Persecutori e perseguitati
ai tempi dell’Impero romano

Wolfram Kinzig
La persecuzione dei primi cristiani
Traduzione di Marco Cupellaro
revisione redazionale
di Giambattista Cairo

Il Mulino, Bologna, 2021
pp. 152, € 14,00

Wolfram Kinzig
La persecuzione dei primi cristiani
Traduzione di Marco Cupellaro
revisione redazionale
di Giambattista Cairo

Il Mulino, Bologna, 2021
pp. 152, € 14,00


Nato nell’alveo dell’ebraismo, il cristianesimo si definisce sin dagli esordi quale religione destabilizzante il potere centrale. Di fatto all’inizio le azioni repressive sorsero all’interno del giudaismo stesso: quale “Vero Israele” il cristianesimo era in diretta competizione con il potere esercitato dal Sinedrio e poi dalle Sinagoghe della diaspora: quindi il conflitto messo in atto dagli oppositori ebrei era teso a convincere le autorità romane dell’illiceità della religione cristiana.
I primi secoli dell’era cristiana sono segnati infatti da grandissimi contrasti tra le diverse comunità e chiese locali, in un policentrismo teologico e politico che vedeva vescovi e autorità imperiali in continua tensione, accompagnata da persecuzioni, tumulti popolari e interventi di “repressione teologica”. In linea di principio i cristiani erano pronti a inserirsi nelle esistenti strutture del mondo e dello Stato romano; pregavano per il potere costituito, pagavano le tasse e rispettavano le leggi dello Stato, ma esistevano dei limiti: si doveva obbedire più a Dio che agli uomini. Una lealtà attuata con senso critico determinava quindi un’alterazione del rapporto con lo Stato romano e la distanza che essi stessi s’imponevano regolava il loro atteggiamento nei confronti del mondo che li circondava.
Cosa la gente comune pensasse dei cristiani non si può ricostruire con precisione. Come piccola minoranza religiosa con propri costumi, consapevole e ripiena di stimolo missionario, essi dovevano essere visti con diffidenza da chi li circondava ed erano percepiti come elemento perturbante, se non proprio di pericolo.
La loro religione appariva come una superstizione detestabile e dannosa. La presunta empietà suscitava il sospetto di slealtà politica e d’inaffidabilità per l’impero. Poiché non partecipavano alla vita pubblica, si rinfacciava loro di nutrire “odio per il genere umano”; di qui originavano ulteriori insinuazioni: si diceva che essi erano dei malfattori, gentaglia inutile, amante delle tenebre; un’associazione immorale e disonesta che praticava il cannibalismo e l’incesto. Il loro manifesto disprezzo degli dèi poté quindi essere ritenuto come la causa di tutte le sciagure private e pubbliche.

Ultime preghiere dei martiri cristiani (1875-1885) di Jean-Léon Gérome.

Delle persecuzioni subite nei primi secoli dalle native comunità cristiane il libro di Wolfram Kinzig offre un quadro pressoché esaustivo. In termini generali la periodizzazione delle persecuzioni da parte del potere politico romano è suddivisa in due epoche: fino all’imperatore Decio (249-251) ci furono soltanto persecuzioni sporadiche, localmente limitate, di singoli cristiani; mentre dall’imperatore Decio fino al 311 l’azione fu rivolta contro tutta la Chiesa con lo scopo del suo annientamento.
Nella seconda epoca la persecuzione fu basata su editti imperiali; nella prima il motivo giuridico non era univoco e continua ad essere ancora discusso. Il modo di agire di Nerone contro i cristiani di Roma nell’anno 64 è entrato nella storia come prima persecuzione dei cristiani da parte dei romani. Se il fatto in quanto tale è indiscutibile, ne rimane controversa la spiegazione giuridica. Con Nerone inizia la criminalizzazione ufficiale del cristianesimo.

Il cosiddetto Rescritto di Traiano
Un evento centrale nella prima persecuzione contro i cristiani è la nota risposta dell’imperatore Traiano, o della sua cancelleria, alla lettera di Plinio il Giovane, il cosiddetto Rescritto di Traiano. Quale governatore della Bitinia, Plinio si trovò alle prese con processi intentati contro cristiani. Egli comunicò all’imperatore Traiano le sue perplessità e l’informò sul suo comportamento (Plinio il Giovane, 2005). Venivano intentati processi contro i cristiani nell’Impero romano, ma senza fondamenti giuridici e modi di procedere univoci e chiari. Plinio rivolse quindi a Traiano una serie di domande: la professione di fede cristiana è un sufficiente titolo di reato? Sono da punire soltanto i delitti inerenti a questa professione? Si deve tener conto dell’età degli accusati? Sono da giudicare anche i cristiani apostati?
Plinio trovava nei cristiani soltanto una “stramba e smodata superstizione” e voleva procedere su questa base. L’imperatore non entrò nel merito di tutte le questioni proposte, e rispose: il titolo sufficiente di reato è il nomen christianum; i delitti imputati non hanno alcuna importanza. L’autorità non deve mettersi alla ricerca dei cristiani, ma agire solo dietro denuncia; le denunce anonime non potevano essere accettate. Chi nega di essere cristiano non è passibile di pena, ma deve darne la prova “supplicando i nostri dèi”. Secondo il Rescritto, proprio il nomen christianum costituisce l’unico fondamento per l’esecuzione capitale. Ma non vi è alcuna prova che Traiano abbia introdotto qualcosa di nuovo. Che professione cristiana e lealtà verso lo Stato romano si escludessero a vicenda era evidentemente un’opinione comune che non veniva messa in discussione né aveva bisogno di una particolare giustificazione.

Pertubatori della quiete
Sotto Marco Aurelio (161-180) crebbe il numero delle persecuzioni, con limiti locali. L’imperatore filosofo non aveva alcuna simpatia per i cristiani. Il suo maestro Frontone era noto come avversario letterario del cristianesimo. Celso pubblicò sotto Marco Aurelio il suo scritto anticristiano. L’aggravarsi del pericolo per i cristiani si rispecchia negli scritti contemporanei degli apologeti. Ma questo pericolo non può spiegarsi con una diretta azione ostile contro i cristiani da parte dell’imperatore. L’incerta situazione dell’impero (carestia, peste, minacce ai confini) faceva reagire in maniera allarmata la popolazione contro i “perturbatori della quiete”. Ambiguo invece fu l’atteggiamento verso i cristiani al tempo dei Severi. Il regno di Settimio Severo (193-211) introdusse una nuova era: sotto l’influsso della sua sposa Giulia Domna, figlia del sommo sacerdote del dio Baal di Emesa, della sua sorella Giulia Mesa e della figlia di costei Giulia Mamea, si affermò pubblicamente a Roma un sincretismo religioso che rese la corte imperiale un punto di ritrovo di variegate individualità filosofico-religiose. Ciò non toglie che in specifiche province dell’impero le persecuzioni contro i cristiani continuarono. La presunta tolleranza inaugurata dall’epoca dei Severi mutò nei successori a sfavore dei cristiani. Nella prima metà del III sec. la situazione fu per la prima volta favorevole ai cristiani.

The Christian Dirce (1897) di Henryk Siemiradzki.

La diffusione e l’organizzazione della Chiesa poterono allora essere portate avanti in maniera significativa, ma le condizioni continuarono ad essere instabili. In questo, come già nel II sec., fu determinante non tanto la posizione dell’imperatore nei confronti del cristianesimo, quanto invece l’atteggiamento del popolo e il comportamento dei funzionari delle province, che potevano essere del tutto contrari a una condotta tollerante o indifferente dell’imperatore e agire di conseguenza nel loro territorio. La svolta in senso totalmente negativo fu segnata dall’imperatore Decio. Egli proveniva dalla Pannonia ed aveva nelle truppe pannoniche, che non avevano alcun rapporto con il cristianesimo, la sua forza principale. La venerazione degli antichi dèi, che aveva garantito per così lungo tempo la prosperità dello Stato romano, nella formulazione dell’imperatore doveva essere completamente restaurata ed assicurata. In luogo dell’idea cosmopolitico-umanistica di cittadinanza e della nuova religiosità (neoplatonismo e cristianesimo), che si traduceva nell’alienarsi dal mondo e nel preoccuparsi per l’anima, doveva nuovamente farsi strada un’etica patriottica legata alle tradizionali virtù romane.

Costrizione indiretta all’apostasia
Nel febbraio 250 Decio intimò con un editto a tutti gli abitanti dell’Impero una supplica accompagnata da un’offerta sacrificale (un sacrificio con incenso e vino) davanti agli dèi del popolo romano. Con quest’atto si doveva riconoscere agli dèi il diritto che era loro dovuto. Con l’atto sacrificale ogni suddito dell’Impero doveva dimostrare la propria preoccupazione per la salus publica e la sua fedeltà all’imperatore. In tali circostanze, l’azione doveva necessariamente tradursi in un massiccio attacco alla Chiesa cristiana. Anche se i cristiani non venivano costretti direttamente all’apostasia, l’esecuzione dell’atto sacrificale comportava il rinnegamento della loro fede. In caso di rifiuto del sacrificio, si lasciava chiaramente alle autorità locali ogni decisione circa il tipo di provvedimento punitivo: prigionia, tortura, sequestro dei beni, esilio e morte. Tutta una schiera di cristiani rimase certamente salda nella propria fede e morì nelle prigioni o in conseguenza delle torture subite.

Le persecuzioni contro i cristiani nell’immaginario Hollywoodiano: frame da Quo Vadis? (2001) di Jerzy Kawalerowicz.

L’imperatore Valeriano (253-260), che conosceva perfettamente la politica di Decio, mostrò inizialmente di non avere alcun interesse a proseguirla, ma nel quarto anno del suo regno cambiò atteggiamento. Dopo aver pacificato militarmente i confini, si rivolse al nemico presente all’interno dell’Impero. I provvedimenti contro i cristiani trovarono quindi la loro motivazione in due editti. Il primo (agosto 257) che imponeva al clero la supplicatio davanti agli dèi romani. Venivano proibite le riunioni cristiane e la visita dei cimiteri. Il rifiuto di sacrificare veniva punito con l’esilio. Il secondo editto (estate 258) mutava la punizione dell’esilio nell’immediata esecuzione capitale ed estendeva l’obbligo del sacrificio ai senatori, agli alti funzionari e ai cavalieri cristiani. I laici di ceto aristocratico dovevano perdere rango, uffici, beni patrimoniali e, in caso d’irremovibilità del loro rifiuto, erano condannati a morte. Il figlio e successore di Valeriano, Gallieno (260-268), non proseguì la politica ostile ai cristiani che era stata messa in atto da suo padre. Egli restituì i luoghi di culto e i cimiteri sequestrati ed abolì tutte le misure restrittive. Per la prima volta, così, si stabiliva in un editto imperiale un rapporto tra libertà e culto cristiano. Non per questo il cristianesimo diventava ufficialmente una religio licita, ma veniva tollerato come raggruppamento religioso specifico.

Una stagione di coesistenza pacifica
La coesistenza pacifica tra Impero e Chiesa proseguì sotto l’imperatore Aureliano (270-275). Egli adorava il “Sole invitto” (Sol invictus) e intendeva unificare religiosamente l’Impero sotto il suo culto. Questa intenzione avrebbe però condotto a una nuova controversia con il cristianesimo per un periodo piuttosto lungo del suo regno. La crisi tra Impero e cristianesimo toccò il suo picco con Diocleziano (284-305), il suo programma di governo fu caratterizzato da una riforma politica di tipo conservatore e da una restaurazione religiosa. Il suo scopo fu quello di regolare tutto secondo le antiche leggi e l’ordinamento pubblico dei Romani, la fedeltà al costume tradizionale (mos maiorum), agli “dèi immortali”, e la speranza di un costante “favore degli dèi” erano difficilmente conciliabili con la tolleranza verso chi rifiutava notoriamente questi valori.

Monete raffiguranti i vari imperatori molti del quali decisivi nel determinare le sorti del cristianesimo.

Dalla sua religiosità ispirata all’antica Roma, caratterizzata da una certa pretesa d’esclusività, scaturì l’intenzione di riunire tutti i sudditi dell’Impero sotto gli antichi culti. Ma, di fronte alla resistenza opposta dai cristiani, egli poteva raggiungere il suo scopo soltanto attraverso la loro completa eliminazione. Dopo la vittoria contro i Persiani ebbero inizio nel 298 i provvedimenti contro i cristiani. Innanzitutto essi furono allontanati dall’esercito, un procedimento che poté essere causato dall’atteggiamento provocatorio di soldati e ufficiali cristiani. Il 23 febbraio 303 Diocleziano emanò un primo editto: si dovevano distruggere le chiese dei cristiani, proibire le loro riunioni e bruciare i testi sacri. I cristiani venivano privati dei loro uffici, dei loro titoli e della loro capacità giuridica. Il provvedimento ebbe immediata efficacia; non fu legato a un ordine di compiere un sacrificio e perseguì un chiaro obiettivo: l’annientamento del cristianesimo.
Nell’estate del 303 seguirono il secondo e terzo editto: il clero venne arrestato e costretto a sacrificare. In un quarto editto, emanato nella primavera del 304, Diocleziano dispose che tutta la popolazione dell’Impero dovesse offrire un sacrificio. Attraverso il sacrificio i cristiani dovevano essere costretti all’apostasia dalla loro fede. In caso di resistenza venivano torturati e, qualora avessero persistito nel rifiuto, venivano puniti con la morte. L’ultimo editto ebbe attuazione nelle singole parti dell’Impero con vario esito. I testimoni cristiani rilevarono che nella parte occidentale dell’Impero, governata da Costanzo Cloro, i provvedimenti di persecuzione vennero applicati solo a malincuore. Sotto l’impressione della svolta attuata da Costantino, figlio di Costanzo, è possibile che se ne sia trasfigurata la prospettiva.

Catacomba di Priscilla (Roma).

La durezza di Diocleziano, che risultava contraria alla tradizionale tolleranza romana, non riscosse un consenso unanime neppure presso i non cristiani. Il numero delle vittime fu considerevole, specialmente nei territori degli antichi nuclei cristiani d’Oriente. A tale picco di crudeltà fece seguito l’editto dell’imperatore Galerio (305-311) che pose fine alla persecuzione il 30 aprile del 311. Con il suo editto di tolleranza, che venne pubblicato nel nome dei suoi soci Licinio, Costantino e anche Massimino Daia, egli ammise il fallimento della politica religiosa imperiale. L’imperatore tolse quindi i cristiani dalla loro condizione d’illegittimità e concesse loro il libero esercizio della propria religione.
Osservando lo sviluppo della persecuzione al verbo cristiano possiamo quindi notare come già sin dalle prime tappe sia latente la licenza per lo sterminio generalizzato: si scivola impercettibilmente dal primo al secondo o dal secondo al terzo grado della persecuzione, senza che sia chiaro quando sia iniziato tale mutamento o chi l’abbia ordinato.  Anche coloro i quali volevano cioè vivere nella condizione escatologica del vangelo della pace, al fondo, erano debitori, per la loro stessa sopravvivenza, della violenza di coloro che la impiegavano per far fronte alle minacce che giungevano dall’interno e dall’esterno del corpo sociale. L’indifferenza a “questo mondo” era sostenibile?
Quando il cristianesimo divenne prima religio licita e poi addirittura, alla fine del IV secolo, religione ufficiale, i termini del problema effettivamente cambiarono. La funzione della “religione antica” fu assunta nuovamente dal cristianesimo e tutte le pedine tornarono al loro posto sulla scacchiera. E questo già nell’esperienza del sacro per eccellenza, nel culto. A partire dal IV secolo il cristianesimo si sostituì infatti in tutto, ma specialmente nella funzione liturgica, alla vecchia religione pagana. Quando l’ultimo sacerdote del culto imperiale morì e gli ultimi giochi furono messi in scena nel circo locale, fu la Chiesa a continuare la funzione di supporto dell’idea imperiale.

Letture
  • Ammiano Marcellino, Le storie, a cura di Antonio Selem, Utet, Torino, 1993.
  • Pier Franco Beatrice (a cura di), L’intolleranza cristiana nei confronti dei pagani, EDB, Bologna, 1993.
  • Celso, Contro i cristiani. Il discorso della verità, a cura di Salvatore Rizzo, BUR, Milano, 2010.
  • Jean Daniélou, La teologia del giudeo-cristianesimo, EDB, Bologna, 2016.
  • Karl Kerényi, Religione antica, Adelphi, Milano, 2001.
  • Giulio Malaguti, Martirio di pace. Memoria e storia del martirio, Il Mulino, Bologna, 2004.
  • Marco Aurelio, Scritti, a cura di Guido Cortassa, Utet, Torino, 1984.
  • Arthur Darby Nock,  La conversione. Culti esoterici e cristianesimo nel mondo antico, Ghibli, Milano 2019.
  • Plinio il Giovane, Carteggio con Traiano: libro 10. Panegirico a Traiano, BUR, Milano, 2005.
  • Porfirio, Contro i cristiani. Nella raccolta di Adolf von Harnack con tutti i nuovi frammenti in appendice, a cura di Giuseppe Muscolino, Bompiani, Milano, 2009.
  • Marta Sordi, I cristiani e l’impero romano, Jaca Book, Milano, 2020.
  • Tacito, Annali, traduzione di Bianca Ceva, BUR, Milano, 1993.