Gli Usa sono un paese per vecchi valori… i dollari di Maria D’Ambrosio
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Ora le cose sono cambiate, eppure i bigliettoni verdi nell’immaginario collettivo suonano ancora come simbolo di una potenza economica, sociale e culturale che esporta democrazia e sa garantire benessere per tutti. Dollari: ovvero l’archetipo, tutto americano, del potere e dell’avere come misura dell’essere. E dollari che tornano spesso nelle storie raccontate da scrittori e registi americani e che fanno da elemento narrativo chiave per animare o risolvere trame che vedono a duello il buono con il cattivo. L’amico col nemico. Il forte contro il debole. Dollari dunque: la posta in gioco o meta da conquistare, misura del valore e della celebrazione dell’eroe. L’eroe americano, testimonial del consumo e del potere d’acquisto, che fiero e sicuro, e solo, attraversa a cavallo (e poi in treno, in nave, in moto, in auto) praterie, deserti e spazi immensi. Quasi senza confine. E c’è un legame strettissimo tra questi spazi e lo spirito, selvaggio, di un’America che rimane comunque inafferrabile nelle sue contraddizioni, nei suoi valori: nell’idea di giustizia che pure genera la pena di morte (oltre che un sistema penitenziario che ammette la tortura), nel bisogno di sicurezza che produce ed esporta guerra (oltre che una diffusa e domestica abitudine alla detenzione di armi). È l’America liberale e liberalista che fa della centralità dell’individuo il modello societario dominante che pure fa i conti con differenti forme di malessere e di disagio, che lasciano tracce profonde, segno di una silenziosa produzione di follia e di violenza (non solo metropolitane). D’altronde, il paradigmatico pragmatismo americano fa rima con individualismo e modernismo, che insieme hanno reso la categoria del soggetto e della realtà come espressioni del loro presente, già carico del loro atteso futuro. Il presente di un uomo del quale non importa da dove venga, ma solo dove stia andando. Sarà per questo che Cormac Mc Carthy, titola il suo romanzo – tremendo, la cui tremenda storia fa da soggetto e sceneggiatura dell’ultimo film di Joel e Ethan Coen – Non è un paese per vecchi. No Country for Old Men. Il romanzo di Mc Carthy è del 2005. Il film dei Coen è del 2007. Uscito in Italia nel febbraio nel 2008. Academy Award 2008 come miglior film, migliore regia, miglior attore non protagonista (Javier Bardem), migliore sceneggiatura non originale. Non è un paese per vecchi. Ma quale paese. E quali vecchi? Certo: lungo tutto il film, si avverte la firma del racconto di Mc Carthy. È la sua America, il suo Texas, che incontri e ti lascia senza respiro. Per poter assaporare tutto il suo gusto e retrogusto, amaro, che sa di follia e sa di violenza. E di morte. Eppure la maestria dei Coen nell’aderire così bene al testo di Mc Carthy, ovvero, in maniera sotterranea, a quella America la cui bellezza e vastità ti lascia un profondo senso di vuoto e di paura, sta nel proporre uno sguardo capace di cogliere pure l’umanità di tanta violenza o di tanta follia omicida. L’uomo, il cacciatore, solo, sotto un sole furioso che tramonta tra le montagne e copre i corpi esangui e rivela l’orrore della sete di denaro. Il denaro, i dollari, che tornano anche in questa storia a muovere i protagonisti e molti altri. E che smuove questioni più profonde: la sfida tra parole date come un giuramento. Il valore di una vita. La furia del pensiero che corre veloce come un proiettile di fucile. La falsità degli accordi tra spietati uomini d’affari, per niente disposti a dividere il bottino ma determinati a riappropriarsene quando questo arriva per caso e per errore nelle mani della persona sbagliata. Il nostro uomo. | ||
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