Girovagando tra i mondi di Verne e Farmer |
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di Gennaro Fucile |
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Cento anni
separano il Giro del mondo in ottanta giorni da Il diario segreto di Phileas
Fogg. Il tempo occorso alla fantascienza per dissolversi nel reale. Ai tempi del
romanzo di Verne (1873) sorgevano lo stupore e il timore suscitato dalle
meraviglie della scienza e della tecnica; nel 1973, anno di pubblicazione del
romanzo di Philip J. Farmer, lo stupore si era ormai smarrito in una folla di
innumerevoli gadget e intrattenimenti di uso quotidiano e i timori si erano già
incarnati nei lager e in Hiroshima, con singolari incroci nella cronaca dal Viet
Nam, all’allunaggio e milioni di spot serviti in tivù uno di seguito
all’altro. Tutto ciò, però, non rende oggi meno piacevole ed interessante la
lettura del Tour e del suo doppio farmeriano, offrendo entrambi una riflessione
sull’evoluzione del genere e sulle mutazioni che hanno modificato il genere
letterario chiamato fantascienza. L’operazione squisitamente letteraria di Farmer è, in questa chiave, l’aspetto meno interessante. Oltretutto, non siamo certo di fronte al lavoro più riuscito dello scrittore dell’Indiana, meno mirabolante e visionario di altre occasioni. Questo romanzo è un semplice omaggio, che prende spunto da una battuta iniziale di Verne sul protagonista del suo romanzo: “Fogg era un enigma”. Farmer decide di risolverlo a modo suo, imbastendo un retroscena popolato da due razze aliene in lotta tra di loro, provenienti da Eridano A. e Capella. La ricostruzione procede in modo classico, adoperando il trucco del manoscritto, incompleto, che colma le lacune, i non detti e gli accenni del romanzo originale. Meticoloso, preciso, scrupoloso alla Verne, Farmer segue metro per metro il viaggio di Fogg e soci infilandoci anche Nemo, agente di Capella e avversario numero uno di Fogg, un eridiano al 100%. La storia, è indubbio, si presta benissimo al gioco, come chiarisce subito Farmer in un breve prologo al romanzo: “Consideriamo certi accenni di Verne che riguardano Phileas Fogg. Che era in grado di vivere mille anni senza invecchiare. Che la sua ammissione al riservatissimo Reform Club era un mistero… Nessuno sapeva da dove venissero Fogg e il suo patrimonio… Fogg, a quanto pareva, era un uomo di abitudini rigorosissimamente metodiche. I vicini non solo potevano regolare l’orologio sull’ora del suo passaggio, ma dovevano chiedersi se era davvero un uomo e non un congegno meccanico di leve e ingranaggi… E aveva viaggiato quell’uomo che limitava le proprie attività ad una zona ristrettissima di Londra? Dava l’impressione di conoscere ogni parte del mondo, fino ai luoghi più lontani…”. Da qui parte il “completamento’ della storia operato da Farmer e fin qui siamo dentro il citazionismo, il suo approccio prediletto alla letteratura. Nel doppio romanzo, però, si può leggere altro. Intanto, che cosa anticipava del futuro il Tour? Non ci sono sommergibili, razzi sparati sulla Luna o viaggi nel tempo sottoterra. Dunque? Tra Verne e Farmer c’è di mezzo il turismo di massa, conseguenza dell’invenzione del tempo libero da consumare. Non è tutto. Il turismo di massa nasce nel segno dell’exotica, della refigurazione di paesaggi naturali, a partire dagli atolli del Pacifico, gli stessi che, negli anni Cinquanta, ospitano in contemporanea i test nucleari. Nasce insieme alle macchine fotografiche a basso costo e gli impianti stereo da cui ascoltare le immaginazioni musicali di autori come Les Baxter, Martin Denny e Arthur Lyman campioni del genere. Rivisita in chiave leggera, l’oscuro che si celava dietro King Kong e Tarzan. Si sviluppa nell’immaginario di massa, grazie ai giri del mondo dell’agente segreto con Licenza di uccidere, James Bond, il cocktail di 007 e Martini che impazza nei Sixties. Poi il turismo si affina, diventa intelligente, come le armi stellari e nessuno come Farmer ha inscenato meglio questo passaggio, eseguendo nelle sue storie un turismo culturale disinvolto, spensierato, senza badare a congruenze, abolendo confini, sbriciolando le differenze. Nei suoi romanzi la letteratura è il mondo. Un mondo che dispone di un cartografo spregiudicato, che in/scrive nelle sue storie Dostoevskij, Mark Twain, un marinaio dell’equipaggio della Pequod (la nave che insegue Moby Dick), il Burton delle Mille e una notte, Tarzan, King Kong, Doc Savage, l’altro Burroughs, William, ecc. Non è tutto. Tra Farmer e noi, oggi c’è di nuovo Verne, con una straordinaria anticipazione, che ha richiesto l’avvento del digitale, l’era del tempo ininterrotto, la nascita e l’affermazione del consumerismo, l’impossibilità di espandere i consumi e i margini di profitto all’infinito. Tutto
questo ha richiesto alle merci di essere sempre rintracciabili in ogni momento
del loro percorso, dall’impianto di produzione al passaggio alle casse del
supermercato, del negozio specializzato o di qualsiasi altro punto di vendita.
L’invenzione, o meglio l’applicazione tecnologica si chiama Rfid, Radio
Frequency Identification, ovvero identificazione in radiofrequenza e (questione
di tempo, anzi di costi) sostituirà il codice a barre che segna oggi tutti i
prodotti di largo consumo. A chiederne per primo l’adozione è stato Wal-Mart,
il leader globale del retail, un’aziendina da oltre 250 milioni di dollari di
fatturato. Ne ha imposto l’impiego ai suoi fornitori, soprattutto i grandi,
industrie multinazionali come Procter&Gamble, Unilever, Henkel, Kraft, Nestlé,
Danone e Coca-Cola. L’Rfid richiede tre componenti base, un’antenna, un
trasmettitore e un chip detto transponder in grado di trasmettere e/o ricevere
informazioni in radiofrequenza, inserito all’interno di una smart tag, ovvero
un’etichetta intelligente, disponibile in varie forme e dimensioni.
L’antenna emette un segnale radio per attivare la tag, che restituisce il
proprio codice identificativo e/o le altre eventuali informazioni contenute. Le
antenne fungono da tramite tra le tag e i trasmettitori, i quali controllano
l’acquisizione e la comunicazione dei dati da parte del sistema.
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