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Traiettorie pornografiche attraverso il confine virtuale/reale
di Gaia (Maqi) Giuliani

onenightstandNel film franco-belga del 2000 Thomas est amoureux di Pierre-Paul Renders un ragazzo di 32 anni affetto da agorafobia che ha come unico intermediario con il mondo esterno il proprio computer, decide di affidarsi su consiglio del proprio psichiatra ad un’agenzia (dal nome significativo, Globale) di entrêneuses virtuali. Tra le varie “amiche” reali dei suoi rapporti virtuali, Thomas sceglie una partner-ologramma, virtuale nel virtuale, con cui la dimensione reale di un corpo che oltre lo schermo è carne e ossa viene completamente espunta. 
Questo film, figlio di un tempo che è già passato prossimo, affrontava in un modo frammisto di ironia e serietà il tema dell’ingresso in massa della sessualità privata in rete e delle sue forme di mediazione virtuale personalizzata ed allo stesso tempo spersonalizzante: non si tratta, infatti, di un caso di pay-per-view della pornografia virtuale, attraverso cui si fruisce di un prodotto pornografico pre-confezionato, ma di accesso personalizzato ad un rapporto esclusivo con la propria “partner sessuale” mediato da webcam, per quanto attraverso esso si abbia una sorta di neutralizzazione del contatto reale con il corpo dell’altra/o e dunque dell’originalità e della biunivocità tattile del rapporto sessuale. Affrontava dunque il grande dibattito, interno non più solo alla comunità di addetti ai lavori ma esteso al grande pubblico, della relazione tra virtuale e reale per quanto concerne la costruzione delle reti sociali e dei rapporti personali. La scelta di porre al centro della narrazione di un preciso momento storico del rapporto tra società (occidentale) e tecnologie virtuali un protagonista agorafobico poteva essere letta come l’estremizzazione della tensione tra le due sfere al fine della messa in risalto di una fuga dal reale nel virtuale dettata dalla necessità o dalla volontà di ridurre – o, perfino, di espungere definitivamente – l’aspetto ansiogeno, ossia il contatto reale, insito nel rapporto con l’alterità. La dimensione del reale viene dunque fatta coincidere, mediante l’ottica particolare del protagonista, con la dimensione del caos, della paura cagionata dal senso di accerchiamento, di perdita dei punti di riferimento e del controllo degli individui sulla realtà e sui corpi degli Altri. In tal senso vi è un rimando, implicito, ai dibattiti sulla progressiva articolazione e differenziazione della società postmoderna e dunque sulla perdita dell’identità culturale (moderna e occidentale) di fronte all’insorgere di istanze e modi di vita non immediatamente codificabili ed appropriabili (si pensi al dibattito sull’alterità culturale e le forme di razzismo e xenofobia sviluppatosi tra la fine degli anni Ottanta la fine degli anni Novanta). La scelta di Thomas è la scelta di quello che venne definito “l’esodo nel virtuale”, strumento questo, più che di moltiplicazione delle relazioni sociali, di sclerotizzazione delle stesse e della loro riduzione a scambi inoffensivi.
In tal senso Thomas est amoureux è in un certo senso superato: l’agorafobia, o meglio lo stordimento derivante dal confronto con l’alterità incontrollabile, è stata in qualche modo controllata – rielaborata in senso soggettivo – dalla massa dei navigatori e delle navigatrici che hanno virtuosamente esplorato, soprattutto nell’ultimo decennio, le molteplici relazioni tra le due dimensioni ponendo seriamente in questione la concezione del virtuale come sfera a sé stante e di mera fruizione di prodotti mediatici preconfezionati. E ciò vale anche, e soprattutto, per quanto riguarda le relazioni sessuali e l’autorappresentazione del proprio corpo e della propria sessualità all’interno delle comunità virtuali: dalla proliferazione di chat, forum e siti che agevolano il contatto tra persone dallo stesso orientamento o dalle stesse fantasie sessuali (dalla chat gay ai forum BDSM), al realcore (in cui la pratica del comprare-guardare-venire, seppur in modo interattivo, viene sostituita dal do-it-by-yourself che capovolge il ruolo del soggetto da fruitore a produttore d’immagine pornografica), alla pornografia underground in cui il rapporto reale/virtuale tra persone che si incontrano in rete o in vivo viene messo a valore pornografico in film o mediometraggi dal plot condiviso tra produzione, attori e pubblico.
Nello specifico degli ultimi due esempi, si tratta di esperimenti estremamente interessanti, e dal sapore fortemente – per quanto spesso non esplicitamene - politico, in cui la condivisione reale-virtuale di esperienze, desideri e immaginari si fonde nella creazione di un prodotto virtuale/cinematografico tradizionale (commercializzato o non commercializzabile e free-access) che rappresenta non solo il desiderio di espressione pubblica di desideri e fantasie private, ma la vera e propria pubblicizzazione e dunque politicizzazione di quegli stessi desideri e fantasie. 
Mentre il realcore rappresenta una delle modalità attraverso cui singoli, coppie sposate, coppie di sconosciuti e sconosciute, e quant’altro rendono pubbliche sul web le proprie esperienze erotiche – mediante un accesso che è per lo più non a pagamento, per quanto tale materiale sia fruibile spesso solo previa iscrizione a forum e mailing lists di amateurs - la sperimentazione rappresentata dal secondo tipo ha a che vedere con la rappresentazione, o l’auto-rappresentazione di forme del desiderio nascoste, tabù, marginalizzate o sotto-rappresentate ai fini della loro emersione nel pubblico e della loro socializzazione1.
In questo senso l’Eros espresso via virtuale non ha come contropartita un Tanathos del reale, tutt’altro. Il caso di One night stand di Emilie Jouvet (2006) è emblematico: definito come il primo mediometraggio pornografico lesbico la cui regista, fotografa della scena lesbica parigina, ha realizzato mediante la pratica dell’“ascolto” delle fantasie delle sue protagoniste (non professioniste), rappresenta la connessione virtuosa tra gli “spazi reali” della socialità lesbica e trans (FtoM) e gli spazi virtuali della proiezione cinematografica e della rete. Le protagoniste degli episodi di One Night Stand sono donne (biologiche) e uomini (non biologici) che hanno raccolto l’invito della regista, pubblicato in rete in numerosi siti, chat e forum dedicati al mondo lesbico di Parigi, a costruire insieme un porno mediante la traduzione in linguaggio cinematografico delle molteplici forme del desiderio lesbico, tradotte dalla Jouvet, e interpretate dalle stesse persone che avevano contribuito alla sceneggiatura del film. L’obiettivo politico di quella che è un’operazione commerciale (il film si vende attraverso il sito della regista, come un consueto prodotto pornografico) è stato quello di realizzare un prodotto auto-rappresentativo (politico) ma allo stesso tempo fruibile nei termini del prodotto commerciale porno, un prodotto che, se nella sua interezza è accessibile solo mediante il tradizionale acquisto (per quanto esclusivamente via web), è parzialmente liberamente accessibile on-line nella versione ridotta ad un solo episodio (Red fetish bathroom).

Un altro esempio di rapporto virtuoso tra spazi del reale e dimensione virtuale (inteso come circolo che include la cinematografia indipendente) è rappresentato dai lavori del pornografo canadese Bruce LaBruce, i quali, e nello specifico la sua ultima produzione, Otto, vedono al lavoro la sinergia costruita dallo stesso LaBruce tra relazioni innescate via virtuale (mediante i suoi numerosi siti internet e blogs), network di amicizie e collaborazioni americane, canadesi e europee, e luoghi e spazi della socialità legata al fucking different (o più generalmente queer, in cui le pratiche e le identità sessuali al di là della tradizionale sessualità eteronormata si incontrano e si scambiano mettendo in pratica un crossover non solo di corpi ma soprattutto di immaginari critici e creativi). Otto è un film interamente girato a Berlino, i cui protagonisti e comparse (non professioniste/i) sono stati coinvolti attraverso la rete di relazioni creatasi sia all’interno del mondo della pornografia indipendente sia mediante la rete di attivisti/e e artisti/e che animano la scena queer berlinese. Se il plot è interamente farina del sacco di LaBruce, la creazione finale del prodotto è data da un susseguirsi di tappe in cui condivisione, ricerca collettiva, sperimentazione precedentemente posta in essere in questi ambienti creano il senso e lo stile ultimo del film. Questo processo non è solo intersecato, quindi, dalla dimensione virtuale: ne è completamente intriso. Virtuali sono i contatti attraverso cui si crea il progetto, si trovano collaboratori e collaboratrici, protagonisti e comparse e si pubblicizza il prodotto finale. E, in ultimo, Otto in rete assume una sorta di vita propria, divenendo motivo e argomento di ulteriori dibattiti, relazioni, produzioni e sperimentazioni artistiche che traggono la propria origine dallo spazio della comunicazione e dell’interazione virtuale.
Vi è dunque un rimando continuo, una ricaduta incessante delle diverse dimensioni in cui avviene sia il contatto umano sia la produzione di senso collettivo e pubblico: se la frammentazione degli immaginari collettivi mediante una loro riproduzione, moltiplicazione ed emersione da spazi finora, o fino a poche decine di anni fa, marginali, equivalgono ad una sorta di “precarizzazione” positiva del senso comune pornografico, essa appartiene e si riferisce, purtroppo, ad un pubblico che resta ancora “marginale” rispetto al mainstream della fruizione di pornografia e del pubblico in generale. 
Eppure, forte è la consapevolezza che la resa pubblica di tali sperimentazioni apre spazi di soggettivazione non solo all’interno degli ambienti culturali da cui esse si originano, ma in una dimensione più ampia e trasversale. In tal senso nulla resta confinato nel virtuale: si tratta di forme di sperimentazione estremamente coraggiose in cui persone comuni, come nel caso del realcore, rielaborano il rapporto con il proprio corpo e con l’auto-rappresentazione di sé trasgredendo o rielaborando i codici, apparentemente molto statici ed eteronormativi, della pornografia nel tentativo, butlerianamente inteso, di sconfinare mediante un transgenderismo introiettato, nella critica pubblica ad un sistema valoriale esclusivo ed escludente. In tal senso non vi è il mero uploading nel virtuale di esperienze reali, né la creazione di una dimensione a-reale e solo ed esclusivamente virtuale della sperimentazione del desiderio e delle fantasie: vi è piuttosto l’utilizzo del mezzo virtuale per la creazione di una sorta di commonality in continua trasformazione ed espansione trasversale alle dimensioni e alle “comunità”. 
Dal punto di vista cinematografico, si tratta spesso di progetti che trovano i propri precursori o ispiratori nella pornografia critica e femminista di Annie Sprinkle e di Candida Royale (si vedano a proposito The Nacked Feminist di Louise Achille del 2003 o Annie Sprinkle's Herstory of Porn del 1999) o nelle opere di John Waters (ricordiamo la masterpiece del genere Pink Flamingos del 1972 e il più recente A Dirty Shame del 2004) o del punk-porn americano della fine degli anni Settanta (quello di Ela Troyano e Jürgen Brüning). Lo sguardo pornografico di queste sperimentazioni è uno sguardo spesso collettivo (di gruppi, collettivi, piccole comunità) che guardano e si guardano attraverso la cinepresa o lo schermo tentando di proporre ottiche alternative che rompano l’omogeneità dei codici.

L’interattività, in quei casi, era reale, limitata alla lavorazione dei film, mentre la fruizione era statica, per quanto essa abbia alimentato dibattiti, pensiero critico e dunque una forma di attraversamento virtuoso delle sfere di produzione/fruizione con effetti importanti dal punto di vista della produzione di senso, sia nello spazio dei movimenti sia attraverso i media e la pubblicistica. In tal senso le forme contemporanee della riappropriazione e della messa in discussione collettiva del codice pornografico in senso trasversale – all’interno cioè di comunità che rappresentano sia il pubblico sia il potenziale serbatoio di attori, registi e produttori della produzione pornografica – segnano lo scarto fondamentale tra la pornografia cinematografica-analogica degli anni settanta-ottanta e quella digitale (più facilmente accessibile dal punto di vista della produzione anche per i suoi costi limitati e per la diffusione di massa della tecnologia necessaria2).
Tale riappropriazione ha fatto sì che, nonostante le resistenze ancora esistenti da parte di una mentalità abolizionista e censoria nei confronti del codice pornografico diffusa sia negli ambienti accademici sia nei movimenti femministi sia nell’opinione pubblica in generale, che la critica al codice pornografico fosse prima di tutto una decostruzione dello stesso codice nel tentativo di riutilizzare quel medium – ossia la possibilità dell’auto-rappresentazione erotica – con una particolare attenzione ai messaggi – di tipo normativo-sessuale – che esso veicola. In tale direzione si è sviluppata sia la ricerca in seno a circuiti accademici e artistici come quelli che hanno dato vita a progetti come The Art of Politics of NetPorn (Amsterdam), Post-Porn Politics (Berlino), Tekfestival (Roma) o Cum2Cut (Berlino) sia la sperimentazione interna a progetti queer come Phag-off (Roma), Girlswholikeporno (Barcellona), Carni Scelte (Bologna), La Jugueteria (Madrid), Panik Qulture (Parigi), Porn Flakes (Milano3) o condotta da performer come Harlot Scarlot (USA) o filmmaker come Todd Verow (USA) e Arthur Cottam (USA) o da ricercatrici come Beatriz Preciado (Parigi), Maxime Cervulle (Parigi) o Liad Kantorowicz e Maya Ne’emani (Tel Aviv4). È di Annie Sprinkle la definizione di questa pornografia come post-porno: una definizione che è stata posta al centro dei suddetti esperimenti di riconcettualizzazione del porno, ossia dell’analisi e della riappropriazione del codice pornografico al fine di un’interpretazione della realtà sia sociale sia personale: si pensi, nel primo caso, a lungometraggi diversissimi come Too hot in Tel Aviv dell’israeliano Roy Raz (2006) o a Ave.X dell’americano Joe Gallant e, nel secondo caso, a Pornography the musical di Brian Hill, 2003, in cui viene narrata, e cantata, la storia di una pornodiva inglese attiva negli anni ottanta, o a Five sex rooms und eine Küche in cui la regista, Eva C. Heldmann alias Lady Tara racconta, in una sorta di documentario interamente girato all’interno della casa di appuntamento di cui è direttrice, la vita professionale e privata delle sexworkers.
Negli anni Settanta e Ottanta la critica violenta al codice pornografico venne da parte di chi non accettava (e tuttora non accetta) una visione critica della pornografia che fosse portata avanti sia da pornografi e pornografe sia da pornostar e implicata con il mercato dell’immagine pornografica. Il dibattito, sviluppatosi soprattutto a partire dal 1972 – anno di uscita di Gola profonda5 – fu soprattutto americano e coinvolse personalità accademiche ed intellettuali di classe media e bianca, esponenti di un femminismo liberale che svilupparono una critica dai toni e dall’articolazione specificatamente legata al contesto culturale e giuridico statunitense. Di esso furono protagoniste, tra le altre, Catharine McKinnon e Andrea Dworkin, sostenitrici dell’illegittimità della pornografia come mercificazione ultima e definitiva del corpo femminile e dall’altro lato della barricata Nadine Strossen (Difesa della pornografia del 1995 pubblicato in Italia solo nel 2005) e molte altre intellettuali, giuriste ed attiviste in difesa della libertà di espressione6. Tale dibattito venne portato in Italia da Michi Staderini (Pornografie, postumo, del 1998) e ripreso in anni più recenti dalla pornodiva e pornografa francese Ovidie, autrice del Porno manifesto (2003).
Oggi tale critica è ancora fortemente presente in quello che potrebbe essere definito il mainstream femminista – quello delle grandi organizzazioni internazionali che si diedero appuntamento a Pechino nel 1995 e che fanno riferimento e raccolgono sia gruppi ed istituzioni nazionali e europee sia le organizzazioni non governative che si danno appuntamento ai Forum Sociali Europei dal 2000 ad oggi. All’interno di tale cornice, la posizione abolizionista in materia di sexwork (ossia di tutto il lavoro sessuale commerciale, della cosiddetta industria del sesso) viene associata generalmente ad una posizione censoria nei confronti della pornografia, vista ancora nei termini espressi da MacKinnon e Dworkin, come espressione del dominio fisico e simbolico patriarcale sulle donne7. Questa posizione è generalmente caratterizzata dall’assenza di un’indagine più approfondita degli immaginari proposti dalla pornografia non mainstream e dal rifiuto più o meno velato nei confronti della rappresentazione della sessualità differente (da quella sadomasochista a quella genericamente considerata violenta o machista). Tale posizione, che ha come corollario il rifiuto di riconoscere il linguaggio pornografico come possibile strumento di visibilità, oltre che di ripensamento, delle identità gay, lesbica, transessuale e transgender, innerva il linguaggio politico-istituzionale legato al gender mainstreaming e, rafforzata da questo, l’opinione pubblica attorno al tema. A tale posizione si sono opposte nel tempo le voci di pornografe e pornostar con analisi che, ben lungi dal limitarsi alla perorazione della causa pornografica, hanno espresso, come nel caso di Ovidie, forti critiche all’approccio alla sessualità dimostrate da quella particolare tradizione politica femminile e femminista. 

Nell’ormai celebre Porno Manifesto, la giovane pornostar, e ora anche pornografa, Ovidie, utilizzando la pratica (femminista) dell’auto-narrazione articola una critica profonda ed estremamente puntuale alla concezione della sessualità maschile e femminile e della riproduzione avanzata dal femminismo storico, accentuando l’ottica censoria con cui sono stati, e sono tuttora, concepiti il corpo femminile e la sua rappresentazione erotica. Passando in rassegna alcuni temi-chiave, dalla contraccezione alla sessualità femminile, al concetto di sorellanza, al rapporto madre-figlia e alla concezione del rapporto tra i femminismi storici e nuove pratiche femministe, Ovidie sviluppa una critica serrata alle questioni cardine di un particolare femminismo, quello tradizionalmente legato alla corrente di pensiero che dagli scritti di Simone de Beauvoir giunge alle riflessioni di Luce Yrigaray: pur riconoscendo il grande portato della critica femminista dal dopoguerra agli anni Ottanta sia a livello sociale e politico sia a livello biografico, l’autrice propone, contro la chiusura manifestata da quel femminismo, una concezione della rappresentazione erotica come possibile strumento di soggettivazione da parte delle donne e di critica allo status quo dei rapporti di potere tra i sessi, allineandosi in tal senso alle battaglie portate avanti dall’associazionismo internazionale delle e dei sex-workers.
Per tornare al tema centrale di questo saggio, la critica mossa da Ovidie viene fatta propria e sperimentata nei termini della produzione pornografica da alcuni gruppi e collettivi europei, i quali hanno virtuosamente riattraversato la presunta barriera tra reale e virtuale riconnettendo la sfera dell’analisi e dell’esperienza collettiva reale con lo spettro del networking virtuale e producendo esperimenti estremamente interessanti dal punto di vista sia estetico sia del contenuto8. Alcuni di questi progetti, come Girlswholikeporno, Ex-dona (entrambe di Barcellona), e Panik Qulture (di Parigi), sono ormai celebri, pur restando all’interno di questo settore specifico della produzione culturale. Nel caso di Girlswholikeporno, il progetto, nato dalla mente e dalla creatività di due attiviste di Barcellona, ha finito per coinvolgere numerose persone più o meno attive nella scena underground e politica della capitale catalana, soprattutto attraverso workshop periodici di discussione e di produzione di materiale video – dapprima riservati a sole donne e successivamente aperti a tutti. Ogni produzione è stata uploadata sul blog del progetto e fatta oggetto di proiezioni durante festival del cinema indipendente (porno e non solo): si tratta di produzioni ad accesso libero basate sulla decodificazione – collettiva – del linguaggio pornografico e di alcuni suoi elementi topici (l’eterossessualità dominante per quanto riguarda il porno mainstream, la penetrazione, lo strip-tease, la nudità, l’inquadratura dei genitali, alcune scene tipo, l’abbigliamento e i clichè della recitazione). L’attivazione di un blog, piuttosto che di un sito, rende possibile l’interazione tra i naviganti e le owners mediante la forma del commento. L’accesso libero ai video, poi, e la pubblicazione delle date dei workshop e del riassunto di ciò che avviene all’interno di quelle esperienze permette la veicolazione ad ampio raggio di contenuti e forme di questa sperimentazione post-pornografica. Nel caso di Panik Qulture, si tratta di un collettivo composto da cinque elementi, una donna e quattro uomini, giovani ricercatori e amici di vecchia data, che ha utilizzato il linguaggio pornografico per esprimere contenuti “anti-capitalisti, anti-sessisti, anti-razzisti” – come recita lo script posto prima dei titoli di coda dei loro cortometraggi porno. La ricerca estetica di questi lavori è altissima, mentre le immagini sono state più volte considerate “non-pornografiche” (durante la prima edizione del Porno Film Festival di Berlino un loro corto PopPornParty è stato inserito nella categoria PorNo, ossia porno che non è pornografico): penetrazione, eiaculazione (femminile e maschile), masturbazione, ecc. hanno in questo senso il ruolo di un uso “politico” dell’erotizzazione del corpo attraverso cui è possibile evidenziare come le relazioni di potere (la biopolitica razzista, sessista e omofoba) si trasferiscano nella vita quotidiana delle persone mediante precise pratiche sessuali. How to ass eiaculate rappresenta perfettamente questa concezione critica: in esso, una serie di personaggi (gli stessi membri del collettivo) in una sorta di talk-show vengono invitati a raccontare la propria esperienza di eiaculazione anale. Quest’ultima viene “pubblicizzata” dagli intervistati come pratica egualitaria, oltre che anti-omofoba per il fatto che l’ano, essendo luogo erogeno comune a tutti gli esseri umani, è in sé “democratico” e per il fatto che un buon rapporto con il proprio ano permetterebbe di contravvenire non solo al rifiuto eterosessuale di riconoscere il sesso anale come pratica “alla portata di tutti” ma anche di bollare l’omosessualità maschile come sessualità “necessariamente ed esclusivamente anale”. In Le fabuleux destin de Amélie putaine, che riprende com’è ovvio il cult-movie francese di Jean-Pierre Jeunet, l’eroina moderna Amélie del film originale, all’inseguimento di un principe azzurro a cavallo di un motorino, viene capovolta in una giovane donna che non “trova nel sesso con Nico, l’avveramento di tutti i suoi desideri”, ma che vestirà il ruolo attivo e penetrativo nella relazione sessuale con lui, e della favola (erotica) in generale. 
Questo tipo di decostruzione del codice pornografico è anche alla base delle produzioni che ormai da due anni animano Cum2Cut9 (letteralmente: “venire per editare”), la competizione di cortometraggi pornografici indipendenti che ha sede a Berlino: amateurs, neofiti, grafici e semplici amanti del porno e dell’ironia hanno sfidato, nella prima edizione del 2006 e nella successiva del 2007, i clichè della pornografia mainstream, confezionando corti di al massimo cinque minuti in soli tre giorni. Prodotti della collaborazione tra amici e amiche, colleghi e colleghe o perfetti sconosciuti, essi hanno dimostrato sia la capacità di far emergere network reali e/o virtuali già esistenti, sia di dar vita a nuove forme di relazione creativa, tutto sotto l’egida del copyleft, dei protocolli creative-commons e del free-access. 
Nel caso delle esperienze fin qui citate, il rapporto tra virtuale e reale è un rapporto di scambio e contaminazione continua di linguaggi e saperi – tratti da ambienti accademici così come da network queer informali – e un rapporto che viene riprodotto nel momento della fruizione della loro pornografia da parte del pubblico – che avviene attraverso la rete e in contesti specializzati come i festival di pornografia alternativa e underground che hanno luogo in tutta Europa). È l’ennesimo esempio del non avveramento di una relazione escludente tra le due sfere, ma, al contrario, della loro compenetrazione virtuosa e florida dal punto di vista sia della creazione individuale e collettiva di nuovi immaginari o dell’articolazione di quelli già esistenti sia della loro (spesso) libera circolazione e fruizione. In tal senso queste produzioni mettono a valore forme di ricerca estetica e di contenuto che si sviluppano, intrecciandosi, nelle due dimensioni, sfidando una lettura della pornografia in rete come mera fruizione di contenuti preconfezionati, ripetitivi e normativi.

 


 

:: note ::


1. 
In riferimento al realcore si veda il lavoro di ricerca di Sergio Messina pubblicato su www.radiogladio.it.
 

2. 
Per un’analisi delle ricadute sulla pornografia – sulla produzione, distribuzione, fruizione, accessibilità e costi – dell’innovazione tecnologica si veda Pietro Adamo, Il porno di massa, Raffaello Cortina Editore, 2004.
 

3.
www.postpornpolitics.com; www.networkcultures.org/clickme; www.tekfestival.it; networkcultures.org/netporn; 
girlswholikeporno.com; www.carniscelte.info; www.pornflakes.it; www.lajugueteria.com; http://panikqulture.free.fr/

 

4. 
Faccio riferimento all’intervento di Maxime Cervulle Postcolonial pornography: “beurs” boys in the hood and on camera presentato al PornFilmFestivalBerlin (2006) e di Liad Kantorowicz e Maya Ne'emani Representations of Social and Political Taboos in Pornography: The Middle East as a Case Study presentato alla seconda edizione del PornFilmFestivalBerlin (2007).
 

5. 
Per una breve analisi del caso Gola profonda si veda Piero Calò, Giuseppe Grosso Ciponte, Gola Profonda. La pornografia prima e dopo Linda Lovelace, Lindau, Torino 2002; Pietro Adamo, Robert J. Stoller, Inside Gola profonda, Feltrinelli, Milano 2005.
 

6. 
In riferimento al dibattito filosofico-politico su pornografia e sexwork si veda la raccolta di saggi a cura di Jessica Spector, Prostitution and Pornography. Philosophical Debate about the Sex Industry, Stanford University Press, Stanford (California) 2006.
 

7. 
Un esempio di rielaborazione recente delle posizioni anti-pornografia è rappresentato dall’opera della giovane Ariel Levy, 2005, Sporche femmine scioviniste, Castelvecchi, Roma 2006.
 

8. 
Per un’analisi della relazione tra pratica del networking e pornografia critica si veda Tatiana Bazzichelli, Networking. La rete come arte, Costa & Nolan, Milano 2006, pp. 291-305.
 

9. 
Per quanto riguarda la competizione si vedano www.cum2cut.net e www.pornfilmfestivalberlin.de

 


 

:: letture ::


Pietro Adamo, Il porno di massa, Raffaello Cortina Editore, 2004.

Pietro Adamo, Robert J. Stoller, Inside Gola profonda, Feltrinelli, Milano 2005.

Tatiana Bazzichelli, Networking. La rete come arte, Costa & Nolan, Milano 2006

Judith Butler (1990), Scambi di genere, Sansoni, Milano 2004

Piero Calò, Giuseppe Grosso Ciponte, Gola Profonda. La pornografia prima e dopo Linda Lovelace, Lindau, Torino 2002

Maxime Cervulle, French Homonormativity and the Commodification of the Arab Body, in Queer Futures, a cura di Kevin P. Murphy, Jason Ruiz, David Serlin, Duke University Press, Duke (North Carolina) 2008

Ariel Levy (2005), Sporche femmine scioviniste, Castelvecchi, Roma 2006

Ovidie (2002), Pornomanifesto, Baldini & Castoldi, Milano 2003

Beatriz Preciado (2000), Manifesto contrasessuale, Il Dito e la Luna, Milano 2002

Jessica Spector, Prostitution and pornography. Philosophical debate about the Sex Industry, Stanford University Press, Stanford (California) 2006

Michi Staderini, Pornografie. Movimento femminista e immaginario sessuale, Manifestolibri, Roma 1998

Nadine Strossen, Difesa della pornografia. Le nuove tesi radicali del femminismo Americano, Castelvecchi, Roma 1995

 


 

:: visioni ::


Louise Achille, Nacked Feminist, USA 2003

Arthur Cottam, Pornographic Apathetic, USA 2003

Arthur Cottam, Filthy Food, USA 2006

Joe Gallant, Ave.X, USA 2006

Girlswholikeporno, Love on the Beach, Spagna 2003

Girlswholikeporno, El striptease de mi abuela, Spagna 2006

Girlswholikeporno, Piernas lungas, Spagna 2006

Eva C. Heldmann, Five sex rooms und eine Küche, Germania 2007 

Brian Hill, Pornography the Musical, Gran Bretagna 2003

Emilie Jouvet, One Night Stand, Francia 2006

Emilie Jouvet, Red Fetish Bathroom, Francia 2006

Bruce LaBruce, Otto, Germania 2008

Bruce LaBruce, Raspberry Reich, Germania 2004

Bruce LaBruce, Give Piece of Ass a Chance, Canada 2006

Panik Qulture, How to Ass Eiaculate, Francia 2005

Panik Qulture, Le fabuleux monde de Amelie putaine, Francia 2006

Panik Qulture, PopPornParty, Francia 2006

Roy Raz, Too Hot in Tel Aviv, Israele 2006

Pierre-Paul Renders, Thomas est amoureux, Belgio-Francia 2000

Joseph W. Sarno, Gola Profonda, USA 1972

Annie Sprinkle & Scarlot Harlot, Annie Sprinkle's Herstory of Porn, USA 1999

Todd Verow, Hooks to the Left, USA 2006

John Waters, Pink Flamingos, USA 1972

John Waters, A Dirty Shame, USA 2004