Prendete
un contestatore, un attivista politico che, poi, fonda un
partito politico, ovviamente d’opposizione. Ma la vita non lo
appaga
abbastanza e allora diventa una star televisiva. Non un banale vip
qualsiasi, però, ma uno che non dimentica le proprie origini
e nel suo
show dà spazio e voce agli oppressi e agli sfruttati.
Diventa così
ricco, famoso e capace di influenzare milioni di telespettatori. Come
si chiama? Ah, si, scusate. Il suo nome è Jack
Barron. Poi prendete
un imprenditore, cinico e spietato. Riesce a controllare, grazie agli
enormi capitali di cui dispone, sia i mass-media (la televisione in
primis) sia il mondo politico. Ma non solo. È in possesso di
un potere
straordinario: offrire la possibilità di vivere la vita
eterna. Non a
tutti, ovviamente, ma solo ai ricchi e ai potenti. Un lusso, insomma,
da gestire e distribuire a pochi fortunati esseri umani. Tra coloro a
cui viene proposta la straordinaria opportunità,
c’è anche Jack Barron.
Il nome dell’imprenditore? Certo, certo: si chiama Benedict
Howards. Mettete, adesso, i due uomini uno di fronte
all’altro e ciò che otterrete è Jack
Barron Show, lo straordinario romanzo del 1969 di Normand
Spinrad. Il
luogo dello scontro è, ovviamente, l’America, ma
potrebbe essere anche
l’Italia. Il bello della storia è che Jack Barron
non ci sta ed oppone
ad Howards il suo modo di vedere la società:
solidarietà contro
capitalismo, diritti civili e politici contro il potere di pochi,
democrazia contro forme di totalitarismo occulto. Il
romanzo è
palesemente frutto del 1968, di quella che viene oleograficamente
ricordata come la rivoluzione dei giovani, ma che in realtà
nascondeva
ben altre problematiche e tensioni. Il 1968 è,
infatti, un anno
cruciale e di frattura del Novecento. Un anno – ricco di
fermenti
politici, sociali culturali – che ha segnato
l’Immaginario Collettivo.
Di più. Grazie al potere dei media, quell’anno
è passato dalle cronache
e dalla Storia direttamente al Mito. Le
contestazioni studentesche
- che prendono forma nei vari paesi occidentali - trovano un punto di
sintesi globale nella contestazione della Guerra del Vietnam e il punto
di origine proprio negli Stati Uniti, in particolare nel campus
dell’università di Berkeley, già centro
di proteste studentesche fin
dal 1964. Ma molti sono gli eventi che in qualche modo hanno
contribuito a rendere quell’anno e quel periodo della storia
unico. Ne
ricordiamo alcuni per testimoniare che il 1968 è stato un
anno di
passaggio traumatico da una fase storica ad un’altra, in cui
– forse –
viviamo ancora oggi. Nell’aprile di quell’anno, a
Memphis viene
assassinato Martin Luther King, il leader afro-americano dei diritti
civili; a maggio, gli studenti francesi occupano
l’Università della
Sorbona; a giugno, negli USA, viene assassinato – come suo
fratello
John – Robert Kennedy, candidato del partito democratico alle
elezioni
presidenziali; a luglio, Papa Paolo VI promulga l’enciclica Humanae
Vitae,
a favore del matrimonio e contro la regolazione della
natalità, secondo
i principi dettati dal Concilio Vaticano II; le truppe sovietiche
invadono la Cecoslovacchia ponendo fine con la forza delle armi
all’intensa attività di riforma politica avviata
da Dubcek e sostenuta
da giovani ed operai; a novembre viene eletto presidente Richard Nixon
e gli Stati Uniti sospendono i bombardamenti sul Vietnam, consentendo
l’apertura a Parigi di un tavolo per le trattative di pace. I
pochi
eventi storici elencati sono utili a dimostrare come il 1968
è stato un
anno che ha gettato semi per il futuro di intere generazioni e che ha
generato un nuovo modo di concepire la società, a cominciare
dalla vita
quotidiana. Scrive Alberto Abruzzese, sottolineando
proprio
l’elemento di frattura vissuto dalla società,
dovuta all’affacciarsi
dei giovani nella sfera pubblica, politica e sociale:
Può essere una tesi
difficile da sostenere e
dimostrare in base alla documentazione fornita dalle cronache,
già
frutto di una mitologizzazione sia sul fronte della politica, sia su
quello della vita quotidiana, ma a mio parere quella del '68 fu
– per
l'Italia in modo particolare, ma anche per altre nazioni protagoniste
di un ancora più intenso o traumatico salto innovativo sul
piano della
vita quotidiana, dei suoi bisogni e ancor più dei suoi
desideri –
l'insurrezione spontanea di giovani che nascevano da una
società appena
entrata nella civiltà dei consumi di massa e dunque
desiderosa di
spezzare le catene di regimi educativi pubblici e privati ormai troppo
rigidi e delegittimati in quanto frutto di sistemi ben più
elitari e
gerarchici1.
Abruzzese sottolinea anche un elemento importante: quello dei
consumi a cui è speculare quello culturale. La
civiltà dei consumi, di
cui ormai era pervaso l’Occidente, reclama nuovi adepti,
nuovi
possibili acquirenti individuati proprio nei giovani, che diventano
anche creatori della moda, del costume e della cultura di quegli anni. Quando
si parla di “Sessantotto” non si deve dimenticare
che i veri e unici
protagonisti furono i giovani, di tutti i paesi occidentali. Furono
loro a reclamare e pretendere – per la prima volta
– una visione
diversa del mondo, da quella dei loro padri e dei loro nonni. Il loro
sguardo era rivolto al presente e al futuro, ma non al passato. Qui
è
insita la frattura che si crea tra loro e le generazioni che li hanno
preceduti. We want the world and we want it, now. We
want the world and we want it, now. Now? Now!, cantava, nel
1967, Jim Morrison in When the Music's Over2. E il
mondo diventa il palcoscenico sul quale la nuova generazione intende
essere protagonista.
Negli anni ‘60 la
società americana si trovò di fronte a un tipo
di rivolta sconosciuta: quella dei ‘giovani’, per
lo più figli del baby
boom del dopoguerra, appartenenti alla classe media e con ampio accesso
all’istruzione secondaria che rifiutarono i modelli
convenzionali
proposti dalla società creata dai loro genitori nel corso
degli anni
precedenti. La controcultura giovanile nacque dal rifiuto
degli
elementi autoritari, conservatori, puritani, talvolta violenti della
cultura tradizionale per dare spazio ai valori del pacifismo,
dell’egualitarismo, della libertà sessuale, al
soddisfacimento di
bisogni autonomi rispetto a quelli indotti da una società
incentrata
sull’inesauribile ricerca del denaro e del successo. I suoi
aderenti
vedevano in una società fondata sulla natura piuttosto che
sul
progresso tecnologico la soluzione per un futuro non alienato. La
musica, l’uso di droghe psichedeliche, la
popolarità delle religioni
orientali, i tentativi di vivere in comunità furono
altrettanti modi
per sfidare il mondo della razionalità che li circondava3.
Passaggio cruciale, dunque, che trovò nella
protesta giovanile – che
in Italia e Francia fu anche protesta del mondo operaio – un
punto
focale fondamentale, e la cui storia è ancora oggi motivo di
dibattiti
ideologici. Se dal punto di vista ideologico e politico, nonché
sociale, il
dibattito è stato ampio e il più variegato
possibile, dal punto di
vista culturale ci sembra che la “rivoluzione” del
1968 sia stata poco
analizzata. Ci si è soffermato poco sugli aspetti
più squisitamente
culturali, o forse sarebbe meglio dire controculturali, declinati dal
punto di vista del consumo. Parlare del 1968, allora, significa anche parlare delle
subculture
che nacquero in quel periodo che diedero forma e sostanza a nuovi forme
culturali che, all’origine, intendevano essere una critica al
sistema –
economico e capitalistico in primis – ma che poi finirono per
essere
inglobate proprio dal sistema e divenire normalità e consumo. L’assunto
di base di questo saggio è che il 1968 è
l’anno in cui
matura un processo di rivoluzione culturale che vede come oggetto il
target giovani e come soggetto… l’oggetto estetico
e consumistico allo
stesso tempo. Rivoluzione estetica e comunicazionale. Nel 1968 si entra
nell’era della liberazione dei segni, del sovvertimento delle
gerarchie. Un processo che proviamo a raccontare attraverso la lente di
un film come 2001: Odissea nello spazio di Stanley
Kubrick, che
esce nelle sale di tutto il mondo proprio nel fatidico 1968. Una
pellicola apparentemente distante – sia per genere (la
fantascienza)
sia per contenuti – dal clima di allora, ma che in
realtà è una
perfetta metafora ed una sintesi del processo che investì i
giovani e
la cultura a partire dal 1968. Un oggetto culturale che è
diventato
esso stesso segno di una rivoluzione, nel cinema in generale ed in
quello di fantascienza in particolare. Come notano Luca Bandirali e
Enrico Terrone, Kubrick
… si applica a
riscattare la presunta mediocritas del genere
fantascientifico con massicce iniezioni di metafore filosofiche e di
retorica audiovisiva; la cura inizia con Il dottor Stranamore
(1964), dove si illustra la valenza sessuale della testata atomica,
prosegue con 2001: Odissea nello spazio
(1968, da Clarke), il cui intento di promozione culturale è
palese fin
dal titolo, per poi concludersi nel decennio successivo con Arancia
meccanica (1971, da Burgess)4.
2001 è, prima di
tutto, l’incontro tra la cultura bassa (o
allora ritenuta tale), quella della fantascienza cinematografica, ma
anche letteraria, con la cultura alta, quella del cinema
d’autore che
proprio nell’allora quarantenne regista newyorchese aveva uno
dei suoi
principali alfieri. La critica, allora, aveva apprezzato Kubrick
soprattutto per Orizzonti di gloria5, mentre il
grande pubblico
aveva decretato il successo commerciale con Il dottor Stranamore.
Kubrick, dunque, sintetizza in modo perfetto
l’incontro/scontro tra
queste due culture ed in questo senso 2001
è un film pienamente
del “1968”, inteso come movimento culturale che
apporterà nuove
tendenze che faranno scuola anche nei decenni successivi. Il
film fu realizzato a partire, comunque, da un racconto dello scrittore
inglese Arthur C. Clarke dal titolo The Sentinel6,
scritto nel 1948, da cui lo stesso Clarke con Kubrick trasse la
sceneggiatura. Il racconto presenta una storia abbastanza semplice e
lineare: nel 1996 l’umanità ha stabilito una
presenza permanente sulla
Luna e ne sta esplorando tutta la superficie. Durante una di queste
missioni all’interno del Mare Crisium alcuni astronauti
individuano una
piramide di cristallo di natura chiaramente artificiale e protetta da
uno schermo di energia impenetrabile. Dopo circa venti anni di ricerche
lo schermo della piramide viene finalmente infranto e la piramide si
rivela come il frutto di una tecnologia avanzatissima, probabilmente un
faro lasciato sulla Luna da esploratori alieni milioni di anni fa per
segnalare loro se e quando dal pianeta sottostante, dove la vita era
ancora agli albori, sarebbe emersa una specie abbastanza intelligente
da raggiungere lo spazio. Spezzato lo scudo, il segnale che la piramide
inviava nel cosmo si è spento e ora
all’umanità non resta che attendere
l’arrivo dei suoi costruttori, se mai essi esistono ancora. La
pellicola, invece, come è noto, presenta una storia molto
più
complessa, divisa in quattro blocchi. Nel primo, denominato
“L’alba
dell’uomo”, lo spettatore si imbatte in alcune
scimmie che attorno ad
una pozza d'acqua fangosa, si contendono le poche gocce di liquido
rimaste. L’apparente vita tranquilla delle scimmie, che si
intuisce
vivono in gruppo, viene all’improvviso interrotta da un
giaguaro che
afferra una scimmia, mentre tutte le altre fuggono terrorizzate. Dopo
un cambio di scena, seguiamo una nuova scimmia che fissa esterrefatta e
spaventata un qualcosa che scopriamo essere un enorme Monolito nero che
si erge al centro della pozza. Le scimmie, ancora impaurite,
iniziano a girare intorno alla strana
costruzione, di cui sono comunque attratte. Una di loro la tocca e
sembra rassicurarsi perché non accade nulla. Così
anche le altre
cominciano a toccare il monolito, mentre la Terra, la Luna e il Sole
sono perfettamente allineati. Lo spettatore ha comunque la sensazione
che i destini di quelle creature primordiali è stato
inevitabilmente
cambiato. Altra scena: una nuova alba e sorta sulla
radura ed il monolito è
scomparso. Un gruppo di scimmie – guidata dalla prima scimmia
che ha
toccato il monolito – parte alla conquista della pozza
d’acqua ed
affronta un altro gruppo di scimmie, poco distante. La scimmia del
monolito viene affrontata dal capo del gruppo nemico, ma qualcosa
è
cambiato. La scimmia che ha toccato il monolito cammina in modo eretto
e ha nella mano un osso. Quando l’avversario la affronta non
ha paura e
rompe gli indugi, calando un gran fendente in testa al suo avversario.
Anche le altre scimmie si avvicinano, ripetendo il gesto della prima
scimmia e brandendo colpi sul corpo ormai esanime della scimmia
dell’altro gruppo. Questo blocco narrativo
del film sembra una perfetta metafora della
presa di coscienza, a livello globale, dei giovani in quanto tali
–
ovvero: tribù = identità generazionale e poi
sempre più target – e del
sorgere di una loro visione del mondo, che non stava andando nella
direzione da loro auspicata. Giovani che, invece, reclamavano nuovi
spazi, culturali e non solo e che diventeranno per la
società dei
consumi il principale “cliente”. Ecco cosa
sottolinea Salvatore
Proietti a tal proposito:
L'economia e il consumo hanno
inventato i giovani (e ancor più
teenager), ma i giovani sono qualcosa di più sfaccettato e
articolato,
qualcosa di meno pienamente controllabile di quanto non immaginino le
strategie del marketing, e diventano veicolo di una
complessità sociale
difficile da gestire. Sono i giovani delle classi medie a creare il
mercato del rock'n'roll e il concetto stesso di teenager, ma sono altri
che iniziano a parlare e a cantare anche per loro, irrompendo con
parole e voci molto diverse da quelle rassicuranti
dell'ufficialità
culturale e mediatica. Nel cinema, i giovani erano una minaccia di
ribellismo potenziale, che nelle grandi produzioni hollywoodiane si
cerca almeno parzialmente di esorcizzare con psicologismi banali,
attraverso figure come il James Dean di Rebel without a Cause
(Gioventù
bruciata, 1955) o il Marlon Brando di The Wild One (Il selvaggio,
1953), comunque immagini di disagio sociale ed esistenziale difficili
da contenere, e lo sono ancora di più nei b-movie a basso
costo come
Blackboard Jungle (Il seme della violenza, 1955), il film che rilancia
un 45 giri uscito l'anno prima con scarso impatto: Rock Around the
Clock di Bill Haley7.
Il Monolito kubrickiano, dunque, diventa l’emblema
della
consapevolezza sia per le scimmie che si ergono a razza dominante
rispetto agli altri animali preistorici, sia per i giovani –
soprattutto quelli emarginati: gli studenti, gli operai, gli
afro-americani e le donne – che trovano nella cultura la loro
forma di
protesta più alta, basta pensare alla musica e alla
provenienza stessa
di coloro che danno forma e sostanza a nuovi generi musicali. Come
sottolinea, ad esempio, ancora il critico letterario Salvatore Proietti:
Gli eroi della musica popolare sono
giovani provenienti dal Sud,
dai ceti poveri e dalla classe operaia, e dunque da settori sociali
diversi da quelli dell'egemonia nazionale, che mescolano con
sofisticazione i generi bianchi e neri, il country e il rhythm and
blues (i race records, i dischi razziali, si leggeva nelle
classifiche), il western swing e il jump, il boogie e il gospel. Basta
verificare i luoghi di nascita di coloro che danno vita al rock'n'roll
per rendersi conto che la cultura statunitense resta sempre qualcosa di
più complesso rispetto all'immagine pubblica ufficiale. Fra
gli
immediati precursori, Hank Williams viene dall'Alabama e Johnny Ace dal
Texas; a cavallo fra due ere, Lloyd Price e Fats Domino vengono dalla
Louisiana e Bill Haley da Detroit, la città dell'industria
dell'auto. E
poi: Bo Diddley, Elvis Presley (in seguito operaio e camionista in
Tennessee) e Jerry Lee Lewis dal Mississippi, Little Richard dalla
Georgia, Chuck Berry da Saint Louis (nel Missouri, dove conosce il
carcere e il lavoro alla catena di montaggio), Eddie Cochran
dall'Oklahoma, Buddy Holly e Roy Orbison dal Texas, Gene Vincent dalla
Virginia, Carl Perkins dal Tennessee, fino a Richie Valens che
è
californiano ma figlio di immigrati messicani8.
Nel secondo blocco di 2001, denominato
“TMA-1”, assistiamo al
volo sulla Luna del dottor Heywood Floyd, diretto in missione speciale
alla base di Clavius. Lì ad aspettarlo ci sono altri
scienziati e
tecnici, con i quali Floyd tiene una riunione. Scopriamo
così che nel
cratere di Thyco, sulla Luna, è stata fatta una
straordinaria scoperta,
una scoperta di un tale portata da costringere le autorità
ad isolare
completamente la base simulando una specie di "epidemia". Ecco quali
sono le parole di Floyd, quando alcuni partecipanti alla riunione
protestano perché non possono mettersi in contatto con i
propri cari:
Sono
certo che vi rendete conto del gravissimo potenziale di
shock culturale e di disorientamento sociale insito nella attuale
situazione se i fatti fossero preventivamente resi pubblici senza una
preparazione e un condizionamento adeguati.
In una scena successiva Floyd ed altri scienziati si recano, a
bordo
di una navetta, sul luogo del rinvenimento del monolito.
Nell’esplorazione che segue, il dottor Floyd non resiste alla
tentazione di toccare il monolito. Poi, proprio mentre Floyd e gli
altri lo stanno fotografando, il primo raggio di sole del giorno lunare
illumina il monolito, che rivede così la luce dopo millenni
di
oscurità, e immediatamente emette un forte segnale in
direzione di
Giove. Il monolito, sostiene il dottor Floyd nel
film, è un “gravissimo
potenziale di shock culturale e di disorientamento sociale”.
E tale fu
anche per il mondo, quello adulto, quello delle famiglie, innanzitutto,
dalle quali i giovani di allora presero ben presto le distanza. La
società dei Sessanta è ancora pienamente
fordista, in cui il capitale
per un verso e la fabbrica per un altro sono i due fulcri centrali del
sistema produttivo. I giovani prendono le distanze da tutto questo
anche perché sono in qualche modo esclusi dal mondo
produttivo, come
sottolinea il sociologo Francesco Alberoni:
Questa cultura e il modo di vita
che ad essa corrisponde, si
costituisce in antagonismo rispetto ai valori dell'organizzazione
professionale e produttiva, e la cosa può essere spiegabile
col fatto
che questa cultura è quella di gente strutturalmente
estranea, esclusa
dal sistema professionale e produttivo9.
Nella terza parte del film (“18 mesi dopo: Missione
Giove”), la
scena si sposta sull’astronave Discovery, in viaggio verso
Giove. A
bordo ci sono cinque astronauti: tre ibernati e due che sovrintendono
le operazioni di bordo, coadiuvati da HAL 9000, un supercomputer dotato
di una sofisticata intelligenza artificiale che lo rende valido
interlocutore degli esseri umani a bordo. Ad HAL è stato,
però,
impartito un ordine che viene tenuto segreto ai due astronauti, ordine
che è in contrasto con il fatto che il supercomputer
è stato anche
"programmato" per collaborare con gli esseri umani senza omissioni o
alterazioni di dati e informazioni. Quando
l’astronave è quasi arrivata nell’orbita
di Giove, il
conflitto di programmazione di HAL si manifesta drammaticamente: per
non entrare in stallo, l’intelligenza artificiale decide di
uccidere
gli astronauti. Solo Bowman riesce a sopravvivere ed a riprendere il
controllo dell’astronave, disabilitando il calcolatore. Al
termine di
quest’ultima operazione, inaspettatamente HAL avvia la
riproduzione di
un filmato pre-registrato, nel quale il dr. Floyd rivela i veri scopi
della missione all'equipaggio: esplorare la zona dove si è
indirizzato
il segnale radio che il monolito lunare aveva emesso. 2001:
Odissea nello spazio, come già annuncia il titolo
stesso, è anche – e forse soprattutto –
un viaggio, un’odissea. Un
viaggio verso l’ignoto, un esplorazione di qualcosa di ignoto
che nel
film non può essere rivelato neanche agli
esploratori-astronauti. Solo
HAL 9000, il supercalcolatore, è a conoscenza del vero
obiettivo della
missione ed è pertanto l’unico a detenere la
verità. È la storia del
viaggio dell’uomo, dalla primordiale evoluzione da
uomo-scimmia ad homo
sapiens, fino alla forma finale del feto. Un viaggio
è stato anche la costante del “1968”, un
viaggio verso
l’esplorazione di nuove frontiere, non più fisiche
ed intese come
territori (come il mito del vecchio West), ma soprattutto
mentali. La controcultura coinvolge, oltre agli
studenti, coloro che rompono
sia con gli studi che con la vita professionale. La costante
è
rappresentata dalla "strada" (il mito di una vita in viaggio, sulla
strada) e dal misticismo orientale; i primi ispirati dagli scrittori
della beat generation (su tutti Jack Kerouac con il suo On
the Road10), mentre i secondi formano comunità
marginali, soprattutto in California. I giovani, per la prima
volta, intraprendono un viaggio nei meandri
della loro mente, l’esplorazione del proprio io
più recondito,
attraverso nuovi mezzi più sofisticati: è il
tempo delle droghe
sintetiche come viatico per la conoscenza di nuove esperienze.
Un mito che tiene tutto insieme
è quello dell’Lsd, nato nel 1964
quando iniziano le pubblicazioni divulgative di Timothy Leary, la droga
sintetica (realizzata un ventennio prima nei laboratori di una
multinazionale svizzera della chimica) presentata come catalizzatrice
di una ennesima nuova frontiera, mentale e psichica, in grado di aprire
sterminati territori – una retorica, negli Stati Uniti,
tutt’altro che
nuova, e forse proprio per questa capace di trovare un posto
nell’immaginario11.
E questo ci porta anche all’ultima parte del film di
Kubrick. Giunto su Giove, e siamo
all’ultima parte del film denominata “Giove
e oltre l'infinito”, Bowman si avvicina al monolito in orbita
intorno
al pianeta, attraverso una capsula. Il monolito spedisce Bowman dentro
un percorso attraverso lo spazio e il tempo, sorvolando stelle e
pianeti alieni finché si ritrova con la propria capsula in
un
impossibile appartamento dal decoro settecentesco, dove vede se stesso
invecchiare rapidamente, in fasi successive ogni volta esterne al
proprio sguardo. Ormai decrepito, muore davanti a una nuova apparizione
del monolito nero e rinasce in forma di feto. Quest’ultima
sequenza, totalmente psichedelica, rimanda ad
un’esperienza forte e fuori da ogni schema.
Un’esperienza mentale che
non ha agganci con la fisicità della vita e che invece trova
radici
nella irrazionalità e nella spiritualità. Ecco
come Leary descrive l’esperienza psichedelica in un suo noto
libro:
Un’esperienza
psichedelica è un viaggio verso nuovi reami di
coscienza. La dimensione ed il contenuto dell'esperienza non hanno
limiti, ed i suoi connotati caratteristici sono la trascendenza dei
concetti verbali, delle dimensioni spazio-temporali e dell'ego o
identità. Tali esperienze di coscienza espansa possono
verificarsi in
una varietà di modi: deprivazione sensoriale, esercizi yoga,
meditazione disciplinata, estasi estetica o religiosa, oppure
spontaneamente. Più recentemente sono diventate accessibili
a tutti
tramite l'ingestione di droghe psichedeliche quali psilocybina,
mescalina, DMT, etc. Chiaramente, non è la droga a produrre
l'esperienza trascendentale. Essa funge solamente come chiave chimica,
apre la mente, libera il sistema nervoso dagli schemi e dalle sue
strutture ordinarie12.
Il grande regista americano voleva in realtà che lo
spettatore –
quello di allora, ma il discorso vale anche per oggi – si
lasciasse
trasportare dall’esperienza visiva che in realtà
il film è, se si pensa
che in tutta la pellicola – che dura la bellezza di 143
minuti – ci
sono solo 25 minuti di dialogo. Un film che si deve
“leggere”
innanzitutto con i sensi: gli occhi per guardare
l’immensità dello
spazio in cui si staglia l’astronave in viaggio verso Giove,
per
indagare sulla comparsa di un misterioso monolito nero; le orecchie con
cui si devono ascoltare le immense musiche scelte dallo stesso regista
per accompagnare le immagini, su cui spicca Il Danubio Blu
di
Johann Strauss Jr., ma che è anche una delle chiavi di
lettura del
film, nel suo manipolare immagini tecnologiche e suoni del passato,
motivi più popolari come appunto il brano di Strauss e
composizioni
arcigne, carpite all’avanguardia accademica, come la Lux
Eterna di György Ligeti. Non
c’è alto e basso nell’arte, come nello
spazio. Un film da vedere, rivedere, e ancora (ri)visionare. Un
film che si può definire psichedelico, e che come sottolinea
Enrico Ghezzi:
Per milioni di spettatori che dal
’68 a oggi hanno decretato il
trionfo del film a dispetto di chi parlò di «noia
abissale», 2001 è
stato soprattutto un’esperienza sensoriale (non solo visiva)
del tutto
nuova, la percezione di uno «spazio» inedito, con
dentro un seguito di
eventi straordinariamente semplici contrappuntati
dall’apparizione di
una forma «semplice» (il monolito) e definita nelle
sue funzioni (far
compiere un salto alla Storia e quindi alla storia) ma incomprensibile
e misteriosa quanto alla provenienza e al senso13.
E, allora, in conclusione non possiamo non
sottolineare con
Proietti che:
[…] un film come 2001:
A Space Odyssey di Stanley Kubrick (2001: Odissea
nello spazio,
1968) […] sarà un omaggio alla cultura
psichedelica, non solo per la
componente visiva (il balletto tecnologico, la visione cosmica) ma
anche per il racconto. Ripercorrendo la storia umana nella vicenda di
un homo faber ineluttabilmente legato alla violenza (la scimmia che
scopre il primo utensile, un osso per uccidere, e lo lancia in aria
–
con uno stacco che lo trasforma nella fantastica stazione spaziale
orbitante), con un'esplorazione dello spazio tragica per colpa del
novello mostro di Frankenstein, il computer sfuggito alla
programmazione, arriviamo all'epopea visionaria del sopravissuto, fra
giochi di luce psichedelici e scene passate, fino alla comparsa di un
feto che, si presume, rappresenta il successivo passo nell'evoluzione
(stavolta, forse, diverso dalle premesse umane). Anche queste fantasie
sono al centro della controcultura […]14.
Alla
fine il film di Kubrick pone le stesse domande che i giovani
ribelli del “Sessantotto” si ponevano:
“da dove vengo, chi sono, dove
vado”. L’astronauta Bowman è il
rappresentante di questa nuova
categoria che diventa ben presto facile preda del marketing delle
grandi multinazionali che, a loro volta, si appropriano dei simboli
prodotti proprio dai giovani e li trasformano in merce. Il prezzo
è la
cooptazione nel sistema. Tutto diventa normale e viene normalizzato. La
moda, gli stili di vita, la musica, la letteratura, le avanguardie
artistiche: tutto viene fagocitato dalla società delle
merci, che si
scopre, anche qui grazie al Sessantotto, globale e globalizzabile, dal
punto di vista anche culturale. “L’immaginazione al
potere!” era lo
slogan che campeggiava sui muri di Parigi nel maggio del Sessantotto,
che nel 2008 potrebbe essere sostituito con un “L‘immaginazione della merce è al potere”! La
distanza temporale fra 1968 e 2001(8) è tutta qui.
::
letture ::
Francesco Alberoni, Movimento e istituzione, Il Mulino, Bologna 1977
Luca Bandirali e Enrico Terrone, Nell’occhio, nel cielo. Teoria e storia del cinema di fantascienza, Lindau, Torino 2008
Enrico Grezzi, Stanley Kubrick, L’Unità/Il Castoro, Milano 1995
Salvatore Proietti, Hippies! Dall'India alla California la road map del '68, Edizioni Cooper, Roma 2008
Paolo Sorcinelli e Angelo Varni, Il Secolo dei giovani: le nuove generazioni e la storia del Novecento, Donzelli Editore, Roma 2004
::
note ::
1. Alberto Abruzzese, Intellettuali e '68 in Treccani –
Scuola http://www.treccani.it/site/Scuola/Zoom/68/3.htm, pubblicato il
7/3/2008.
2. "Vogliamo il mondo e lo vogliamo, adesso. Vogliamo il mondo e lo vogliamo, adesso. Adesso? Adesso!".
3. Ilaria Mori, Gli Stati Uniti culla della protesta in
Treccani – Scuola http://www.treccani.it/site/Scuola/nellascuola/area_storia/archivio/68/1.htm,
pubblicato il 4/3/2008.
4. Luca Bandirali e Enrico Terrone, Nell’occhio, nel cielo. Teoria e storia del cinema di fantascienza, Lindau, Torino 2008.
5. S. Kubrick, Orizzonti di gloria, USA, 1957.
6. A. C. Clarke, La sentinella, Mondatori, Milano, 1983.
7. Salvatore Proietti, Hippies! Dall'India alla California la road map del '68, Edizioni Cooper, Roma 2008.
8. Ibidem.
9. Francesco Alberoni, Movimento e istituzione, Il Mulino, Bologna 1977.
10. J. Kerouac, Sulla strada, Mondatori, Milano, 2007.
11. Salvatore Proietti, Hippies! Dall'India alla California la road map del '68, op. cit.
12. Timothy Leary, Ralph Metzner, Richard Alpert, L'esperienza psichedelica, Sugar, Milano 1969 (1963).
13. Enrico Ghezzi, Stanley Kubrick, L’Unità/Il Castoro, Milano 1995.
14. Salvatore Proietti, Hippies! Dall'India alla California la road map del '68, op. cit.
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