La lotteria della vita tra Tolstoj e i linker people di Daniela Fabro | ||
Ma
uno
sguardo
meno cinico, sfiduciato e disfattista sul futuro richiederebbe
mediazioni sociali, scuola, istituzioni, famiglia e anche social
network, in grado di restituire capacità progettuali a breve
e lungo
termine. Al di fuori della logica che ci ha “trasformati con
i consumi
che sono cambiati”, chiedendoci pesanti contropartite. Tra la
spersonalizzazione indotta dalla realtà virtuale e quella di
pubblicità, marketing e merchandising creatori, secondo la
legge
economica di Jean-Baptiste Say, della domanda per l’offerta
delle
aziende, questa seconda è senz’altro la
più subdola. Quel tanto di “umano troppo umano” della psicologia dei personaggi di Tolstoj non è stato solo superato dalla (fanta)scienza della seconda metà del Novecento – con l’invenzione degli androidi, i robot forse capaci di “sognare pecore elettriche”, e di cyborg, gli uomini-macchina celebrati dalla saga di Matrix 4 e costruiti oggi negli Usa, come Iron Man, un soldato invulnerabile – ma dalla pretesa della società dei consumi e della comunicazione in tempo reale di renderci felici con un click. Quando invece dei media e delle merci l’utente è solo ostaggio, visto che, con buona pace di coloro che oggi parlano di “consumattori”, la parte in recita è decisa da chi del loro presunto protagonismo nei processi di scelta non sa che farsene, se non riempirsi le tasche. Ma forse, come afferma Alessandro Baricco nel suo ultimi libro, I Barbari5 , ci troviamo adesso sul crinale di una rivoluzione, di un mutamento, di una trasformazione epocale, per comprendere la quale avremmo bisogno di “unità di misura” diverse dall’anima borghese, che è stato quel terreno spirituale, lontano da Dio, e tutto interno all’uomo, inventato dai romantici dell’Ottocento come condizione necessaria (e sufficiente) a giustificare il potere di chi non era né nobile, né investito da un ordine superiore per esercitarlo. Questo è esattamente lo spirito di due secoli fa, quello dell’universo morale di Tolstoj, nel quale il dominio di una classe sull’altra si stemperava in grandi ideali e slanci verso il prossimo, in atti di filantropia e beneficenza, oggi si direbbe no profit, una forma di altruismo che si ritrova nei personaggi per l’appunto borghesi della sua epopea. Un’epopea minore, quella dei Racconti, un microcosmo di piccoli-grandi uomini e degli ambienti dove vivono, campagna, città o teatro militare, in cui si consumano però dilemmi esistenziali eterni. Per i quali, in base alla fede, c’è una risposta sola. Anche se la complessità delle situazioni in cui lo scrittore fa agire i suoi protagonisti è degna, in molti casi, della migliore sceneggiatura di un film, e l’affresco della società russa dell’Ottocento delineato nelle sue pagine, preciso fin nei minimi particolari. La cui lettura richiede però un’applicazione e una fatica impensabili per i linker people, capaci di svolgere più azioni contemporaneamente e velocemente, senza approfondirne nessuna. Anche se non è detto che i loro nuovi modi di costruire un senso siano poi così insensati. | ||
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