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Viaggio psichedelico all’alba dell’era neoterica
di Adolfo Fattori

psichedeliaQuando nel 1960 Carlos Castaneda, studente di antropologia della UCLA, partì per l’Arizona per cominciare le ricerche per la sua tesi di laurea in Antropologia culturale, forse non prevedeva ancora cosa avrebbe comportato conoscere Don Juan Matus, lo sciamano Yaqui che lo avrebbe preso come “novizio” e avviato alla via della “conoscenza”.
Lo sciamanesimo americano era sì conosciuto, ma l’opinione pubblica, dopo secoli di carneficine e devastazioni da parte dei bianchi di origine spagnola e anglosassone, dal confine nord degli Stati Uniti fino al Messico, lo conosceva più attraverso l’interpretazione che ne dava il cinema western che attraverso le divulgazioni scientifiche.
Era quindi un intento di studio, quello che muoveva l’aspirante antropologo di origini sudamericane, quando cominciò il suo “percorso” con Don Juan, a cavallo fra la ricerca scientifica e l’iniziazione sapienziale. Chissà cosa ascoltava in macchina, mentre viaggiava verso l’Arizona, ammesso che avesse l’autoradio (ancora mangiadischi e mangianastri erano di là da venire), e chissà se si nutriva di gelato e torta di mele, come il protagonista di On the Road1, Jack Kerouac, uno dei principali esponenti della Beat Generation.
Siamo in un’America che da poco aveva chiuso la Guerra di Corea, e stava per infilarsi in quella del Vietnam. Intanto, la presidenza di John Kennedy trafficava con gli esuli cubani e organizzava lo sbarco alla Baia dei porci.
A metà della gestazione di A scuola dallo stregone2, Kennedy verrà ucciso, e il suo omicidio decreterà definitivamente la “fine dell’innocenza” per l’America3.
Si esaurì così la spinta degli anni Cinquanta americani, percepiti da subito – e tuttora – come una favolosa “età dell’oro”, come scrive diffusamente Fredric Jameson in Postmodernismo4, citando il Philip K. Dick di Time Out of Joint5.
Un’epoca linda, dalla luce iperrealista e dalla musica leggera cinguettante, come nelle sequenze dello “sbarco” nel 1955 del protagonista di Ritorno al futuro.
Insomma, the times they were a-changin’…, come Bob Dylan avrebbe proclamato nel 1964, un anno prima della chiusura della ricerca dell’antropologo.
Praticamente, l’avvio del lavoro di Castaneda, documentato anche in altri due libri successivi, Una realtà separata e Viaggio a Ixtlan6, apre il periodo storico che fa da cerniera fra l’esaurirsi dell’euforia per la fine delle guerre – dopo la II Guerra mondiale, la Guerra di Corea – e la nascita delle culture alternative.
Pure, non mostra traccia di tutto ciò. Si svolge, insomma, in “una realtà separata”. Nulla di strano in questo: “… le cose cambiano, e non chiedono il permesso”, come Cormac McCarthy fa scrivere nel suo diario ad uno dei protagonisti di Non è un paese per vecchi7, ma i contemporanei raramente se ne accorgono…
Forse il suo libro, la sua ricerca, sono una delle tracce dei cambiamenti che si avvicinavano: nel costume, nella vita quotidiana, nella cultura.
È profondamente significativo quello che Jameson scrive a proposito di questo periodo geostorico, ponendosi una domanda cruciale dopo aver definito il romanzo di Dick come esempio di un “… compendio del genere <<era soltanto ieri>>”: se, cioè, quel periodo corrispose a come vedeva se stesso, e cioè come lo descrive Dick – indirettamente, attraverso la lente deformante della science fiction – oppure a come fu percepito subito dopo.
Lo studioso americano comincia ricordando di quegli anni

… l’infarto del presidente Eisenhower; la Main Street; Marilyn Monroe; un mondo fatto di vicini e di appartenenti all’Associazione Genitori-Insegnanti; le piccole catene di negozi al dettaglio (con i prodotti portati da fuori con i camion); i programmi televisivi preferiti; il blando corteggiamento della casalinga della porta accanto; i giochi a premi televisivi…8

Perché Jameson aggiunge subito dopo che

A dire il vero, in retrospettiva gli anni Cinquanta sono stati riassunti sul piano culturale come tante forme di protesta contro gli “stessi” anni Cinquanta… I primi poeti beat; l’”antieroe” per caso con connotazioni “esistenzialiste”; alcuni audaci stimoli di Hollywood, il rock and roll nascente…9

Questo quadro, più che esprimere una contraddizione, descrive una frizione, quindi un movimento, o i presupposti di un mutamento in potenza.
Di cui il rock and roll e il beat non sono che le premesse. La prima forma di espressione di quella dimensione generazionale nuova – i giovani – che il mercato aveva da poco inventato. Allo scenario descritto da Jameson mancano solo i blue jeans e le auto di James Dean in Gioventù bruciata10.
Ma la gioventù descritta da Nick Ray, e l’incomunicabilità fra generazioni, è l’altra premessa della storia che verrà.
Mentre Castaneda – forse inconsapevolmente – interpreta un altro degli elementi che costituiranno la forma di espressione dei giovani che sta per emergere: il rapporto con le culture e le opzioni alternative all’establishment – che presto dalla musica e dall’abbigliamento si estenderanno all’alimentazione, alla medicina, ai paradigmi con cui in Occidente ci si descrive e ci si spiega se stessi, il sociale, la natura, l’universo.
Il mondo – almeno quello sviluppato – si avviava ad una definitiva secolarizzazione, ed il sacro retrocedeva sempre di più, e Castaneda andava invece incontro ad una delle enclavi culturali della magia, del soprannaturale, dell’irrazionale ancora r-esistenti; fra l’altro, “nel cortile di casa”, altro modo di dire caro agli americani di quegli anni, seppur per tutti altri motivi11
Solo due anni prima, nel 1958, Claude Levi-Strauss aveva pubblicato Antropologia strutturale12, una vera summa – e un manifesto – dello strutturalismo, che influenzerà per molto tempo e in vaste aree il modo stesso di concepire la ricerca sociale. Levi-Strauss, facendo riferimento a Saussure, prima di tutto, proponeva di non limitarsi a raccogliere empiricamente dati, ma di ricercare i modelli – le strutture – che danno senso ai singoli elementi di una cultura13.
In Castaneda questo approccio appare in controluce: il ricercatore si ripromette di partire dalla raccolta di dati, aspettandosi una disponibilità da parte dello stregone a rispondere referenzialmente alle sue domande, disponibilità che invece non si verifica.
Comunque, l’antropologo dedica l’intera “Parte seconda” del suo libro ad una analisi strutturale del sistema di Don Juan, e riesce a organizzare le informazioni ricevute in due appendici al suo libro: la prima in cui cerca di dar conto del “consenso speciale” richiesto dallo sciamano al suo novizio, la seconda in cui propone uno schema dell’’analisi strutturale delle basi del sistema di conoscenze di  Don Juan14.
In realtà, i libri di Castaneda – almeno i primi tre, lo statuto di quelli successivi è ritenuto piuttosto fungibile, a cavallo fra attenzione documentaria e suggestione romanzesca – mostrano appieno l’incontro e il confronto (forse lo scontro?) fra due complesse tecnologie: gli apparati dell’antropologia culturale, come declinazione delle scienze sociali, i dispositivi del sapere sciamanico, come pilastro della cultura della tradizione arcaica.
E se da una parte i protocolli dell’antropologia presumevano di far riferimento al metodo scientifico, così come definito dalla riflessione occidentale, e quindi di basarsi sull’osservazione “oggettiva” e la raccolta di dati15, da poter replicare per sottoporli alla verifica empirica, i dispositivi messi in opera da Don Juan in osservanza della tradizione sciamanica davano per scontata l’esattezza dei procedimenti dispiegati per ottenere i risultati desiderati, nei termini di una fissità e rigidità degli stessi perché così erano stati trasmessi dagli sciamani precedenti. 
Né faceva parte dell’orizzonte culturale yaqui – come delle altre culture arcaiche – il provare percorsi alternativi. Pena l’esporsi al rischio di effetti disastrosi, mortali.
In Don Juan la tradizione è tutto. E la tradizione si basa sulla ripetizione, sulla replica di rituali fissati in un tempo anteriore, “mitico”, diremmo noi, e tramandati oralmente – e praticamente – da uno stregone all’altro.
Il confronto che si sviluppa fra Don Juan e Carlos parte quindi da uno scontro fra due paradigmi conoscitivi per molti versi incompatibili, o meglio, incommensurabili fra loro. Sistemi simbolici costruiti – e, naturalmente, che definiscono – realtà differenti fra loro, forse in parte coesistenti, sicuramente non compatibili. Che hanno a che fare con le strutture conoscitive di base, con il sistema di significati con cui costruiamo socialmente la realtà.
Tanto che ogni volta che Carlos cerca di stringere, di arrivare a quello che per lui è il punto focale, Don Juan si impunta, e risponde bruscamente, o con sarcasmo. La verità è quella, e non si scappa. La relazione fra i due non comincia con facilità: il brujo è diffidente, evasivo – o forse è solo poco fiducioso sulle possibilità del giovane gringo di capire?
Castaneda si pone come intervistatore, chiede informazioni, che probabilmente, nei termini in cui formula le sue domande, Don Juan non può dargli. Le cose vanno a rilento…
Alla fine, Don Juan rompe gli indugi: propone al giovane antropologo di diventare il suo novizio.
E Castaneda viene iniziato progressivamente ai tre mediatori fra gli “uomini di conoscenza” e la realtà “non ordinaria”: tre vegetali: Mescalito (il peyote), l’erba del diavolo (la datura inoxia), Humito (il “piccolo fumo”, lo psylocibe).
L’apprendista sperimenterà gli stati percettivi indotti dall’assunzione delle piante, ma non riuscirà mai a smuovere Don Juan dalle sue convinzioni e dalle sue certezze. Sarà piuttosto lui stesso, man mano che procede il suo lavoro, ad entrare nel mondo dello stregone yaqui, almeno a leggere i suoi ultimi libri…

The Times They Are A-Changin’
La storia di Castaneda ha un indubbio fascino, basato sullo stile con cui scrive, sulle esperienze che racconta.
E diventa il traguardo di una tradizione dell’Occidente strettamente connessa allo sviluppo della Modernità16 e ad alcune delle sue personalità più eccentriche, da Thomas De Quincey17 a Charles Baudelaire18, a Théophile Gautier19, (che spaventato ma ispirato dalla droga scrive addirittura un affascinante racconto20) a Walter Benjamin21, a Aldous Huxley22, fino, naturalmente, a Timothy Leary e Ralph Metzner, e alle loro riflessioni sul tema, riportate nel 1963 in L’esperienza psichedelica, in cui, partendo dalla lettura del Libro tibetano dei morti23, argomentavano come questa potesse essere praticata attraverso lo yoga, la privazione sensoriale, l’assunzione di sostanze come la psylocibina o la mescalina (nel linguaggio di Don Juan Humito e Mescalito24).
E se nel caso di De Quincey – autore fra l’altro del saggio L’assassinio come una delle belle arti, la cui volontà di stupire è palese – e Baudelaire, che sperimentano le seduzioni delle droghe nell’Ottocento, in una atmosfera decadente e dandy, diverso è il caso degli ultimi tre, che inseriscono le loro esperienze in una logica di ricerca e registrazione delle alterazioni della percezione attraverso le sostanze assunte.
Lungo questo filo due elementi sono notevoli: uno è la saldatura che avviene, in Leary, fra alcuni cardini delle culture tradizionali orientali – lo yoga, il libro dei morti – e di quella amerindia – peyote e psylocibe; l’altro è il passaggio di grado, in termini di ricerca, dalla registrazione degli effetti delle sostanze allucinogene o psicotrope su di sé, come fanno Benjamin e gli altri intellettuali novecenteschi, alla riflessione su come queste sostanze – e gli stati percettivi che producono – siano elementi cruciali di una cultura, quella dei nativi americani.
Questi due fattori, mettendo l’accento il primo sulle affinità fra le tradizioni di due culture lontane fisicamente fra loro, ma accomunate dalla dimensione sapienziale, e il secondo sulla loro natura culturale, collettiva, esplicitano uno dei fulcri di quella che verrà definita poi come la controcultura di quegli anni – di cui A scuola dallo stregone, alla sua uscita nel 1968, diventerà magari non uno dei manifesti, ma uno degli indici, dei simboli.
Se infatti, invece di concentrarci sugli aspetti connessi in particolare all’uso delle sostanze che per lo sciamano yaqui fanno da mediatori fra realtà ordinaria e realtà “speciale”, poniamo l’attenzione sulla dimensione più ampia della tradizione di cui Don Juan è custode, allora dobbiamo riconoscere che probabilmente una consistente parte del successo del libro è proprio dovuta alla promozione di una cultura “altra”, alternativa a quella dominante.
Che va spontaneamente incontro alle istanze di “diversità”, di opposizione, di autonomia e ai desideri di identificazione degli strati giovanili di quegli anni, che, in continuità con il periodo “beat” delle minigonne e delle camicie a fiori trovano altri – ben più radicali motivi – di aggregazione. La protesta contro la guerra nel Vietnam, prima di tutto.

… Sembra un’impronta di passero
Una delle difficoltà più insormontabili in cui si imbatte chi voglia raccontare di un viaggio, o di un periodo della propria vita è nell’impossibilità – riportati gli eventi, i fatti – di trasmettere emozioni, sensazioni, stati d’animo: lo “spirito del tempo”, o comunque dei fatti, così come sono stati vissuti interiormente. E questo rende così difficile oggi raccontare degli anni attorno al 1968 – come forse per la generazione precedente raccontare della Seconda Guerra Mondiale. Ci riescono gli artisti, probabilmente: romanzieri, musicisti, registi. E  forse una delle rappresentazioni più belle degli anni che noi ormai chiamiamo “il Sessantotto” ce l’ha regalata uno scrittore che col realismo c’entra poco: Stephen King con Cuori in Atlantide25.
Il romanzo è diviso in cinque parti, intrecciate fra loro fra prologhi e seguiti, ma tutte convergenti verso quella che dà il titolo al libro, e che si svolge nel 1966 in un campus universitario. Come scrive King,

Spesso credo che sia degli anni Sessanta in sé che vorrei raccontare, per quanto mi sia sempre sembrato impossibile. Ma prima di parlarvi di tutto questo, sarà meglio che vi dica di Cuori26.

Il racconto, in prima persona, narra di un gruppo di studenti universitari non troppo studiosi che prima vengono risucchiati dalla passione per un gioco di carte, “Cuori”, appunto, per ritrovarsi piano piano a riflettere sullo stato delle cose, sulla guerra in Vietnam27, sulla eticità delle scelte, sulla solidarietà. Un breve romanzo di formazione, insomma, calato nell’atmosfera di quegli anni e delle trasformazioni che produsse nel gusto, nei principi, nel rapporto con le istituzioni, fino alla scoperta di quello che sarebbe diventato il simbolo universale della pace. Che sembra “un’impronta di passero”, che i reazionari del campus sostenevano fosse stato

Inventato dal Partito Comunista poco dopo la fine della seconda guerra mondiale. Significa “vittoria tramite infiltrazione” ed è comunemente noto tra i sovversivi come la Croce Spezzata28.

Ma che in realtà, come spiega uno dei più pacati fra gli studenti,

Quel simbolo si basa sulla segnaletica navale della Marina britannica e fa riferimento al disarmo nucleare. Fu inventato da un famoso filosofo inglese (Bertrand Russell, N.d.A.). Non escludo che sia stato fatto cavaliere… Santo cielo! È questo che ti insegnano all’addestramento militare? Coglionate come questa29?

Ormai la guerra è dichiarata: la scoperta dell’ipocrisia, della mala fede, dell’ottusità porterà almeno alcuni degli studenti dalla parte del movement, presumibilmente in quel Youth International Party, il “partito internazionale dei giovani”, da cui nascerà il termine yippie o hippie. Con esiti simili a quelli messi in scena in un film come Fragole e sangue, esempio precoce di come l’establishment economico e finanziario utilizzi anche le idee e le posizioni di chi vi si oppone per prosperare30.
Il tutto pervaso di un senso profondo di ineluttabilità e magia – da cui evidentemente King, anche quando ci prova, non riesce a tenersi lontano – confermato dai più o meno oscuri intrecci con le vicende degli altri racconti, di cui almeno il primo, Uomini bassi in soprabito giallo, intrecciato con gli universi inquietanti e maligni della cosmogonia dello scrittore del Maine.
L’YIP non avrà poi vita lunga. Ma sarà stato il testimone di una serie di istanze oppositive e ribellistiche che – partite dalla nuova condizione giovanile – troveranno sul lungo periodo uno sbocco sincretico nella promozione e nella pratica di uno stile di vita (o di segmenti di uno stile di vita) che percorrerà strade “alternative” a quelle istituzionali31.
E questo nel campo dell’alimentazione, dell’affettività, della medicina, dell’abbigliamento, del confine fra il lecito e l’illecito: “pace amore e musica”, insomma, ma anche “sesso, droga e rock ‘n roll”.
E in questo coacervo di pratiche, una funzione determinante verrà svolta dalla dimensione dell’interiorità e della sua presunta cura.
A partire dalle sostanze psichedeliche e psicotrope, dalle religioni e dalle discipline orientali, dall’esoterismo di matrice mediterranea.
Si ricerca una dimensione “alternativa” a tutto ciò che rappresenta ed è rappresentato dall’ordine costituito. 
Il mercato, quindi, le istituzioni, e – alla fine – lo stesso razionalismo occidentale.

California Dreamin’
Si ripropone in grande stile l’opposizione messa in campo fra il paradigma razionalistico dell’antropologo Castaneda e quello magico del brujo Don Juan, in una dimensione che definisce se stessa in quanto opposta a quella dell’establishment. No alla medicina allopatica, perché è controllata dalle multinazionali; no all’industria perché inquina e aliena; no all’autocontrollo, perché incatena le emozioni; no alla scienza occidentale, perché non riconosce le istanze del desiderio; no all’abbigliamento formale perché non è spontaneo… No al mercato, insomma, in tutte le sue articolazioni.
Ma un sistema che funziona per negazione è tributario di ciò che nega. O, detto in altri termini, un universo simbolico non si costruisce artificialmente32Però, il diffondersi e il consolidarsi di stili di vita – e quindi stili di azione e di consumo – alternativi a quelli dominanti sono sicuramente indizio di qualcosa: di un bisogno, di una necessità di autodefinizione e affermazione. Di istanze che, se prendono corpo, identificano una ricerca.
Droghe. Discipline del corpo e della mente. Dispositivi esoterici, sapienziali. Gastronomie esotiche. Come l’LSD e l’hascisch. Come lo yoga, l’agopuntura, ma anche la cristallologia, la numerologia – l’astrologia. Come la macrobiotica e la soia. 
Il rifiuto totale di tutto ciò che è stato prodotto dalla scienza, dalla tecnologia – dalla cultura, insomma – dell’Occidente. Da quel razionalismo che è una delle gambe della modernizzazione e della secolarizzazione. Detto in altri termini, del disincanto del mondo di cui scrive Max Weber, ragionando sull’affermarsi dello spirito scientifico33.
Ma se pensiamo alla provenienza universitaria di Castaneda – Los Angeles – e alla culla della “controcultura” americana – San Francisco, ci accorgiamo che forse il processo non è così unidimensionale e meccanico come forse – sbagliando – le riflessioni di Weber potrebbero far pensare. 
In realtà, la ricerca e l’interesse per il settore più avanzato della ricerca scientifico-tecnologica è permeato di immaginazione trascendente34 - almeno da quando, negli anni Sessanta del Novecento, Thimoty Leary descrisse l’esperienza dei “viaggi” con l’LSD in termini “elettronici”, e negli anni Novanta parlava della realtà virtuale come una continuazione di quelle esperienze con altri mezzi35.
Ed Erik Davis sostiene che la Rete, nella sua immaterialità, rimanda ai luoghi del magico:

È chiaro che il mondo umano sta radicalmente ridefinendo la distanza tra la materia e l’incorporeo... Nello stesso tempo, la nostra supposta civiltà “materialistica” si sta dematerializzando sotto i nostri occhi: i soldi diventano virtuali, il gioco in rete esplode, i luoghi fisici si dissolvono in dati, il CD lascia il  campo all’ MP3 e tutto va a finire nello schermo. Non importa che noi siamo ancora dipendenti dagli elettroni e dalle griglie di forza - l’esperienza della cultura, la coscienza e la comunicazione diventano sempre più  malleabili e incorporee. Io penso che questo voglia dire che i vecchi modi con cui si intendevano le relazioni  tra mente e corpo forse hanno qualcosa da dirci… Stiamo entrando in nuovi mondi della mente. E chi può dire che i trucchi della mente della Cabala o dello Zen Jedi non siano utili metafore e mappe in questo nuovo mondo36.

Dandone una spiegazione più che significativa:

C’è un’idea che aleggia, ovvero che la secolarizzazione sia un aspetto inevitabile della modernizzazione (…)
Questo semplicemente non è vero in America, e non soltanto nei cosi detti “stati rossi”, dove vivono i Cristiani conservatori. Il lato inventivo, progressivo e alla ricerca della novità della cultura americana è sempre stato legato a forze religiose e spirituali, sublimate o meno. Io vivo in California… Il territorio divenne stato a metà del XIX secolo, era insolitamente diverso e multiculturale, fu sempre caratterizzato dall’innovazione tecnologica e fu caratterizzato da una industrializzazione più rapida rispetto alla maggior parte degli Stati Uniti. Quindi ci si sarebbe aspettati una super secolarizzazione… oltre ad aver fatto nascere alcuni forti movimenti cristiani come il Pentecostalismo, la California ha svolto un ruolo importantissimo nello sviluppo della New Age, del Misticismo contemporaneo, della traslazione delle tradizioni orientali in occidente, della ricerca del sacro attraverso il corpo. In California come ad Hollywood, il disincanto è andato sottobraccio con il ri-incantamento
37.

Possiamo sostenere, quindi, che se la California della seconda metà degli anni Sessanta del XX secolo fu una delle fucine da cui nacquero i movimenti sessantottini, la “contestazione globale”, come recitavano le voci dei cinegiornali, così fu anche la culla da cui partì la ri-scoperta e il rilancio di quell’insieme di pratiche collegate in misura maggiore o minore, in maniera diretta o indiretta alla de-secolarizzazione.
Le tracce – e gli approdi – delle istanze di reincanto del mondo le ritroviamo oggi nelle tecnologie di punta della comunicazione, negli esiti estremi dell’informatica applicata al loisir, secondo la logica del mercato: i videogiochi.

… parallelamente all’emergere e al diffondersi di una serie di nuove tecnologie, si è assistito infatti a una sorta di processo di de-individualizzazione, di ri-coinvolgimento, di reincanto del mondo…
Il mondo in cui (l’uomo postmoderno, N.d.A.) si immerge è sempre più quello delle realtà virtuali da lui stesso create, un mondo che, allontanandosi a rapidi passi dalla coinvolgente natura dei suoi antenati premoderni, è però tornato ad essere – stavolta “grazie” alla tecnologia – un mondo reincantato, un mondo magico
38.

Le riflessioni di Gianfranco Pecchinenda chiudono un cerchio: una curva che parte con le affermazioni di Leary sulla analogia fra le sostanze psichedeliche e il virtuale; che continua con la ricerca di una “nuova” spiritualità da parte degli epigoni del movement; che si conclude con le considerazioni di Davis sui movimenti New Age. 
Con un elemento in più: l’intervento determinante del marketing e delle logiche di mercato, come già analizzato da Edgar Morin negli anni Sessanta39.
E che trovano un’ulteriore sponda nello scrittore a cui fa riferimento Pecchinenda come il primo ad aver intuito le prospettive che si preparavano per le derive dell’identità contemporanea e della sua capacità di “leggere” la propria collocazione rispetto al “reale”. Quel Philip Dick (lo stesso citato da Jameson) autore, nel 1968, di Il cacciatore di androidi40, da cui sarà tratto il film Blade Runner41
Che però questa esigenza profonda di reincanto fosse presente in larghi strati, anche estranei al movimento, ma magari non più apparentabili con le scelte delle religioni istituzionali, si può intuire dall’interesse, sorto sempre negli stessi anni, per quell’insieme di ipotesi pseudo-scientifiche che andarono sotto il nome di “archeologia misteriosa” o “fanta-archeologia”, di cui fu alfiere in Italia Peter Kolosimo (in realtà Pier Domenico Colosimo), che predicavano di una origine non terrestre dell’Umanità, di continenti scomparsi (fra cui Atlantide – quella mitica, non quella metaforica del sud-est asiatico), di antichissimi sbarchi alieni. 
Estrema – forse – espressione della psicosi dei dischi volanti, condusse Kolosimo a pubblicare il suo Non è terrestre42,  sempre nel 1968.
Come, sempre nel 1968, fu pubblicato uno dei romanzi che più hanno influenzato l’immaginario di quegli anni, Cent’anni di solitudine43, per il quale fu coniato il termine “realismo magico”. 
Insieme a fenomeni editoriali meno appariscenti, ma altrettanto solidi – come tutta la pubblicistica sulla metempsicosi, la “vita oltre la vita”, i vari mesmerismi di ritorno, e sporadiche apparizioni di “scoperte” scientifiche effimere quanto un quotidiano, come la meteorica “memoria dell’acqua44” – queste emergenze dimostrano la ricerca di nuove dimensioni percettive e cognitive, che mettono in gioco il rapporto io-mondo.
Di questa ricerca tutto ciò che ruota, con un grado maggiore o minore di coerenza e affiliazione, intorno alla galassia New Age rappresenta un settore significativo. E ogni tanto esprime “testi” più che significativi. Nel 1993 esce The Celestine Prophecy, che diventa rapidamente uno dei manifesti della cultura New Age45.

Poiché nella terra degli orbi il monocolo è re, le Scritture di queste sette possono ben essere romanzi di quart'ordine… questo è appunto il caso de La profezia di Celestino, grande successo editoriale di James Redfield…
Il `libro´ si articola (senza peraltro mai passare a sostantivarsi o verbalizzarsi) in dieci illuminazioni che il protagonista, un ridicolo incrocio di Candide e Indiana Jones, subisce ad un incalzante ritmo giornaliero. A dire il vero non capiamo bene per qual motivo si parli di illuminazioni, visto che esse non sono altro che mal digerite rimasticature: il mistero delle coincidenze, la continuità della storia, l'equivalenza fra `materia´ ed energia, il coinvolgimento del potere, il distacco del misticismo, il condizionamento dell'infanzia, l'interpretazione dei sogni, l'attaccamento degli affetti, e chi più ne ha più ne metta. 
Il gioiello della corona (di spine) ci sembra comunque essere la Nona Illuminazione, secondo la quale quando la consapevolezza globale permette di raggiungere un certo livello di `vibrazioni´ energetiche, si diventa invisibili a coloro che `vibrano´ ad un livello inferiore: l'autore ritiene che il fenomeno vibratorio spieghi sia l'individuale ascensione di Cristo al cielo che la collettiva `scomparsa´ dei Maya, secondo lui misteriosamente svaniti dal Perù nel 600 avanti Cristo, invece che fioriti in Messico nel primo millennio dopo Cristo e mai scomparsi (come egli stesso avrebbe potuto constatare concedendosi una meritata vacanza sulle spiagge dello Yucatan, dove avrebbe potuto incontrarne un paio di milioni, ovviamente del tipo a bassa vibrazione)
46.

La sintesi che ne fa Odifreddi è sufficiente a mostrare quanto questo testo – come tanti dello stesso genere – sia il risultato di un tentativo di sintesi fra varie tradizioni, tutte recuperate al servizio della definizione di un nuovo stile di vita, ma che però non sempre rifulgono di precisione e coerenza. Infatti, continua lo studioso: 

È un (pessimo) segno dei tempi che un'opera di tal fatta possa aver venduto più di un milione di copie nell'originale, e centinaia di migliaia nella traduzione italiana, la cui superba qualità è fra l'altro testimoniata già nel titolo stesso: l'aggettivo inglese celestine (`celestiale´) vi diventa infatti un nome proprio (`Celestino´), che rimarrà per tutto il libro in inesausta ma inesaudita ricerca di personaggio47.

E questo ci fa venire il dubbio che la sciatteria del traduttore – e dell’editore che lo ha assunto – insieme alla faciloneria dell’autore, mirino semplicemente alla circonvenzione di un pubblico di bocca molto buona, alla ricerca di semplici conferme delle sue speranze di palingenesi. Come succedeva negli anni Cinquanta per almeno una parte dei cacciatori di dischi volanti e periodicamente per i testimoni di apparizioni divine.

Soylent Green
La meta finale di tutta questa dinamica sembra essere la ricerca di una mitica dimensione originaria, naturale, liberata da tutte le sovrastrutture e incrostazioni prodotte dalla modernizzazione. 
Al servizio di questa mission si può arruolare di tutto, basta che si opponga al moderno, al razionale, al secolarizzato, in una mescola che confonde tradizioni, culture, epoche, realizzando un unico pastone, un’unica sostanza indifferenziata, un codice universale, dando involontariamente – e forse contro voglia – ragione a Jean Baudrillard quando ragionava sulla simulazione e sul distacco fra significanti e significati48.
Un po’ come avviene, al contrario, con la soia, vera e propria sostanza base, una sorta di plastica biologica passibile di essere tradotta in tutti i possibili alimenti. Una manna che ricorda quella di cui si nutrono i personaggi di Matrix49, che giustamente si chiedono di cosa si tratta e che rapporto c’è fra questa, il cibo che simula e il sapore che “credono” di sentire… 
Quella stessa che in un altro film di fantascienza, 2022 I sopravvissuti50, viene fatto credere alle masse di un futuro affamato serva per nutrirle. Ma la verità, si scoprirà, è ben più inquietante…
Comunque, intorno alla naturalità, a vari livelli di coerenza, i modelli di comportamento – e di consumo – che guardano ad una dimensione più “ecologica” del proprio “essere-nel-mondo” si sono conquistati, scavando in profondità nell’immaginario e nelle rappresentazioni sociali, una posizione stabile nel panorama della vita quotidiana.
Quello che sembra essere cercato è il ritorno ad una età mitica, nelle braccia della Natura.
Quella che – in forma estrema – pensarono di trovare gli adepti della Heaven’s Gate nel marzo 1997, quando si suicidarono in massa per raggiungere un livello di esistenza più elevato51
Anche allora si parlò di dimensione palingenetica e di passaggio attraverso l’Apocalisse.Un ritorno in grembo a Madre Natura di cui si è occupata di recente Louise Kaplan, seppur da un punto di vista più specifico e “analitico”.
La Kaplan, analizzando il film Thelma e Louise52, nota come 

… le protagoniste fuggono dal trauma della violenza sessuale abbandonando la città corrotta per cercare la salvezza in una magica fusione con la Natura… Attenzione, spettatori, guardatevi sempre dal tema del ricongiungimento con Madre Natura: in Thelma e Louise… si tratta di una tipica strategia feticista diretta a diluire gli effetti traumatici delle violenze mostrate nel film53.

Nel suo saggio, la psicanalista americana sostiene che la postmodernità è veicolo di una nuova insidia, quella di un feticismo che, dal suo tradizionale ambito connesso alla sfera sessuale, si sta allargando a tutti i campi della vita quotidiana, interiore e sociale. Una risposta, secondo la Kaplan, al vuoto di significato che condiziona la percezione del sé e del futuro. Merci e comportamenti estremi sono i nuovi feticci che dovrebbero compensare questo senso di vuoto. Seppur in altri termini, siamo in sintonia con le riflessioni di molti sociologi e filosofi contemporanei.
Tornando al film, la studiosa infatti afferma che 

… si nota una discordanza fra la violenza della prima parte e l’intento consolatorio del viaggio mistico di ricongiungimento con la Natura della seconda. Questa discordanza è un segno della strategia feticista… È tipico della strategia feticista mascherare il dolore e la disperazione con sentimenti di grandiosità e di euforia54.

In pratica, se ipotizziamo con la Kaplan che uno – se non l’unico – dispositivo di compensazione del vuoto di identità connesso all’affermarsi della postmodernità è costituito da quella che definisce “strategia feticista”, se questa strategia passa per i nuovi stili di consumo e di intervento sul corpo – e sull’anima! – dei consumatori, se di questa strategia fa parte integrante il mito del ritorno ad una Natura primigenia e accogliente, allora anche l’approdo delle “controculture” diventa lo stesso: una declinazione particolare della strategia del feticismo, con in primo piano l’illusione dell’abbraccio con Madre Natura e lo scivolare nella trappola di sistemi di consumo in cui solo il brand è differente ma la coazione è uguale.
La versione postmoderna degli anni Cinquanta sognati dagli americani.
Forse preferiamo la soluzione situazionista trovata sempre nel 1968 da James G. Ballard che, in contemporanea con la prima candidatura di Ronald Reagan alla presidenza degli Stati Uniti, pubblicò il racconto Why I Want to Fuck Ronald Reagan55, facendo le prove generali dei suoi racconti più incisivi.
Benvenuti nel deserto del neoterico!


 

:: letture ::

Berger, P. L., Luckmann, T., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969.  

Caramiello, L., La droga della modernità, UTET, Torino, 2003.

Castaneda, C., A scuola dallo stregone, Astrolabio, Roma, 1968.

Davis, E., Techgnosis, Ipermedium, Napoli, 2001.

Jameson, F., Postmodernismo, Fazi, Milano, 2007.

Kaplan, L., Falsi idoli Le strategie del feticismo, Erickson, trento, 2008.

King, S., Cuori in Atlantide, Sperling & Kupfer, Milano, 2000.

Levi-Strauss, C., Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano, 1966.

Pecchinenda, G., Videogiochi e cultura della simulazione La nascita dell’homo game, Laterza, Roma-Bari, 2003.


 

:: note ::

1. J. Kerouac, Sulla strada, Mondadori, Milano, 2007 (1957).

2. C. Castaneda, A scuola dallo stregone, Astrolabio, Roma, 1968. Ripubblicato col titolo Gli insegnamenti di Don Juan, Rizzoli, Milano, 1999.

3. Questa vicenda diventerà uno dei pilastri della storia dietrologica del mondo: le ipotesi si sprecheranno, e si sprecano ancora. Forse quella più bella è quella raccontata in forma di romanzo da James Ellroy in Sei pezzi da mille, Mondadori, Milano, 2001.

4. F. Jameson, Postmodernismo, Fazi, Milano, 2007.

5. P. K. Dick, Tempo fuori di sesto, Fanucci, Roma, 2003

6. C. Castaneda, Una realtà separata, Astrolabio, Roma, 1972 (1971) e Viaggio a Ixtlan, Astrolabio, Roma, 1973 (1972). 

7. C. McCarthy, Non è un paese per vecchi, Einaudi, Torino, 

8. F. Jameson, ibidem, pag. 282.

9. Ibidem, pagg. 282-283.

10. Nicholas Ray, Gioventù bruciata, USA, 1955.

11. La crisi dei missili a Cuba, cui fa riferimento la frase in termini di pericolo di una invasione comunista, di cui Cuba veniva percepita come una possibile testa di ponte, cominciò il 15 ottobre 1962 e finì il 28 ottobre. Il mondo si percepì davvero sull’orlo di una guerra atomica.

12. C. Levi-Strauss, Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano, 1966.

13. “Il principio fondamentale è che il concetto di struttura sociale non si riferisca alla realtà empirica, ma ai modelli costruiti in base ad essa. Risulta quindi chiara la differenza fra due concetti tanto vicini da essere stati spesso confusi, quello cioè di struttura sociale e di relazioni sociali. Le relazioni sociali sono la materia prima impiegata per la costruzione dei modelli che rendono manifesta la struttura sociale. In nessun caso quindi questa può essere identificata con l’insieme delle relazioni sociali, osservabili in una data società.” C. Levi-Strauss, ibidem, pag. 311. 

14. C. Castaneda, A scuola dallo stregone, cit., pagg. 157 e segg. 

15. Nell’appendice al suo primo libro, Castaneda riporta lo schema che ha potuto ricavare dalla riflessione su quello che Don Juan gli aveva spiegato.

16. Cfr. Luigi Caramiello, La droga della modernità, UTET, Torino, 2003.

17. T. De Quincey, Confessioni di un mangiatore d’oppio, Rizzoli, Milano, 2000.

18. C. Baudelaire, I paradisi artificiali, Dall’Oglio, Milano, 1974.

19. T. Gautier, Il club dei mangiatori di hascisc, Serra e Riva, Milano, 1979.

20. T. Gautier, “L’amante morta”, in ibidem.

21. W. Benjamin, Sull’hascisch, Einaudi, Torino, 1975.

22. A. Huxley, Le porte della percezione: Paradiso e Inferno, Mondadori, Milano, 2005.

23. Il libro tibetano dei morti, UTET, Torino, 2004.

24. T. Leary, R. Metzner, L’esperienza psichedelica, Sugar, Milano, 1969.

25. S. King, Cuori in Atlantide, Sperling & Kupfer, Milano, 2000. Dal romanzo è stato tratto un film (Scott Hicks, Cuori in Atliantide, USA, 2001), la cui trama esclude proprio l’episodio da cui prende il titolo. 

26. S. King, ibidem, pag. 283.

27. Atlantide, nel gergo di quegli anni è il Vietnam. 

28. Ibidem, pag. 429.

29. Ibidem, pag. 430.

30. Stuart Hagman, Fragole e sangue, USA, 1970. Il film, prodotto dalla MGM, è il racconto della crescita di un gruppo di studenti da giovani integrati ed ingenui in “militanti” pacifisti. All’esordio edulcorato e morbido fanno nel finale da contrappunto le violentissime – e più che realistiche - scene dell’assalto della Guardia Nazionale all’università e del pestaggio degli studenti. 

31. A differenza che negli USA, in Europa, e in particolare in Italia, i movimenti di opposizione assumeranno in gran parte una natura diversa, più direttamente politica, legata alla contemporaneità con le lotte operaie e ad una tradizione culturale differente. Insomma, il “Sessantotto” è cominciato in America, un paio di anni prima che da noi. Ciò non toglie che in seguito le istanze “alternative” sedimentatesi col movement non trovino ampio spazio anche da noi.

32. Sulla nozione di universo simbolico cfr. Peter L. Berger Thomas Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969.  

33. Max Weber, La scienza come professione, Armando editore, Roma, 1997, pag. 51.

34. Cfr. Erik Davis, Techgnosis, Ipermedium, Napoli, 2001.

35. Cfr. Piergiorgio Odifreddi, Cybercreduloni, in “La Rivista dei Libri”, Milano, maggio 1994, pag. 39

36. Adolfo Fattori (a cura di), A colloquio con lo sciamano Erik Davis, in “Quaderni d’Altri Tempi” n. 7, inverno 2007,

37. Ibidem.

38. Gianfranco Pecchinenda, Videogiochi e cultura della simulazione La nascita dell’’homo game’, Laterza, Roma-Bari, 2003, pag. 146. 

39. Ibidem, pagg. 118-120.

40. P. K. Dick, Il cacciatore di androidi, Nord, Milano, 1986.

41. Ridley Scott, Blade Runner, USA, 1982.

42. P. Kolosimo, Non è terrestre, Sugar, Milano, 1968.

43. Gabriel Garcia Marquez, Cent’anni di solitudine, Feltrinelli, Milano, 1968.

44. Cfr.  www.sapere.it
www.disinformazione.it/memoriacqua2.htm
www.ecplanet.com/canale/scienza-1 .   

45. James Redfield, La profezia di Celestino, Corbaccio, Milano, 1994.

46. Piergiorgio Odifreddi, Antropitechi e teopitechi, “La Rivista dei Libri”, Milano, marzo 1996.

47. Ibidem.

48. J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano, 1976.

49. Andy Wachowski Larry Wachowski, Matrix, USA/Australia, 1999.

50. Richard Fleisher, 2022 I sopravvissuti, USA, 1973.

51. Cfr.  alessiaguidi.provocation.net/altre/heavensgate.htm

52. Ridley Scott, Thelma e Louise, USA, 1991.

53. L. Kaplan, Falsi Idoli Le culture del feticismo, Erickson, Trento, 2008, pag. 71 (corsivo nostro). Non credo che forziamo troppo la mano alla Kaplan se trasferiamo questa logica su un piano collettivo, visto che la stessa autrice usa l’esempio del film per ragionare sul feticismo a livello sociale. Si veda su questo stesso numero di “Quaderni” A. Fattori (a cura di), Le culture del feticismo messe a nudo da Louise J. Kaplan.

54. Ibidem.

55. J. G. Ballard, Perché voglio sfottere Ronald Reagan, in Tutti i racconti 1963-1968 Vol. 2, Fanucci, Roma, 2004.