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Una storia cyborguesca: He,
She And It di Marge Piercy
di Antonella Russo | |
Nel 1985
Donna Haraway pubblica il Manifesto Cyborg, testo
fondamentale, diventato luogo di dibattito e fonte di ispirazione per
la teoria culturale femminista, in quanto nella tecnologia si leggono
potenzialità radicali di cambiamento per le
donne. L’originalità
del pensiero di Haraway sta soprattutto nel situare la creazione del
cyborg come critica alla ragione centrata sul soggetto, ovvero alla
tesi che l’uomo, quella creatura autonoma e universale, altro
non è che
una costruzione moderna, manifestazione del nostro sapere e potere. Per
Haraway, le tecnologie del corpo che producono il soggetto moderno
diventano sempre più deboli e vengono di volta in volta
sostituite da
tecnologie di un ordine completamente diverso. I limiti delle
configurazioni moderne di potere, quei limiti di demarcazione tra io e
altro, si stanno dissolvendo dando luogo a nuovi
“limiti” imprecisi e
fluidi, che rompono i dualismi tra io/altro, idealismo/materialismo,
mente/corpo, umano/animale. Nuovi limiti resi possibili dal dispiegarsi
graduale delle tecnologie cibernetiche nel campo della biologia e
medicina, nella logica della dominazione delle corporazioni
multinazionali, nei luoghi di lavoro, negli ambienti militari. Nuovi
limiti che sviluppano nuove configurazioni di potere e di sapere e che
creano nuovi “soggetti” postmoderni.
Si riprende qui l’idea del cyberpunk, secondo cui la tecnologia è diventata qualcosa di molto più intimo, nel senso che è sotto la pelle, dentro di noi, e il rapporto che s’instaura porta a trasformarci, in realtà, tutti in cyborg, risultato dell’unione di organismo biologico e cibernetica. Ma non si tratta solo di una questione fisica. Attraverso le parole di Yod, infatti, Marge Piercy sottolinea come noi uomini siamo, in un certo senso, programmati e costruiti da codici, da pratiche e discorsi socio-culturali attraverso i quali abbiamo sviluppato e fissato le funzioni da svolgere:
E ancora:
Yod non giudica le apparenze, in questo differisce dagli esseri umani; ma, come gli uomini, è capace di sviluppare proprie ambizioni e valori, è in grado di creare metafore, di amare, di godere, di desiderare, di manifestare insicurezza e ci tiene a chiarire la differenza tra le funzioni che deve svolgere assegnategli da Avram, e lo sviluppo di una sua personalità:
Anche nella descrizione dell’incontro sessuale tra
Yod e Shira,
leggiamo lo stupore di quest’ultima nello scoprire il cyborg
meno
“meccanico” degli altri suoi amanti umani, ponendo
in primo piano la
questione che produrre robot umani o macchine
“meccanizza” tutti noi
(Shands, op.cit., pag. 93), ricollegandosi,
in questo modo, a
ciò che sostiene Haraway quando scrive che nel rapporto tra
umano e
macchina non è chiaro chi crea e chi è creato
(Haraway, 1991, pag.
177).
Ci sono due aspetti da sottolineare in questo passaggio: il primo è il tema del desiderio della procreazione da parte dell’uomo, dello scienziato Avram che lavora in segreto nel suo laboratorio (“Yod is a secret project of my own” [ibidem, pag. 73]), che tanto ci ricorda il Frankenstein di Mary Shelley; il secondo riprende l’idea di Haraway dell’importanza da parte delle donne di comprendere la presenza della cibernetica in ogni aspetto della realtà sociale e di prendere parte attivamente nella costruzione dei nuovi limiti, come strumento di liberazione. Tutte le donne in He, she and It, hanno conoscenze ed esperienze nell’ambito tecnico-scientifico al pari degli uomini, proprio perché la scrittrice vuole incoraggiarle a sentirsi partecipi nella costruzione della futura tecnologia. Malkah, infatti, spiega a Yod l’importanza del ruolo da lei svolto nella sua creazione:
È, come vediamo, Malkah a programmare Yod nello
sviluppo del suo
lato emotivo, a dargli un’educazione sentimentale iniziandolo
al
racconto della creazione del suo antenato, del Golem2 Joseph da parte
del rabbino Judah Loew nella Praga del 1600. Marge Piercy vuol
mostrarci come tra il 1600 e il 2059 ci siano tante differenze,
soprattutto culturali, ma come nello stesso tempo e allo stesso modo
Yod e Joseph sono espressione di subjects in process,
decentrati, che suggeriscono la possibilità di innumerevoli
altre
storie ma soprattutto tematizzano la costruzione
dell’identità
decostruendo, di conseguenza, le dicotomie su cui si basa il pensiero
occidentale.
E come un bambino che viene alla luce protestando e piangendo, allo stesso modo Yod vive la sua “nascita” con spavento, sofferenza, come spiega a Shira:
Leggendo questo passaggio notiamo come la descrizione della
nascita
avvenga attraverso l’impiego di termini scientifici, quasi a
porre
l’accento sulla sua natura di macchina, ma nello stesso tempo
siamo
coinvolti emotivamente dalla sofferenza e dalla confusione che prova,
proprio come essere umano. Ancora una volta ci troviamo di fronte
all’impossibilità di definire, di inserire Yod in
una categoria fissa,
stabile. La stessa difficoltà che incontriamo nella
scrittura, dato il
susseguirsi degli eventi senza una continuità logica. Una
scrittura
che, per questo, potrebbe considerarsi cyborguesca, per riprendere il
termine coniato da Giulia Colaizzi (2006), da cyborg e dalla nozione di
corpo grottesco di Bachtin, ovvero un corpo non confinato in se stesso,
ma che vive in un rapporto di simbiosi con altri corpi, di
trasformazione e rinnovamento, ricorrendo anche a mescolamenti e
contaminazioni che non conoscono soluzione di continuità tra
umano e
non umano, animale e vegetale, organico e inorganico. Secondo
Giulia
Colaizzi il corpo cyborguesco è un corpo che eccede
costantemente i
suoi limiti, non è chiuso in una totalità ma
è un corpo dialogico,
identico a se stesso e nello stesso tempo altro, un corpo strutturato
come un’articolazione di discorsi e differenze, che si ha nel
e
attraverso il linguaggio. Quindi scrittura cyborguesca
poiché non è
chiusa in una totalità, ma è eterogenea,
risultato della fusione di
linguaggio magico, mitico della tradizione cabalistica attraverso
l’uso
del passato e linguaggio informatico, scientifico rappresentato dal
mondo virtuale con l’uso del presente/futuro. Le
unità di tempo, di
spazio vengono completamente stravolte e la scrittura si pone come la
grottesca parodia di ogni forma di coerenza. Di conseguenza, i
canoni della narrativa basata su criteri di verosimiglianza e
naturalismo, che offre una visione monolitica e chiusa del mondo,
vengono sconvolti. Qui, alla monologicità della parola, si
sostituisce
la pluralità di voci e punti di vista dei personaggi che
popolano il
romanzo e che non s’inquadrano in un progetto unico e
unitario. La
Piercy, infatti, si nasconde, si rende invisibile e lascia che siano i
suoi personaggi a narrare e narrarsi. Realizza, cioè, il suo
discorso
attraverso un gioco di rinvii da interpretato ad interpretante,
cosicché la sua parola “si situa in un dialogo
infinito” (Cfr. Ponzio
2004), non si lascia imprigionare nella sua realtà, ma rompe
i confini
del suo tempo e rivive nel dialogo con gli interpretanti di mondi
differenti: quello futuro ricco di suggestioni cyberpunk e quello
passato, della tradizione orale, della magica atmosfera della Praga
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1. È interessante riportare la riflessione di Antonio Caronia in merito al film Videodrome di Cronenberg del 1982 che presenta la figura di un “cyborg assolutamente inedito”, un corpo la cui integrazione con la tecnologia non è l’esito di un’operazione chirurgica o di una produzione ad alta tecnologia, bensì il risultato di un processo sociale, di una particolare configurazione del flusso comunicativo. “…per la prima volta è direttamente la società, e in particolare quell’apparato sociale essenziale per la modernità che è il sistema dei media, a secernere l’ibrido spaventoso tra uomo e macchina: e lo produce direttamente dalla sua quotidianità, dal suo funzionamento abituale. […] Cronenberg ci mostra un mondo che è inequivocabilmente il nostro, con una televisione pervasiva, morbosa ma domestica, elemento costitutivo della nostra vita quotidiana ma al tempo stesso catalizzatrice di pulsioni così potenti da trasformare il mondo intorno a noi, da cancellare ogni confine stabile tra l’esterno oggettivo, dato al di fuori di noi, e l’interno del vissuto psichico, delle fantasie sessuali e delle pulsioni di morte” (Caronia 2001, pag. 79-80). 2. Quella del Golem è un’antica leggenda ebraica sul mito dell’uomo artificiale creato da un altro uomo mediante la costruzione di un simulacro d’elementi naturali, la terra, che prende vita grazie a formule magiche. |