L
a finestra illuminata, la notte
inoltrata, il bambino dormiente. Bambino che vuole dormire con la luce
accesa, aggravando e al tempo stesso addolcendo il senso di paura; e
sognerà. Ma i sogni non necessariamente possono
essere bellissimi in una notte estiva che sembra presaga anche
dell’infelicità di un fanciullo che ha tardato ad
addormentarsi e nel sonno avrà forse una sorta di terrori
legati alla sua vita del giorno. La paura diurna diventa in qualche
modo notturna, durante l’ immobilità del sonno,
della vita, del bambino nel suo essere. Unico mutamento il sogno,
collocandolo in un’altra dimensione, probabilmente non meno
angosciosa di quella della veglia. È in uno stato di
solitudine profonda mentre il passare veloce del treno –
dando anche un senso di ricadimento in quella solitudine infantile
durante lo scorrere metaforico del tempo fin troppo veloce –
sembra fare da contrappunto all’immobilità del
dormiente in un interno come piccolo spazio-tempo protettivo in cui
egli ancora per poco forse riesce a essere se stesso; al movimento sul
posto del mare – i punti fermi sembrano essere proprio il
bambino e il mare – sempre lo stesso o che esiste come
esisteva prima. Mentre a mutare è chiaramente il treno, o
meglio, non il treno in sé, ma il senso del cambiamento
è dato dal suo spostamento, infatti nel giro di breve tempo
sarà giunto o starà correndo altrove,
attraversando altri paesaggi.
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