Il giudizio dei mostri. Il fantastico italiano e
i suoi lettori
(prima parte) |
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Questo ricambio generazionale non
deve essere sottovalutato. Per quanto le istituzioni siano per loro natura
restie a qualsiasi scarto da un canone composto con inenarrabile lentezza e
considerato ultimamente alla stregua di qualcosa di naturale – e non un
costrutto umano frutto di condizioni sociali e di posizioni ideologiche quanto
di principi estetici – vi sono necessariamente momenti dove il cambiamento
graduale appare più rapido e più visibile. Non siamo forse ancora vicini a una
modifica globale dei parametri di giudizio al seguito di qualche rivoluzione
culturale sul modello delle rivoluzione scientifiche mappate da Kuhn, ma un
movimento generalizzato è percepibile a più livelli, e ciò fin tra gli augusti
ranghi degli “Immortali” dell’Académie Française, che facendo fatica a
trovare degni successori ai loro membri discutono seriamente di accettare tra
le loro fila registi di cinema – l’arte di massa per eccellenza. Ma ritorniamo al lavoro di Foni. Per
quanto vasto e ben documentato, esso non aspira a rivoluzionare da capo a piedi
lo studio della letteratura. Si limita a quel campo particolare, che si tendeva
a ritenere alquanto esiguo, della letteratura detta fantastica. E all’interno
di quel campo, riesce tuttavia a mostrare come l’idea generalmente accettata
del fantastico italiano come raro passatempo di autori sofisticati, non
corrisponde alla realtà delle abitudini di lettura di una popolazione che
divorava storie orrorifiche con enorme gusto e in quantità notevoli. L’analisi
delle forme e dei contenuti di queste storie porta il critico a concludere che
“Siamo ben lungi [...] da quel gioco consapevolmente intellettuale che la
critica ha invece comunemente ritenuto il processo generativo delle opere
fantastiche del primo Novecento italiano” (pag. 28). Attraverso la presentazione e la lettura di racconti offerti da un gran numero di pubblicazioni, tra le quali il
Giornale Illustrato dei Viaggi, la celeberrima Domenica del Corriere,
La Lettura, Il Romanzo Mensile, Il Secolo XX,
l’indimenticabile Per Terra e per Mare di salgariana memoria, e molte
altre ancora, Foni propone una
ricostruzione dell’“immaginario collettivo dell’Italia d’allora” (pag. 28). Tra
sogni, intrighi, amori e violenze, macabri incontri, orrore e inquietudine dei
viaggi in un mondo ancora vasto, sconosciuto e terribile, con l’aiuto di “un
gotico di seconda o terza mano” (pag. 61), il lettore italiano scopre e
riscopre emozioni non molto dissimili da quelle proposte dai pulp magazines
americani. Temi e autori circolano tra le riviste nostrane e quelle
d’oltreoceano. Ignoti precursori fanno nell’Italia umbertina commercio
d’ambientazioni e di brividi come ne elargiranno poi magistralmente Lovecraft e
i suoi epigoni. Spiritismo, metempsicosi, teosofia, scienze dell’occulto
sincere o contraffatte forniscono spunti e trame per audaci puntate in mondi
sconosciuti, narrate da schiere di autori il cui nome è andato perduto nel
vortice della letteratura industriale, che risparmia solo ben pochi. Dalle
giungle dei paesi tropicali abitate da inquietanti selvaggi, al circo che
trasporta l’esotico nelle periferie delle città e fin nelle campagne, dallo
spettacolo orribile e attraente delle esecuzioni capitali alla sua messa in
scena nelle baracche delle fiere, dai musei delle cere – novelli cimiteri
all’aperto – ai sideshow dimora di storpi, sciancati e mostriciattoli di
vario genere, e fino al cinema, grande ricettacolo di tutto ciò che è venuto
prima e matrice di ciò verrà poi, il
fantastico regna indisturbato. Se non si dovesse dunque riconoscere
altro merito all’accurata ricerca di Foni, sarebbe senza dubbio quello di
mostrare – esaurientemente e con prove tangibilissime – come l’idea
generalmente accetta del fantastico italiano sia in realtà limitativa,
costruita sulla base di una scrematura tale della produzione letteraria
dell’epoca da far passare una serie minuscola di opere destinate a circoli
ristretti, come unici esempi importanti del genere, allorché appunto dal genere
stesso si distanziano, per lo più ironicamente. Vorrei prendere spunto da queste
osservazioni, per proporre alcune riflessioni sulla natura del fantastico, e
soprattutto sui suoi usi e i suoi consumi, partendo dalla premessa che la
critica, per essere utile, deve essere “rispondenza, antifona [...],
prosecuzione [dell’opera], pertanto crescita del testo originario.” Per far ciò, sperando che mi si perdoni
l’anacronismo apparente, mi baserò su alcuni giudizi di uno degli oppositori
più intransigenti della cultura di massa, Elémire Zolla, autore della citazione
precedente[2].
Difficile infatti non riconoscere nei termini scelti da Zolla per definire
alcune tra le pecche più visibili dell’industria culturale i caratteri stessi
di buona parte dei racconti fantastici di grande consumo identificati da Foni.
“L’industria culturale [...] anchilosata e spettrale” (Zolla, pag. 13), dove
“tutte le malattie hanno il loro banco di smercio” (Zolla, pag. 11) è in
effetti ben vicina a quelle narrazioni la cui “palese finalità [...]è
soprattutto quella di suscitare meraviglia, paura, sconcerto” (Foni, pag. 28),
e che in ciò giocano deliberatamente sull’attrazione del malsano, sul fascino
del morboso, sulle pulsioni inammissibili che circolano appena sotto la pelle e
si manifestano con l’ipocrita copertura della curiosità per l’esotico, del
desiderio di conoscenza “scientifica”, dell’esame clinico, obiettivo e
distante, come quello promesso dai baracconi delle fiere così sovente usati
come ambientazione del fantastico di massa ritrovato da Foni nel suo lungo
vagabondare tra le pagine dei giornali dei nostri nonni e bisnonni. Mistero,
certo, ma imbellettato, artificioso, del genere che richiede una dose non
indifferente di suspension of disbelief perchè il lettore si lasci irretire.
Un’analogia offerta da Foni illustra meglio di qualunque altra il lato al
contempo unico e stereotipato delle emozioni violente che si susseguono con
candenza irresistibile sulle pagine della riviste di una volta. Il patibolo è un palco che
ogni volta offre una rappresentazione unica e irripetibile: le
esecuzioni si susseguono, ma i soggetti, per forza di cose, sono diversi. Né
più né meno che al Grand Guignol: numerose esecuzioni per soggetti
che variano – a volte nemmeno troppo, proprio come i tipi umani. E
questa forma di iterazione è straordinariamente affine a quel desiderio di
serialità che alimenta i prodotti dell’industria culturale. (Foni, pag. 250)
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