelle possedute guardando un film o leggendo un libro, anche se ciò non è generalizzabile all’intero panorama dei video-GDR. Anche se ovvie limitazioni tecniche e pratiche confermano che un videogioco di ruolo non possa essere aperto e libero come i giochi di ruolo “carta e penna” stile D&D - dove l’unica limitazione reale agli eventi che si svolgono è l’immaginazione dei partecipanti - è opportuno ribadire che diversi giochi permettono una considerevole varietà nel modo in cui raccontano la loro storia, a seconda delle decisioni del giocatore e della “personalità” del suo avatar, che siano essi picchiaduro, sparatutto, adventure, strategici o giochi online. Dal punto di vista sociologico, talune scelte di design, in un contesto commerciale consumistico come il nostro, riguardano soprattutto la creazione di strumenti che attivano la componente ruolistica messi a punto dai programmatori e gestita dai giocatori, che sono in grado di estendere la vita del gioco anche quando esso è stato completato al 100%: più a lungo la gente gioca e ri-gioca un GDR, più a lungo ne parla diventando essi stessi veicoli e strumenti preziosi di marketing. Will Wright, autore della serie Sim City (1989, Maxis ) e The Sims (2000, Maxis ), paragona questo processo alla diffusione di un virus: “Se riesco a far giocare gli utenti il doppio del tempo, posso vendere una quantità di copie dieci volte superiore!”. La rete di relazioni che si instaura tra giocatori è probabilmente l’elemento principale di sostenimento dell’industria videoludica, alla pari – se non in maggior misura – degli upgrade hardware delle piattaforme che li supportano o degli algoritmi di intelligenza artificiale più innovativi. È opportuno chiedersi: perché è la componente ruolistica ad attivare siffatti meccanismi? A differenza degli altri generi videoludici il genere GDR, soprattutto quello online ma non solo - si prenda ad esempio Fable 2, GDR offline il cui mondo di gioco persiste e “vive” anche a console spenta! - sono in grado di coinvolgere una popolazione di gamer pari a quella di una città di medie dimensioni, con mondi ed ambientazioni che sono permanenti, indipendentemente dal fatto che un giocatore vi sia collegato o meno. I mondi sintetici di questi videogame, infatti, non svaniscono quando un utente si disconnette dal server, ma ci sono forze (interne o risultanti dalle azioni di altri giocatori) perennemente all’opera: proprio il senso di continuità del mondo contribuisce a dare profondità al gioco e incoraggia i giocatori a tornare all’interno del “virtual world” in maniera costante, onde evitare situazioni di crisi con gli altri player o, nel caso dei GDR offline, con taluni PNG che alterano il loro allineamento nei confronti dell’eroe. Potremmo asserire che alla nebulosità del concetto di genere videoludico si affianchi, oggi, quella del concetto di “partita”, poiché la durata di ognuna può dilatarsi sino a coprire un arco di tempo di diversi mesi.




:: visioni ::

Baldur’s Gate, Bioware 1998

Bioshock, 2k Games  2007

Dark Age of Camelot, Mythic Entertainment 2001

Deus Ex, Ion Storm 2000

Diablo, Blizzard 1996

Dragon quest, Enix 1986 

Fable, Lionhead 2004

Fable 2, Lionhead 2008

Fallout 3, Bethesda Softworks  2008

Final Fantasy VII, Squresoft 1997

Ghotic, Piranha Bytes 2001

Neverwinter Nights, Infogrames 2002

Quake, ID Software 1996

Rogue, A.I. Design 1980

Sim City, Maxis  1989

Second Life, Linden Lab 2003

Ultima Online, Origin Systems 1997

World of Warcraft, Blizzard 2004

Soul Calibur IV, Bandai-Namco 2008

Street Fighters, Capcom 1987

The Elder Scrolls, Bethesda 1995

The Legend of Zelda: A Link to the Past, Nintendo 1991

The Sims, Maxis 2000

Ultima, Origin Systems 1980

:: letture ::

Blog di Mattia Zabini: http://www.flyingcircus.it/forum/ 
quattro_chiacchere_tra_noi/mattia_zabini_da_la_sua_definizione_del_gioco_di_ruolo

F. Calamosca, “Final Fantasy. Vivere tra gli indigeni del cyberspace”, edizioni Unicopli

:: note ::

1.
 Blog di Mattia Zabini: http://www.flyingcircus.it/forum/ 
quattro_chiacchere_tra_noi/mattia_zabini_da_la_sua_definizione_del_gioco_di_ruolo

 2. Cfr. F. Calamosca, “Final Fantasy. Vivere tra gli indigeni del cyberspace”, edizioni Unicopli, p. 194.