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Musei ed emozioni, un interazione possibile | |
di Paolo Rosa | |
L’arte che sperimenta davvero tende sempre più ad estendersi fuori dai luoghi canonici e specialistici, cercando un’apertura verso le persone e il territorio. E i musei “contemporanei”, quando sarà superata la retorica e l’economia del “sacro presente”, diventeranno sempre più simili a grandi laboratori e luoghi di relazione, vere e proprie “stazioni creative”. Oltre essere un auspicio questo scenario che si sta prefigurando già come un passaggio epocale. Inevitabile e necessario. Cambiamento radicale che coinvolge anche quei depositi di memoria storica e artistica che siamo abituati a percepire come istituzioni massicce e polverose, magazzini di lusso (dati i costi elevati di gestione che procurano alla comunità) e depositi di un passato che nella sua immobilità ci sembra sempre più lontano dalla nostra vita quotidiana. Vale a dire i Musei, storici, artistici e tematici.
L’oscillazione tra queste due polarità diviene la chiave per riconnettere ciascuno di questi due ambiti alla vita. In questo processo, lento ma, a mio avviso inesorabile, due componenti divengono essenziali per ipotizzare un efficace cambiamento del sistema museale: territorio e tecnologia. Territorio è l’elemento che spinge a valorizzare i dati culturalmente significativi, patrimonio di una comunità. È il luogo dove si deposita una storia generale, o più storie in particolare che interagiscono con la vita effettiva e il presente di quel territorio, formulando una sintesi di relazioni possibili tra passato e divenire. Territorio è anche la valorizzazione delle unicità in grado di dialogare alla pari con le dinamiche complesse della globalità. Relazionarsi al territorio vuole dire garantire cura del luogo, dargli vita, farlo “respirare”, per usare una metafora che ha guidato la nostra progettazione in questo campo. È confronto e partecipazione che costringono a calarsi, con la dovuta umiltà, nel tessuto sociale. Occuparsi di un territorio significa vitalizzare e conservare la sua cultura, ma anche generare un’etica del luogo stesso, un’etica del bene pubblico che faccia ritrovare amore, cura e rispetto al di là del legalismo delle regole e dei divieti. Abbiamo bisogno di “ridare aria ai polmoni collassati dello spirito, di ritrovare linguaggi più sottili, capaci di metterci in contatto con la potenza e la profondità contenuta nei nostri territori, ma anche in grado di restituirci energia e motivazioni, di ricomporre l’intero del mondo…” (Lidia Decandia). Abbiamo bisogno, inoltre, di “luoghi” dove ridare forma ad una ritualità dello stare insieme con queste finalità di cultura e di territorio. Musei, o come vogliamo chiamarli, alternative alle esasperate modalità di uno stadio di calcio, di un centro commerciale o una multisala. Ma anche integrativi alle mirabolanti, ma spesso solipsistiche, opportunità che ci offre la realtà virtuale nella forma della Rete. Tecnologia è una sfida inevitabile, ma soprattutto anch’essa una straordinaria opportunità. Si manifesta nel linguaggio multimediale che dà vita al racconto in modo cinetico, fluido e coinvolgente, ma soprattutto è la lingua con cui comunichiamo oggi, che sta dentro i nostri immaginari e si traduce in nuovi comportamenti. È il frutto inevitabile della mediatizzazione che stiamo subendo da anni, ma che ci permette potenzialmente di riconnettersi ad un sentire comune, un tramite per dialogare tra diversi e lontani come non avveniva da secoli. Una lingua che richiama come analogia la cultura dell’oralità su cui era poggiato il pensiero discorsivo e le sue caratteristiche: indeterminazione, ripetibilità, immediatezza, simultaneità, frammentazione e connettività.
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