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[ conversazioni ]
Hugh Hopper,
quando il basso suona proprio in alto
E cosa ci puoi dire del duo Humi che ti vede in tandem con la cantante-tastierista di origine giapponese Yumi Hara Cawkwell?
Abbiamo esordito a Londra lo scorso 1 novembre. E c’è la possibilità di fare altri concerti, in Grecia e Giappone.

Per quanto riguarda il 2008, hai già in programma nuove registrazioni e collaborazioni? Per esempio, stai forse pensando di rigenerare la fortunata intesa con il chitarrista Mark Hewins?
Con Mark ho collaborato per molti anni. È capitato che non suonassimo assieme per qualche anno o più, ma c’è sempre la possibilità di riprendere a lavorare con lui: in duo o in trio, con la partecipazione di diversi ospiti.
 
Guardando alla tua carriera sembrerebbe che la formula del duo sia quella che ti è più congeniale.
In realtà amo suonare in tutte le possibili formazioni: come solista, in duo, in trio o in band più numerose. Ogni formazione ha un feeling diverso. I gruppi più numerosi sono preferibili quando compongo brani con maggiori armonie, ma duo e trio sono contesti davvero ideali, soprattutto perché si può dare maggior spazio all’improvvisazione: in questo caso i musicisti possono cambiare velocemente direzione e seguire le idee degli altri.

Qual è oggi, a livello emotivo e musicale, il tuo approccio ai brani incisi con i Soft Machine? Attualmente hai rielaborato alcuni composizioni storiche all’interno di gruppi come Soft Machine Legacy o Delta Saxophone Quartet. Hai forse provato un po’ di nostalgia?
Be’, naturalmente quelle composizioni sono tuttora una parte importante della mia storia musicale. Per diversi anni non ho rivisitato nulla del repertorio Soft Machine: non m‘interessava affatto perché ero impegnato a comporre parecchi nuovi pezzi per i diversi progetti musicali in cui ero coinvolto. Ma recentemente, grazie a un maggior interesse da parte del pubblico e di altri musicisti a uno sguardo retrospettivo, li ho proposti di nuovo. È accaduto per i miei brani Kings and Queens e Facelift e per Chloe and the Pirates di Mike Ratledge. Se questi pezzi sono musicalmente ancora interessanti, è un piacere suonarli.

A proposito di pubblico, molti ascoltatori ti associano a qualcosa accaduto più di trent’anni fa. Non ti disturba? È forse questa la ragione che ti vede protagonista in progetti o band legati al nome Soft Machine?
Credo che sia naturale.
Se andassi a un concerto per vedere sul palco i miei eroi musicali, mi augurerei vivamente di sentirli suonare uno o due brani del loro repertorio storico.

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Ma i Soft Machine non sono mai stati una band che dal vivo proponeva i propri brani noti in modo del tutto simile a come li aveva registrati su disco. Negli anni Sessanta e Settanta abbiamo spesso cambiato in concerto la modalità d’esecuzione dei pezzi e variato anche il repertorio; così le persone che vengono a un concerto dei Soft Machine Legacy devono aspettarsi che le cose non siano esattamente come su disco.

Visto che parliamo di Soft Machine, ti risulta che sia rimasto ancora materiale inedito negli archivi?
Soltanto registrazioni dal vivo. La maggior parte del materiale di buona qualità è già stato pubblicato.

Puoi dirci com’è cambiato dal tuo primo album solistico 1984 a oggi il tuo approccio a loops, campionamenti e, in genere, alla tecnologia applicata alla musica?
Credo di avere ancora lo stesso tipo di approccio e di feeling verso la musica, i suoni e le atmosfere che voglio sviluppare. Naturalmente oggi, usando la tecnologia digitale , è molto più veloce e facile produrre musica in studio, rispetto a quanto non fosse negli anni Settanta.

Se per un attimo vai indietro con lo sguardo alla tua lunga carriera, quali sono i progetti o le registrazioni che consideri più riusciti?
Be’, ci sono più di cento registrazioni! Spero che ognuna di esse valga ancora qualcosa. Mi piacciono ancora i tre brani su cui ho suonato in Rock Bottom di Robert Wyatt; il mio disco Hopper Tunity Box e il recente Numero D’Vol (con Simon Picard, Charles Hayward e Steve Franklin). A volte sono entusiasta di un disco perché il prodotto finale è esattamente quello che speravo fosse quando l’ho iniziato. Altre volte, invece, è perché c’è un sacco di improvvisazione che non può essere pianificata ma che arriva come una magia, grazie all’alchimia tra i musicisti. Come avviene nei concerti dal vivo.

Come è stato recentemente suonare con Robert Wyatt nei Clear Frame e con Kevin Ayers nell’album Unfairground?
Beh, Robert ha sovrainciso la sua cornetta sulle piste che avevamo già registrato, quindi non abbiamo realmente suonato “assieme”. Con Kevin, è capitato che lavorarasse nello stesso studio in cui stavo registrando nel 2005 un album dei Soft Machine Legacy e mi ha invitato a suonare il basso in un brano.
È stato divertente: le canzoni di Kevin sono molto semplici ed è rilassante suonare le sue cose. Naturalmente, non sono mai stato pagato!
Traduzione di Antonella Capasso
per saperne di più
per un approfondimento su Hugh Hopper si consigliano i seguenti link:

www.hugh-hopper.com (sito ufficiale).

http://hhopparchive.freewebspace.com Hugh Hopper Archive Pages (discografia, cronologia concerti dal 1963 a oggi, fotografie e molto altro).

www.cloudsandclocks.net (interviste di Beppe Colli realizzate nel 2007, 2003 e 1999).

http://www.unipv.it/britishrock1966-1976/testiit/hop1it.htm (Hopper sulle tecniche compositive nei Soft Machine).

…e l’intervista realizzata da Alessandro Achilli e Paolo Chang su musiche n. 8, estate-inverno 1990.
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