L’immateriale
di cui sono fatti i video di Alfonso Amendola
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Dare
una
definizione all’intera portata del termine è
impresa assai ardua. Il
video è, nella sua propria conformazione, all’un
tempo un io-vedo-e-vado-oltre, un dispositivo, un
sistema, una tecnologia, una forma d’espressione, una
comunicazione televisiva, una solida, o meglio materica
interfaccia (schermo o monitor) verso cui tutto sembra tendere
per ritrovare – nella luminescenza ove la
matericità si perde per
lasciare spazio alla corpuscolarizzazione – la sua originaria
assenza
di peso, il seducente percorso proteso verso un non-dove che lascia
percepire la leggerezza dell’assenza.
Le produzioni della sperimentazione video sono un linguaggio che, pur basandosi sulla griglia linguistica cinematografica, televisiva ed artistica, evadono dal semplice-complesso sistema semantico cinematografico-artistico propriamente detto, per entrare nei territori della ricerca estrema, della purezza e della contaminazione, della mescolanza cromatica e sonora. Fino a diventare matrice espressiva a se stante. Di strada la sperimentazione video ne ha fatta davvero tanta a cominciare dalla prima grande esplosione di “video art” (ovvero il termine più storicizzato e generale, per indicare gli artisti che utilizzavano tecnologie video). Esempio d’inizio storicamente riconosciuto resta l’operazione di Nam June Paik7, che presenta un’esposizione di lavori sperimentali realizzati su monitor nel marzo del 1963 presso la Galerie Parnass di Wuppental con il titolo “Exposition of Music-Electronic TV”, dove per la prima volta il televisore è trattato come strumento artistico (1963). Da un punto di vista storico, va detto che le matrici teoriche dello sviluppo creativo e le potenzialità artistiche della cultura audiovisiva avevano già avuto nobili e precisi anticipatori, penso in particolare ad alcuni saggi prioritariamente legati al linguaggio cinematografico, dove le attenzioni, le prospettive e le attese verso il linguaggio televisivo o proto-audiovisivo erano decisamente già in nuce8. Ma ben presto la sperimentazione video si allontanerà dalla modulazione televisiva. Nella nostra stretta contemporaneità, nella spinta fondante d’essere “assolutamente moderni”, penso sia sempre più utile riflettere verso un’idea allargata di sperimentazione video che trova la propria linfa espressiva nella totale reinvenzione (e forse anche consumazione) e diventa: videoarte, videoclip, computer grafica, videoteatro, videopoesia, performing art, videomultimedia e tanto altro ancora all’interno di un processo estetico e culturale che gradualmente si è sempre più allontanato dalle arti tradizionali, dal cinema e in particolar modo dalla televisione (fino alla dicitura storica di “Video Is Not Television”). “Video è diverso da televisione. O almeno è nato come qualcosa di diverso, nell’epoca in cui televisione significava, in primo luogo, fruizione passiva di programmi generalisti decisi altrove e diffusi soprattutto via etere a domicilio9”. |
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[1] (2) [3] | ||
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7. Cfr.
Nam June Paik (1963),
“Afterlude alla mostra di televisione
sperimentale”, in Valentina Valentini, a cura di, Le
pratiche del video, Bulzoni, Roma, 2003.
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8. Cfr. in particolare Eugenio
Giovanetti (Il cinema e le arti meccaniche, 1930),
Dziga Vertov (Discorso alla prima conferenza sul cinema sonoro,
1930), Rudolf Arnheim (Film come arte, 1935),
René Barjavel (Cinema totale, 1944),
Sergei Ejzenstein (Il cinema e il miracolo della televisione,
1946), Burri e Fontana (autori del Manifesto spaziale sulla
televisione, 1952), Carlo Ludovico Ragghianti (La
televisione come fatto artistico,
1955), fino ad arrivare ad Umberto Eco
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che coglie nelle riprese con
multicamere e nel conseguente montaggio delle dirette televisive degli
anni Cinquanta e degli inizi degli anni Sessanta precisi atteggiamenti
artistici e una potenzialità estetica notevole della
televisione,
anticipando in qualche modo procedure e stili della
“futura” videoarte.
Da: “Il caso e l’intreccio. L’esperienza
televisiva e l’intreccio”
(1962), in Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle
poetiche contemporanee, Bompiani, Milano, 1988, pp.185-209.
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9. Elisa Vaccarino, La
musa dello schermo freddo. Videodanza, computer e robot,
Costa & Nolan, Genova, 1996 p.15.
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