Quando
nel 1960 Carlos Castaneda, studente di antropologia della
UCLA, partì per l’Arizona per cominciare le
ricerche per la sua tesi di
laurea in Antropologia culturale, forse non prevedeva ancora cosa
avrebbe comportato conoscere Don Juan Matus, lo sciamano Yaqui che lo
avrebbe preso come “novizio” e avviato alla via
della “conoscenza”.
Lo
sciamanesimo americano era sì conosciuto, ma
l’opinione pubblica, dopo
secoli di carneficine e devastazioni da parte dei bianchi di origine
spagnola e anglosassone, dal confine nord degli Stati Uniti fino al
Messico, lo conosceva più attraverso
l’interpretazione che ne dava il
cinema western che attraverso le divulgazioni scientifiche.
Era
quindi un intento di studio, quello che muoveva l’aspirante
antropologo
di origini sudamericane, quando cominciò il suo
“percorso” con Don
Juan, a cavallo fra la ricerca scientifica e l’iniziazione
sapienziale.
Chissà
cosa ascoltava in macchina, mentre viaggiava verso l’Arizona,
ammesso
che avesse l’autoradio (ancora mangiadischi e mangianastri
erano di là
da venire), e chissà se si nutriva di gelato e torta di
mele, come il
protagonista di On the Road1, Jack Kerouac, uno dei
principali esponenti della Beat Generation. Siamo
in un’America che da poco aveva chiuso la Guerra di Corea, e
stava per
infilarsi in quella del Vietnam. Intanto, la presidenza di John Kennedy
trafficava con gli esuli cubani e organizzava lo sbarco alla Baia dei
porci.
A metà della gestazione di A
scuola dallo stregone2,
Kennedy verrà ucciso, e il suo omicidio decreterà
definitivamente la “fine dell’innocenza”
per
l’America3.
Si
esaurì così la spinta degli anni Cinquanta
americani, percepiti da
subito – e tuttora – come una favolosa
“età dell’oro”, come scrive
diffusamente Fredric Jameson in Postmodernismo4, citando il Philip K. Dick
di Time Out of Joint5.
Un’epoca
linda, dalla luce iperrealista e dalla musica leggera cinguettante,
come nelle sequenze dello “sbarco” nel 1955 del
protagonista di Ritorno al futuro.
Insomma,
the times they were a-changin’…,
come Bob Dylan avrebbe proclamato nel 1964, un anno prima della
chiusura della ricerca dell’antropologo. Praticamente,
l’avvio del lavoro di Castaneda, documentato anche in altri
due libri successivi, Una realtà separata e
Viaggio a Ixtlan6,
apre il periodo storico che fa da cerniera fra l’esaurirsi
dell’euforia
per la fine delle guerre – dopo la II Guerra mondiale, la
Guerra di
Corea – e la nascita delle culture alternative.
Pure,
non mostra
traccia di tutto ciò. Si svolge, insomma, in “una
realtà separata”.
Nulla di strano in questo: “… le cose cambiano, e
non chiedono il
permesso”, come Cormac McCarthy fa scrivere nel suo diario ad
uno dei
protagonisti di Non è un paese per vecchi7, ma i contemporanei
raramente se ne accorgono…
Forse
il suo libro, la sua ricerca, sono una delle tracce dei cambiamenti che
si avvicinavano: nel costume, nella vita quotidiana, nella cultura. È
profondamente significativo quello che Jameson scrive a proposito di
questo periodo geostorico, ponendosi una domanda cruciale dopo aver
definito il romanzo di Dick come esempio di un “…
compendio del genere
<<era soltanto ieri>>”: se,
cioè, quel periodo corrispose a
come vedeva se stesso, e cioè come lo descrive Dick
– indirettamente,
attraverso la lente deformante della science fiction – oppure
a come fu
percepito subito dopo.
Lo studioso americano comincia
ricordando di quegli anni
…
l’infarto del presidente Eisenhower; la Main Street; Marilyn
Monroe; un
mondo fatto di vicini e di appartenenti all’Associazione
Genitori-Insegnanti; le piccole catene di negozi al dettaglio (con i
prodotti portati da fuori con i camion); i programmi televisivi
preferiti; il blando corteggiamento della casalinga della porta
accanto; i giochi a premi televisivi…8
Perché
Jameson aggiunge subito dopo che
A dire il vero, in retrospettiva gli anni
Cinquanta sono
stati riassunti sul piano culturale come tante forme di protesta contro
gli “stessi” anni Cinquanta… I primi
poeti beat; l’”antieroe” per caso
con connotazioni “esistenzialiste”; alcuni audaci
stimoli di Hollywood,
il rock and roll nascente…9
Questo quadro, più che esprimere una
contraddizione, descrive una
frizione, quindi un movimento, o i presupposti di un mutamento in
potenza. Di cui il rock and roll e il beat non sono che le
premesse.
La prima forma di espressione di quella dimensione generazionale nuova
– i giovani – che il mercato
aveva da poco inventato. Allo
scenario descritto da Jameson mancano solo i blue jeans e le auto di
James Dean in Gioventù bruciata10. Ma
la gioventù descritta da Nick Ray, e
l’incomunicabilità fra generazioni, è
l’altra
premessa della storia che verrà. Mentre
Castaneda – forse inconsapevolmente – interpreta un
altro degli
elementi che costituiranno la forma di espressione dei giovani che sta
per emergere: il rapporto con le culture e le opzioni alternative
all’establishment
– che presto dalla musica e dall’abbigliamento si
estenderanno
all’alimentazione, alla medicina, ai paradigmi con cui in
Occidente ci
si descrive e ci si spiega se stessi, il sociale, la natura,
l’universo. Il
mondo – almeno quello sviluppato – si avviava ad
una definitiva
secolarizzazione, ed il sacro retrocedeva sempre di più, e
Castaneda
andava invece incontro ad una delle enclavi culturali della magia, del
soprannaturale, dell’irrazionale ancora r-esistenti; fra
l’altro, “nel
cortile di casa”, altro modo di dire caro agli americani di
quegli
anni, seppur per tutti altri motivi11. Solo
due anni prima, nel 1958, Claude Levi-Strauss aveva pubblicato Antropologia
strutturale12,
una vera summa – e un manifesto – dello
strutturalismo, che influenzerà
per molto tempo e in vaste aree il modo stesso di concepire la ricerca
sociale. Levi-Strauss, facendo riferimento a Saussure, prima di tutto,
proponeva di non limitarsi a raccogliere empiricamente dati, ma di
ricercare i modelli – le strutture
– che danno senso ai singoli elementi di una cultura13. In
Castaneda questo approccio appare in controluce: il ricercatore si
ripromette di partire dalla raccolta di dati, aspettandosi una
disponibilità da parte dello stregone a rispondere
referenzialmente
alle sue domande, disponibilità che invece non si verifica. Comunque,
l’antropologo dedica l’intera “Parte
seconda” del suo libro ad una
analisi strutturale del sistema di Don Juan, e riesce a organizzare le
informazioni ricevute in due appendici al suo libro: la prima in cui
cerca di dar conto del “consenso speciale”
richiesto dallo sciamano al
suo novizio, la seconda in cui propone uno schema
dell’’analisi
strutturale delle basi del sistema di conoscenze di Don Juan14. In
realtà, i libri di Castaneda – almeno i primi tre,
lo statuto di quelli
successivi è ritenuto piuttosto fungibile, a cavallo fra
attenzione
documentaria e suggestione romanzesca – mostrano appieno
l’incontro e
il confronto (forse lo scontro?) fra due complesse tecnologie: gli
apparati dell’antropologia culturale, come declinazione delle
scienze
sociali, i dispositivi del sapere sciamanico, come pilastro della
cultura della tradizione arcaica. E se da una parte i
protocolli
dell’antropologia presumevano di far riferimento al metodo
scientifico,
così come definito dalla riflessione occidentale, e quindi
di basarsi
sull’osservazione “oggettiva” e la
raccolta di dati15,
da poter replicare
per sottoporli alla verifica empirica, i dispositivi messi in opera da
Don Juan in osservanza della tradizione sciamanica davano per scontata
l’esattezza dei procedimenti dispiegati per ottenere i
risultati
desiderati, nei termini di una fissità e rigidità
degli stessi perché
così erano stati trasmessi dagli sciamani
precedenti. Né faceva
parte dell’orizzonte culturale yaqui – come delle
altre culture
arcaiche – il provare percorsi alternativi. Pena
l’esporsi al rischio
di effetti disastrosi, mortali. In Don Juan la tradizione
è tutto. E
la tradizione si basa sulla ripetizione, sulla replica di rituali
fissati in un tempo anteriore, “mitico”, diremmo
noi, e tramandati
oralmente – e praticamente – da uno stregone
all’altro. Il confronto
che si sviluppa fra Don Juan e Carlos parte quindi da uno scontro fra
due paradigmi conoscitivi per molti versi incompatibili, o meglio,
incommensurabili fra loro. Sistemi simbolici costruiti – e,
naturalmente, che definiscono – realtà differenti
fra loro, forse in
parte coesistenti, sicuramente non compatibili. Che hanno a che fare
con le strutture conoscitive di base, con il sistema di significati con
cui costruiamo socialmente la realtà. Tanto che
ogni volta che
Carlos cerca di stringere, di arrivare a quello che per lui
è il punto
focale, Don Juan si impunta, e risponde bruscamente, o con sarcasmo. La
verità è quella, e non si scappa. La relazione
fra i due non comincia
con facilità: il brujo è
diffidente, evasivo – o forse è solo poco
fiducioso sulle possibilità del giovane gringo di
capire? Castaneda
si pone come intervistatore, chiede informazioni, che probabilmente,
nei termini in cui formula le sue domande, Don Juan non può
dargli. Le
cose vanno a rilento… Alla fine, Don Juan rompe gli
indugi: propone al giovane antropologo di diventare il suo novizio. E
Castaneda viene iniziato progressivamente ai tre mediatori fra gli
“uomini di conoscenza” e la realtà
“non ordinaria”: tre vegetali: Mescalito
(il peyote), l’erba del diavolo
(la datura inoxia), Humito
(il “piccolo fumo”, lo psylocibe). L’apprendista
sperimenterà gli stati percettivi indotti
dall’assunzione delle piante,
ma non riuscirà mai a smuovere Don Juan dalle sue
convinzioni e dalle
sue certezze. Sarà piuttosto lui stesso, man mano che
procede il suo
lavoro, ad entrare nel mondo dello stregone yaqui, almeno a leggere i
suoi ultimi libri…
The Times They Are A-Changin’ La
storia di Castaneda ha un indubbio fascino, basato sullo stile con cui
scrive, sulle esperienze che racconta. E
diventa il traguardo di una tradizione dell’Occidente
strettamente
connessa allo sviluppo della Modernità16 e ad alcune delle sue
personalità più eccentriche, da Thomas De Quincey17 a Charles Baudelaire18,
a Théophile Gautier19,
(che spaventato ma ispirato dalla droga scrive
addirittura un affascinante racconto20)
a Walter Benjamin21,
a Aldous
Huxley22, fino,
naturalmente, a Timothy Leary e Ralph Metzner, e alle
loro riflessioni sul tema, riportate nel 1963 in L’esperienza
psichedelica, in cui, partendo dalla lettura del Libro
tibetano dei morti23,
argomentavano come questa potesse essere praticata attraverso lo yoga,
la privazione sensoriale, l’assunzione di sostanze come la
psylocibina
o la mescalina (nel linguaggio di Don Juan Humito e
Mescalito24). E
se nel caso di De Quincey – autore fra l’altro del
saggio L’assassinio come una delle belle arti,
la cui volontà di stupire è palese – e
Baudelaire, che sperimentano le
seduzioni delle droghe nell’Ottocento, in una atmosfera
decadente e dandy,
diverso è il caso degli ultimi tre, che inseriscono le loro
esperienze
in una logica di ricerca e registrazione delle alterazioni della
percezione attraverso le sostanze assunte. Lungo questo filo
due
elementi sono notevoli: uno è la saldatura che avviene, in
Leary, fra
alcuni cardini delle culture tradizionali orientali – lo
yoga, il libro
dei morti – e di quella amerindia – peyote e
psylocibe; l’altro è il
passaggio di grado, in termini di ricerca, dalla registrazione degli
effetti delle sostanze allucinogene o psicotrope su di sé,
come fanno
Benjamin e gli altri intellettuali novecenteschi, alla riflessione su
come queste sostanze – e gli stati percettivi che producono
– siano
elementi cruciali di una cultura, quella dei nativi americani. Questi
due fattori, mettendo l’accento il primo sulle
affinità fra le
tradizioni di due culture lontane fisicamente fra loro, ma accomunate
dalla dimensione sapienziale, e il secondo sulla loro natura culturale,
collettiva, esplicitano uno dei fulcri di quella che verrà
definita poi
come la controcultura di quegli anni –
di cui A scuola dallo stregone, alla sua uscita
nel 1968, diventerà magari non uno dei manifesti,
ma uno degli indici, dei simboli. Se
infatti, invece di concentrarci sugli aspetti connessi in particolare
all’uso delle sostanze che per lo sciamano yaqui fanno da
mediatori fra
realtà ordinaria e realtà
“speciale”, poniamo l’attenzione sulla
dimensione più ampia della tradizione di cui Don Juan
è custode, allora
dobbiamo riconoscere che probabilmente una consistente parte del
successo del libro è proprio dovuta alla promozione di una
cultura
“altra”, alternativa a quella dominante. Che
va spontaneamente
incontro alle istanze di “diversità”, di
opposizione, di autonomia e ai
desideri di identificazione degli strati giovanili di quegli anni, che,
in continuità con il periodo “beat”
delle minigonne e delle camicie a
fiori trovano altri – ben più radicali motivi
– di aggregazione. La
protesta contro la guerra nel Vietnam, prima di tutto.
… Sembra un’impronta di passero Una
delle difficoltà più insormontabili in cui si
imbatte chi voglia
raccontare di un viaggio, o di un periodo della propria vita
è
nell’impossibilità – riportati gli eventi,
i fatti – di
trasmettere emozioni, sensazioni, stati d’animo: lo
“spirito del
tempo”, o comunque dei fatti, così come sono stati
vissuti
interiormente. E questo rende così difficile oggi raccontare
degli anni
attorno al 1968 – come forse per la generazione precedente
raccontare
della Seconda Guerra Mondiale. Ci riescono gli artisti, probabilmente:
romanzieri, musicisti, registi. E forse una delle
rappresentazioni più
belle degli anni che noi ormai chiamiamo “il
Sessantotto” ce l’ha
regalata uno scrittore che col realismo c’entra poco: Stephen
King con Cuori in Atlantide25. Il
romanzo è diviso in cinque parti, intrecciate fra loro fra
prologhi e
seguiti, ma tutte convergenti verso quella che dà il titolo
al libro, e
che si svolge nel 1966 in un campus universitario. Come scrive King, Spesso
credo che sia degli anni Sessanta in sé che vorrei
raccontare, per
quanto mi sia sempre sembrato impossibile. Ma prima di parlarvi di
tutto questo, sarà meglio che vi dica di Cuori26.
Il racconto, in prima persona, narra di un gruppo di studenti
universitari non troppo studiosi che prima vengono risucchiati dalla
passione per un gioco di carte, “Cuori”, appunto,
per ritrovarsi piano
piano a riflettere sullo stato delle cose, sulla guerra in Vietnam27,
sulla eticità delle scelte, sulla solidarietà. Un
breve romanzo di
formazione, insomma, calato nell’atmosfera di quegli anni e
delle
trasformazioni che produsse nel gusto, nei principi, nel rapporto con
le istituzioni, fino alla scoperta di quello che sarebbe diventato il
simbolo universale della pace. Che sembra
“un’impronta di passero”, che
i reazionari del campus sostenevano fosse stato Inventato
dal Partito Comunista poco dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Significa “vittoria tramite infiltrazione” ed
è comunemente noto tra i
sovversivi come la Croce Spezzata28.
Ma che in realtà, come spiega uno dei
più pacati fra gli studenti, Quel
simbolo si basa sulla segnaletica navale della Marina britannica e fa
riferimento al disarmo nucleare. Fu inventato da un famoso filosofo
inglese (Bertrand Russell, N.d.A.). Non escludo che sia stato fatto
cavaliere… Santo cielo! È questo che ti insegnano
all’addestramento
militare? Coglionate come questa29?
Ormai la guerra è dichiarata: la scoperta
dell’ipocrisia, della mala
fede, dell’ottusità porterà almeno
alcuni degli studenti dalla parte
del movement,
presumibilmente in quel Youth International Party, il
“partito
internazionale dei giovani”, da cui nascerà il
termine yippie o hippie. Con
esiti simili a quelli messi in scena in un film come Fragole
e sangue, esempio precoce di come l’establishment
economico e finanziario utilizzi anche le idee e le posizioni di chi vi
si oppone per prosperare30. Il
tutto pervaso di un senso profondo di ineluttabilità e magia
– da cui
evidentemente King, anche quando ci prova, non riesce a tenersi lontano
– confermato dai più o meno oscuri intrecci con le
vicende degli altri
racconti, di cui almeno il primo, Uomini bassi in soprabito
giallo, intrecciato con gli universi inquietanti e maligni
della cosmogonia dello scrittore del Maine. L’YIP
non avrà poi vita lunga. Ma sarà stato il
testimone di una serie di
istanze oppositive e ribellistiche che – partite dalla nuova
condizione
giovanile – troveranno sul lungo periodo uno sbocco
sincretico nella
promozione e nella pratica di uno stile di vita (o di segmenti di uno
stile di vita) che percorrerà strade
“alternative” a quelle
istituzionali31. E
questo nel campo dell’alimentazione,
dell’affettività, della medicina,
dell’abbigliamento, del confine fra
il lecito e l’illecito: “pace amore e
musica”, insomma, ma anche
“sesso, droga e rock ‘n roll”. E
in questo coacervo di pratiche, una
funzione determinante verrà svolta dalla dimensione
dell’interiorità e
della sua presunta cura. A partire dalle sostanze
psichedeliche e
psicotrope, dalle religioni e dalle discipline orientali,
dall’esoterismo di matrice mediterranea. Si
ricerca una dimensione “alternativa” a tutto
ciò che
rappresenta ed è rappresentato dall’ordine
costituito. Il mercato, quindi, le istituzioni, e
– alla fine – lo stesso razionalismo occidentale.
California Dreamin’ Si
ripropone in grande stile l’opposizione messa in campo fra il
paradigma razionalistico dell’antropologo Castaneda e quello
magico del
brujo Don Juan, in una dimensione che definisce se stessa in quanto opposta
a
quella dell’establishment. No alla medicina allopatica,
perché è
controllata dalle multinazionali; no all’industria
perché inquina e
aliena; no all’autocontrollo, perché incatena le
emozioni; no alla
scienza occidentale, perché non riconosce le istanze del
desiderio; no
all’abbigliamento formale perché non è
spontaneo… No al mercato,
insomma, in tutte le sue articolazioni. Ma un sistema che
funziona
per negazione è tributario di ciò che nega. O,
detto in altri termini,
un universo simbolico non si costruisce artificialmente32Però, il
diffondersi e il consolidarsi di stili di vita – e quindi
stili di
azione e di consumo – alternativi a quelli dominanti sono
sicuramente
indizio di qualcosa: di un bisogno, di una necessità di
autodefinizione
e affermazione. Di istanze che, se prendono corpo, identificano una
ricerca. Droghe. Discipline del corpo e della mente.
Dispositivi
esoterici, sapienziali. Gastronomie esotiche. Come l’LSD e
l’hascisch.
Come lo yoga, l’agopuntura, ma anche la cristallologia, la
numerologia
– l’astrologia. Come la macrobiotica e la
soia. Il rifiuto totale di tutto ciò che
è stato prodotto dalla scienza, dalla tecnologia –
dalla cultura,
insomma – dell’Occidente. Da quel razionalismo che
è una delle gambe
della modernizzazione e della secolarizzazione. Detto in altri termini,
del disincanto del mondo di cui scrive Max Weber,
ragionando sull’affermarsi dello spirito scientifico33. Ma
se pensiamo alla provenienza universitaria di Castaneda – Los
Angeles –
e alla culla della “controcultura” americana
– San Francisco, ci
accorgiamo che forse il processo non è così
unidimensionale e meccanico
come forse – sbagliando – le riflessioni di Weber
potrebbero far
pensare. In realtà, la ricerca e
l’interesse per il settore più
avanzato della ricerca scientifico-tecnologica è permeato di
immaginazione trascendente34
- almeno da quando, negli anni Sessanta del
Novecento, Thimoty Leary descrisse l’esperienza dei
“viaggi” con l’LSD
in termini “elettronici”, e negli anni Novanta
parlava della realtà
virtuale come una continuazione di quelle esperienze con altri mezzi35. Ed Erik Davis
sostiene che la Rete, nella sua immaterialità, rimanda ai
luoghi del magico: È
chiaro che il mondo umano sta radicalmente ridefinendo la distanza tra
la materia e l’incorporeo... Nello stesso tempo, la nostra
supposta
civiltà “materialistica” si sta
dematerializzando sotto i nostri occhi:
i soldi diventano virtuali, il gioco in rete esplode, i luoghi fisici
si dissolvono in dati, il CD lascia il campo all’
MP3 e tutto va a
finire nello schermo. Non importa che noi siamo ancora dipendenti dagli
elettroni e dalle griglie di forza - l’esperienza della
cultura, la
coscienza e la comunicazione diventano sempre più
malleabili e
incorporee. Io penso che questo voglia dire che i vecchi modi con cui
si intendevano le relazioni tra mente e corpo forse hanno
qualcosa da
dirci… Stiamo entrando in nuovi mondi della mente. E chi
può dire che i
trucchi della mente della Cabala o dello Zen Jedi non siano utili
metafore e mappe in questo nuovo mondo36.
Dandone una spiegazione più che significativa: C’è
un’idea che aleggia, ovvero che la secolarizzazione sia un
aspetto inevitabile della modernizzazione (…) Questo
semplicemente non è vero in America, e non soltanto nei cosi
detti “stati rossi”, dove vivono i Cristiani
conservatori. Il lato
inventivo, progressivo e alla ricerca della novità della
cultura
americana è sempre stato legato a forze religiose e
spirituali,
sublimate o meno. Io vivo in California… Il territorio
divenne stato a
metà del XIX secolo, era insolitamente diverso e
multiculturale, fu
sempre caratterizzato dall’innovazione tecnologica e fu
caratterizzato
da una industrializzazione più rapida rispetto alla maggior
parte degli
Stati Uniti. Quindi ci si sarebbe aspettati una super
secolarizzazione…
oltre ad aver fatto nascere alcuni forti movimenti cristiani come il
Pentecostalismo, la California ha svolto un ruolo importantissimo nello
sviluppo della New Age, del Misticismo contemporaneo, della traslazione
delle tradizioni orientali in occidente, della ricerca del sacro
attraverso il corpo. In California come ad Hollywood, il disincanto
è
andato sottobraccio con il ri-incantamento37.
Possiamo sostenere,
quindi, che se la California della seconda metà degli anni
Sessanta del
XX secolo fu una delle fucine da cui nacquero i movimenti
sessantottini, la “contestazione globale”, come
recitavano le voci dei
cinegiornali, così fu anche la culla da cui partì
la ri-scoperta e il
rilancio di quell’insieme di pratiche collegate in misura
maggiore o
minore, in maniera diretta o indiretta alla de-secolarizzazione. Le
tracce – e gli approdi – delle istanze di reincanto
del
mondo le ritroviamo oggi nelle tecnologie di punta della comunicazione,
negli esiti estremi dell’informatica applicata al loisir,
secondo la logica del mercato: i videogiochi. …
parallelamente all’emergere e al diffondersi di una serie di
nuove
tecnologie, si è assistito infatti a una sorta di processo
di
de-individualizzazione, di ri-coinvolgimento, di reincanto del
mondo… Il
mondo in cui (l’uomo postmoderno, N.d.A.) si immerge
è sempre più
quello delle realtà virtuali da lui stesso create, un mondo
che,
allontanandosi a rapidi passi dalla coinvolgente natura dei suoi
antenati premoderni, è però tornato ad essere
– stavolta “grazie” alla
tecnologia – un mondo reincantato, un mondo magico38.
Le riflessioni di Gianfranco Pecchinenda chiudono un cerchio:
una
curva che parte con le affermazioni di Leary sulla analogia fra le
sostanze psichedeliche e il virtuale; che continua con la ricerca di
una “nuova” spiritualità da parte degli
epigoni del movement; che si conclude con le
considerazioni di Davis sui movimenti New Age. Con
un elemento in più: l’intervento determinante del
marketing e delle
logiche di mercato, come già analizzato da Edgar Morin negli
anni
Sessanta39. E
che trovano un’ulteriore sponda nello scrittore a cui fa
riferimento Pecchinenda come il primo ad aver intuito le prospettive
che si preparavano per le derive dell’identità
contemporanea e della
sua capacità di “leggere” la propria
collocazione rispetto al “reale”.
Quel Philip Dick (lo stesso citato da Jameson) autore, nel 1968, di Il cacciatore di
androidi40,
da cui sarà tratto il film Blade Runner41. Che
però questa esigenza profonda di reincanto fosse presente in
larghi
strati, anche estranei al movimento, ma magari non più
apparentabili
con le scelte delle religioni istituzionali, si può intuire
dall’interesse, sorto sempre negli stessi anni, per
quell’insieme di
ipotesi pseudo-scientifiche che andarono sotto il nome di
“archeologia
misteriosa” o “fanta-archeologia”, di cui
fu alfiere in Italia Peter
Kolosimo (in realtà Pier Domenico Colosimo), che predicavano
di una
origine non terrestre dell’Umanità, di continenti
scomparsi (fra cui
Atlantide – quella mitica, non quella metaforica del sud-est
asiatico),
di antichissimi sbarchi alieni. Estrema –
forse – espressione della psicosi dei dischi volanti,
condusse Kolosimo a pubblicare il suo Non è
terrestre42,
sempre nel 1968. Come, sempre nel 1968, fu pubblicato uno dei
romanzi che più hanno influenzato l’immaginario di
quegli anni, Cent’anni di solitudine43, per il quale fu coniato
il termine “realismo magico”. Insieme
a fenomeni editoriali meno appariscenti, ma altrettanto solidi
– come
tutta la pubblicistica sulla metempsicosi, la “vita oltre la
vita”, i
vari mesmerismi di ritorno, e sporadiche apparizioni di
“scoperte”
scientifiche effimere quanto un quotidiano, come la meteorica
“memoria
dell’acqua44”
– queste emergenze dimostrano la ricerca di nuove
dimensioni percettive e cognitive, che mettono in gioco il rapporto
io-mondo. Di questa ricerca tutto ciò che ruota,
con un grado
maggiore o minore di coerenza e affiliazione, intorno alla galassia New
Age rappresenta un settore significativo. E ogni tanto esprime
“testi”
più che significativi. Nel 1993 esce The Celestine
Prophecy, che diventa rapidamente uno dei manifesti della
cultura New Age45. Poiché
nella terra degli orbi il monocolo è re, le Scritture di
queste sette
possono ben essere romanzi di quart'ordine… questo
è appunto il caso de
La profezia di Celestino, grande successo editoriale
di James Redfield… Il
`libro´ si articola (senza peraltro mai passare a
sostantivarsi o
verbalizzarsi) in dieci illuminazioni che il protagonista, un ridicolo
incrocio di Candide e Indiana Jones, subisce ad un incalzante ritmo
giornaliero. A dire il vero non capiamo bene per qual motivo si parli
di illuminazioni, visto che esse non sono altro che mal digerite
rimasticature: il mistero delle coincidenze, la continuità
della
storia, l'equivalenza fra `materia´ ed energia, il
coinvolgimento del
potere, il distacco del misticismo, il condizionamento dell'infanzia,
l'interpretazione dei sogni, l'attaccamento degli affetti, e chi
più ne
ha più ne metta. Il gioiello della corona
(di spine) ci sembra
comunque essere la Nona Illuminazione, secondo la quale quando la
consapevolezza globale permette di raggiungere un certo livello di
`vibrazioni´ energetiche, si diventa invisibili a coloro che
`vibrano´
ad un livello inferiore: l'autore ritiene che il fenomeno vibratorio
spieghi sia l'individuale ascensione di Cristo al cielo che la
collettiva `scomparsa´ dei Maya, secondo lui misteriosamente
svaniti
dal Perù nel 600 avanti Cristo, invece che fioriti in
Messico nel primo
millennio dopo Cristo e mai scomparsi (come egli stesso avrebbe potuto
constatare concedendosi una meritata vacanza sulle spiagge dello
Yucatan, dove avrebbe potuto incontrarne un paio di milioni, ovviamente
del tipo a bassa vibrazione)46.
La sintesi che ne fa Odifreddi è sufficiente a
mostrare quanto
questo testo – come tanti dello stesso genere – sia
il risultato di un
tentativo di sintesi fra varie tradizioni, tutte recuperate al servizio
della definizione di un nuovo stile di vita, ma che però non
sempre
rifulgono di precisione e coerenza. Infatti, continua lo
studioso:
È un (pessimo) segno dei tempi
che un'opera di tal fatta
possa aver venduto più di un milione di copie
nell'originale, e
centinaia di migliaia nella traduzione italiana, la cui superba
qualità
è fra l'altro testimoniata già nel titolo stesso:
l'aggettivo inglese celestine
(`celestiale´) vi diventa infatti un nome proprio
(`Celestino´), che
rimarrà per tutto il libro in inesausta ma inesaudita
ricerca di
personaggio47.
E questo ci fa venire il dubbio che la sciatteria del
traduttore – e
dell’editore che lo ha assunto – insieme alla
faciloneria dell’autore,
mirino semplicemente alla circonvenzione di un pubblico di bocca molto
buona, alla ricerca di semplici conferme delle sue speranze di
palingenesi. Come succedeva negli anni Cinquanta per almeno una parte
dei cacciatori di dischi volanti e periodicamente per i testimoni di
apparizioni divine.
Soylent Green La meta finale di
tutta questa dinamica
sembra essere la ricerca di una mitica dimensione originaria, naturale,
liberata da tutte le sovrastrutture e incrostazioni prodotte dalla
modernizzazione. Al servizio di questa mission
si può
arruolare di tutto, basta che si opponga al moderno, al razionale, al
secolarizzato, in una mescola che confonde tradizioni, culture, epoche,
realizzando un unico pastone, un’unica sostanza
indifferenziata, un
codice universale, dando involontariamente – e forse contro
voglia –
ragione a Jean Baudrillard quando ragionava sulla simulazione e sul
distacco fra significanti e significati48. Un
po’ come avviene, al
contrario, con la soia, vera e propria sostanza base, una sorta di
plastica biologica passibile di essere tradotta in tutti i possibili
alimenti. Una manna che ricorda quella di cui si nutrono i personaggi
di Matrix49,
che giustamente si chiedono di cosa si tratta e che
rapporto c’è fra questa, il cibo che simula e il
sapore che “credono”
di sentire… Quella stessa che in un altro
film di fantascienza, 2022 I sopravvissuti50,
viene fatto credere alle masse di un futuro affamato serva per
nutrirle. Ma la verità, si scoprirà, è
ben
più inquietante… Comunque,
intorno alla naturalità, a vari livelli di coerenza, i
modelli di
comportamento – e di consumo – che guardano ad una
dimensione più
“ecologica” del proprio
“essere-nel-mondo” si sono conquistati,
scavando in profondità nell’immaginario e nelle
rappresentazioni
sociali, una posizione stabile nel panorama della vita quotidiana. Quello
che sembra essere cercato è il ritorno ad una età
mitica, nelle braccia della Natura. Quella
che – in forma estrema – pensarono di trovare gli
adepti della Heaven’s
Gate nel marzo 1997, quando si suicidarono in massa per raggiungere un
livello di esistenza più elevato51. Anche
allora si parlò di
dimensione palingenetica e di passaggio attraverso
l’Apocalisse.Un
ritorno in grembo a Madre Natura di cui si è occupata di
recente Louise
Kaplan, seppur da un punto di vista più specifico e
“analitico”. La Kaplan, analizzando il
film Thelma e Louise52,
nota come
…
le protagoniste fuggono dal trauma della violenza sessuale abbandonando
la città corrotta per cercare la salvezza in una
magica fusione con la Natura… Attenzione,
spettatori, guardatevi sempre dal tema del ricongiungimento con Madre
Natura: in Thelma e Louise… si tratta di
una tipica strategia feticista diretta a diluire gli effetti traumatici
delle violenze mostrate nel film53.
Nel suo saggio, la psicanalista americana sostiene che la
postmodernità è veicolo di una nuova insidia,
quella di un feticismo
che, dal suo tradizionale ambito connesso alla sfera sessuale, si sta
allargando a tutti i campi della vita quotidiana, interiore e sociale.
Una risposta, secondo la Kaplan, al vuoto di significato che condiziona
la percezione del sé e del futuro. Merci e comportamenti
estremi sono i
nuovi feticci che dovrebbero compensare questo senso di vuoto. Seppur
in altri termini, siamo in sintonia con le riflessioni di molti
sociologi e filosofi contemporanei. Tornando al film, la
studiosa infatti afferma che …
si nota una discordanza fra la violenza della prima parte e
l’intento
consolatorio del viaggio mistico di ricongiungimento con la Natura
della seconda. Questa discordanza è un segno della strategia
feticista…
È tipico della strategia feticista mascherare il
dolore e la
disperazione con sentimenti di grandiosità e di euforia54.
In pratica, se ipotizziamo con la Kaplan che uno –
se non l’unico –
dispositivo di compensazione del vuoto di identità connesso
all’affermarsi della postmodernità è
costituito da quella che definisce
“strategia feticista”, se questa strategia passa
per i nuovi stili di
consumo e di intervento sul corpo – e sull’anima!
– dei consumatori, se
di questa strategia fa parte integrante il mito del ritorno ad una
Natura primigenia e accogliente, allora anche l’approdo delle
“controculture” diventa lo stesso: una declinazione
particolare della
strategia del feticismo, con in primo piano l’illusione
dell’abbraccio
con Madre Natura e lo scivolare nella trappola di sistemi di consumo in
cui solo il brand è differente ma la coazione è
uguale. La versione postmoderna degli anni Cinquanta sognati
dagli americani. Forse
preferiamo la soluzione situazionista trovata sempre nel 1968 da James
G. Ballard che, in contemporanea con la prima candidatura di Ronald
Reagan alla presidenza degli Stati Uniti, pubblicò il
racconto Why I Want to Fuck Ronald Reagan55, facendo le prove generali
dei suoi racconti più incisivi. Benvenuti nel
deserto del neoterico!
:: letture ::
Berger, P. L., Luckmann,
T., La realtà come costruzione sociale,
Il Mulino, Bologna, 1969.
Caramiello, L., La droga della
modernità, UTET, Torino, 2003.
Castaneda, C., A scuola dallo stregone,
Astrolabio, Roma, 1968.
Davis, E., Techgnosis,
Ipermedium, Napoli, 2001.
Jameson, F., Postmodernismo,
Fazi, Milano, 2007.
Kaplan, L., Falsi idoli Le strategie
del feticismo, Erickson, trento, 2008.
King, S., Cuori in Atlantide,
Sperling & Kupfer, Milano, 2000.
Levi-Strauss, C., Antropologia
strutturale, Il Saggiatore, Milano, 1966.
Pecchinenda, G., Videogiochi e
cultura della simulazione La nascita dell’homo game,
Laterza, Roma-Bari, 2003.
::
note ::
1. J. Kerouac, Sulla strada,
Mondadori, Milano, 2007 (1957).
2. C. Castaneda, A scuola dallo stregone,
Astrolabio, Roma, 1968. Ripubblicato col titolo Gli
insegnamenti di Don Juan, Rizzoli, Milano, 1999.
3. Questa vicenda diventerà uno dei
pilastri della storia dietrologica
del mondo: le ipotesi si sprecheranno, e si sprecano ancora. Forse
quella più bella è quella raccontata in forma di
romanzo da James
Ellroy in Sei pezzi da mille, Mondadori, Milano,
2001.
4. F. Jameson, Postmodernismo,
Fazi, Milano, 2007.
5. P. K. Dick, Tempo fuori di sesto, Fanucci,
Roma, 2003
6. C. Castaneda, Una realtà
separata, Astrolabio, Roma, 1972 (1971) e
Viaggio a Ixtlan, Astrolabio, Roma, 1973
(1972).
7. C. McCarthy, Non è un
paese per vecchi, Einaudi, Torino,
8. F. Jameson, ibidem, pag.
282.
9. Ibidem, pagg. 282-283.
10. Nicholas Ray, Gioventù
bruciata, USA, 1955.
11. La crisi dei missili a Cuba, cui fa riferimento
la frase in termini
di pericolo di una invasione comunista, di cui Cuba veniva percepita
come una possibile testa di ponte, cominciò il 15 ottobre
1962 e finì
il 28 ottobre. Il mondo si percepì davvero
sull’orlo di una guerra
atomica.
12. C. Levi-Strauss, Antropologia
strutturale, Il Saggiatore, Milano, 1966.
13. “Il principio fondamentale
è che il concetto di struttura sociale
non si riferisca alla realtà empirica, ma ai modelli
costruiti in base
ad essa. Risulta quindi chiara la differenza fra due concetti tanto
vicini da essere stati spesso confusi, quello cioè di struttura
sociale e di relazioni sociali. Le relazioni
sociali sono la materia prima impiegata per la costruzione
dei modelli che rendono manifesta la struttura sociale.
In nessun caso quindi questa può essere identificata con
l’insieme
delle relazioni sociali, osservabili in una data
società.” C.
Levi-Strauss, ibidem, pag. 311.
14. C. Castaneda, A scuola dallo stregone,
cit., pagg. 157 e segg.
15. Nell’appendice al suo primo libro,
Castaneda riporta lo schema che
ha potuto ricavare dalla riflessione su quello che Don Juan gli aveva
spiegato.
16. Cfr. Luigi Caramiello, La droga della
modernità, UTET, Torino, 2003.
17. T. De Quincey, Confessioni di un
mangiatore d’oppio, Rizzoli, Milano, 2000.
18. C. Baudelaire, I paradisi artificiali,
Dall’Oglio, Milano, 1974.
19. T. Gautier, Il club dei mangiatori di
hascisc, Serra e Riva, Milano, 1979.
20. T. Gautier, “L’amante
morta”, in ibidem.
21. W. Benjamin, Sull’hascisch,
Einaudi, Torino, 1975.
22. A. Huxley, Le porte della percezione:
Paradiso e Inferno, Mondadori, Milano, 2005.
23. Il libro tibetano dei morti,
UTET, Torino, 2004.
24. T. Leary, R. Metzner, L’esperienza
psichedelica, Sugar, Milano, 1969.
25. S. King, Cuori in Atlantide,
Sperling & Kupfer, Milano, 2000. Dal romanzo è stato
tratto un film (Scott Hicks, Cuori in Atliantide,
USA, 2001), la cui trama esclude proprio l’episodio da cui
prende il titolo.
26. S. King, ibidem, pag. 283.
27. Atlantide, nel gergo di
quegli anni è il Vietnam.
28. Ibidem, pag. 429.
29. Ibidem, pag. 430.
30. Stuart Hagman, Fragole e sangue,
USA, 1970. Il film,
prodotto dalla MGM, è il racconto della crescita di un
gruppo di
studenti da giovani integrati ed ingenui in
“militanti” pacifisti.
All’esordio edulcorato e morbido fanno nel finale da
contrappunto le
violentissime – e più che realistiche - scene
dell’assalto della
Guardia Nazionale all’università e del pestaggio
degli studenti.
31. A differenza che negli USA, in Europa, e in
particolare in Italia,
i movimenti di opposizione assumeranno in gran parte una natura
diversa, più direttamente politica,
legata alla contemporaneità
con le lotte operaie e ad una tradizione culturale differente. Insomma,
il “Sessantotto” è cominciato in
America, un paio di anni prima che da
noi. Ciò non toglie che in seguito le istanze
“alternative”
sedimentatesi col movement non trovino ampio
spazio anche da noi.
32. Sulla nozione di universo simbolico cfr.
Peter L. Berger Thomas Luckmann, La realtà come
costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969.
33. Max Weber, La scienza come professione,
Armando editore, Roma, 1997, pag. 51.
34. Cfr. Erik Davis, Techgnosis,
Ipermedium, Napoli, 2001.
35. Cfr. Piergiorgio Odifreddi, Cybercreduloni,
in “La Rivista dei Libri”, Milano, maggio 1994,
pag. 39
36. Adolfo Fattori (a cura di), A
colloquio con lo sciamano Erik Davis,
in “Quaderni d’Altri Tempi”
n.
7, inverno 2007,
37. Ibidem.
38. Gianfranco Pecchinenda, Videogiochi e
cultura della simulazione La nascita dell’’homo
game’, Laterza, Roma-Bari, 2003, pag. 146.
39. Ibidem, pagg. 118-120.
40. P. K. Dick, Il cacciatore di androidi,
Nord, Milano, 1986.
41. Ridley Scott, Blade Runner,
USA, 1982.
42. P. Kolosimo, Non è
terrestre, Sugar, Milano, 1968.
43. Gabriel Garcia Marquez, Cent’anni
di solitudine, Feltrinelli, Milano, 1968.
44. Cfr. www.sapere.it
www.disinformazione.it/memoriacqua2.htm
www.ecplanet.com/canale/scienza-1
.
45. James Redfield, La profezia di
Celestino, Corbaccio, Milano, 1994.
46. Piergiorgio Odifreddi, Antropitechi e
teopitechi, “La Rivista dei Libri”,
Milano, marzo 1996.
47. Ibidem.
48. J. Baudrillard, Lo scambio simbolico
e la morte, Feltrinelli, Milano, 1976.
49. Andy Wachowski Larry Wachowski, Matrix,
USA/Australia, 1999.
50. Richard Fleisher, 2022 I sopravvissuti,
USA, 1973.
51. Cfr. alessiaguidi.provocation.net/altre/heavensgate.htm
52. Ridley Scott, Thelma e Louise,
USA, 1991.
53. L. Kaplan, Falsi Idoli Le culture del
feticismo, Erickson,
Trento, 2008, pag. 71 (corsivo nostro). Non credo che forziamo troppo
la mano alla Kaplan se trasferiamo questa logica su un piano
collettivo, visto che la stessa autrice usa l’esempio del
film per
ragionare sul feticismo a livello sociale. Si veda su questo stesso
numero di “Quaderni” A. Fattori (a cura di), Le
culture del feticismo messe a nudo da Louise J. Kaplan.
54. Ibidem.
55. J. G. Ballard, Perché
voglio sfottere Ronald Reagan, in Tutti i racconti
1963-1968 Vol. 2, Fanucci, Roma, 2004.
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