Smodata, vibrante, urlante:
l’ultima rivoluzione fu punk

Viv Albertine
Vestiti Musica Ragazzi
Traduzione di Paola De Angelis

Blackie Edizioni, Milano, 2023
pp. 480, € 23,90

Paul Marko
The Roxy London WC2
Traduzione di Glezos

Red Star Press, Roma, 2023
pp. 563, € 34,00

Danny Boyle
Pistol (6 episodi)
Interpreti principali:
Toby Wallace, Anson Boon
Jacob Slater, Christian Lees,
Louis Partridge, Sydney Chandler,
Emma Appleton, Maisie Williams,
Thomas Brodie-Sangster, Talulah Riley
FX Networks, USA, 2022

Autori vari
Cease & Resist
Sonic Subversion & Anarcho Punk
in The UK 1979-1986
Optimo Music, 2023

Viv Albertine
Vestiti Musica Ragazzi
Traduzione di Paola De Angelis

Blackie Edizioni, Milano, 2023
pp. 480, € 23,90

Paul Marko
The Roxy London WC2
Traduzione di Glezos

Red Star Press, Roma, 2023
pp. 563, € 34,00

Danny Boyle
Pistol (6 episodi)
Interpreti principali:
Toby Wallace, Anson Boon
Jacob Slater, Christian Lees,
Louis Partridge, Sydney Chandler,
Emma Appleton, Maisie Williams,
Thomas Brodie-Sangster, Talulah Riley
FX Networks, USA, 2022

Autori vari
Cease & Resist
Sonic Subversion & Anarcho Punk
in The UK 1979-1986
Optimo Music, 2023


Nonostante le numerose testimonianze emerse in questi ultimi vent’anni su ciò che ha significato l’esplosione del punk in Inghilterra e nel mondo occidentale, ancora è possibile scoprire e affrontare sotto diverse angolazioni le dinamiche e le implicazioni sociali e culturali di quella che è stata sotto molti aspetti l’ultima rivoluzione musicale e di costume autenticamente di massa. Già lo splendido libro del critico musicale inglese Jon Savage, Il sogno inglese. I Sex Pistols e il punk rock, edito da Shake Edizioni nel 2022 (ma uscito in Inghilterra nel 1991), aveva sviscerato in modo approfondito le vicende storiche e le diverse connessioni portate avanti dall’esplosione quasi inaspettata del punk, al quale si erano affiancate le varie autobiografie dei protagonisti, le storie dei gruppi musicali o le numerose testimonianze dei personaggi coinvolti. Ma il 2023 ha riportato alla ribalta l’argomento consentendo nuove riflessioni grazie a due libri e un album antologico che, insieme ad una serie televisiva uscita sul finire del 2022, hanno gettato una nuova luce sul punk.

“Non aspiravo a diventare musicista: all’epoca non c’erano pari opportunità, era inconcepibile che una ragazza invadesse quel territorio esclusivamente maschile ed entrasse a far parte di un gruppo”
(Albertine, 2023).

Queste parole di Viv Albertine, storica chitarrista del gruppo punk The Slits, sono una delle chiavi di lettura della sua splendida autobiografia Vestiti Musica Ragazzi. Una chiave di lettura importante che attraversa l’intero libro e si sovrappone alle vicende personali e musicali che scorrono fluide all’interno del libro. È uno sguardo al femminile su un mondo, quello della musica rock ma non solo, quasi completamente al maschile e che riserva alle donne soltanto qualche comparsa perlopiù nel ruolo di cantanti. Ma il punk, tra le tante cose, è stato anche questo: per la prima volta le donne musiciste emergono in un ruolo importante e, nel caso delle Slits, addirittura nella formazione e affermazione di un gruppo tutto al femminile. Il libro della Albertine getta una luce significativa sulle difficoltà, per un’adolescente a fine anni Sessanta/inizi Settanta, di trovare modelli imitativi all’interno dell’immaginario adolescenziale, così ricco, per quanto riguarda i ragazzi, di figure di spicco in grado di attivare i sogni di emulazione e identificazione di una gran parte della gioventù maschile inglese del secondo dopoguerra.
L’autobiografia della chitarrista delle Slits delinea un quadro ampio delle vicende che portarono alla nascita dell’ultima vera e propria rivoluzione in ambito rock, eccettuato forse per l’esplosione del grunge di inizi anni Novanta, peraltro una musica e un movimento che si riallaccia fortemente al punk. Un quadro complesso certo, ma nel quale possiamo trarre dei fili conduttori che ci permettono di indagare le motivazioni nonché il contesto storico, politico, sociale e culturale della Gran Bretagna degli anni Settanta. Complice anche l’interessante libro di Paul Marko, The Roxy London WC2, cronaca ben dettagliata dei concerti e delle serate di uno dei locali simbolo del punk, il Roxy per l’appunto, e della fortunata serie sui Sex Pistols, Pistol diretta da Danny Boyle, andata in onda su Disney+ e che, anche se in modo pittoresco, ripercorre le vicende del gruppo certamente più famoso della scena. Serie che si basa su un’altra illuminante autobiografia, Lonely Boy, del chitarrista della band, Steve Jones, uscita in Italia nel 2022. Non deve stupire questa mole di uscite editoriali e no, perché molto della musica, in ambito rock ovviamente, che abbiamo ascoltato nel corso dei decenni seguenti ai Settanta (e in piccola parte ancora oggi), è frutto di quell’esplosione creativa che nel giro di poco più di un anno trasforma completamente la musica e il panorama rock. Partiamo sicuramente dal contesto socio economico nel quale avvengono le vicende.

La Gran Bretagna degli anni Settanta è un paese che vive uno stato di crisi profondo (il malato d’Europa si diceva): alto tasso di disoccupazione giovanile, crollo definitivo dell’idea di Impero dopo la breve illusione vissuta negli anni Sessanta grazie anche alla musica rock, la cosiddetta British Invasion, il sistema del welfare un tempo così apprezzato anche al di fuori del paese in decadenza e prossimo all’implosione, inflazione e stagnazione economica, ancora una coltre di conservatorismo appena scalfito dalla rivoluzione dei costumi avvenuta nel decennio precedente, discriminazioni razziali e aggravamento delle tensioni in Irlanda del Nord.  Il “No Future” urlato dai Sex Pistols è chiaro segnale della situazione vissuta dalla gioventù inglese di quegli anni: una mancanza di prospettive che innescherà fenomeni di ribellione solo in piccola parte intercettati dalla politica ma che troverà il suo canale di espressione proprio attraverso modelli culturali e sociali, dei quali la musica e la moda ne sono le punte di diamante. Proprio la moda, per certi versi sorprendentemente, è uno di quei fili conduttori che illuminano e tratteggiano con inaspettata chiarezza le dinamiche della rivoluzione punk. Non è certamente un caso che proprio in Gran Bretagna, a partire dalle riflessioni di Antonio Gramsci, si siano sviluppati i Cultural Studies, un campo di studi interdisciplinari che indaga le dinamiche e i significati delle subculture giovanili caratterizzate da stili di vita, usanze e costumi distintivi, assai sviluppate in Inghilterra a partire dagli anni Cinquanta, come testimoniano questi testimoni oculari:

“Una delle cose più terrificanti che faccio è il pellegrinaggio lungo King’s Road per arrivare al negozio (Sex, ma tutti lo chiamano Il Negozio), il posto dove mi piace comprare le cose: significa passare sotto le forche caudine dei teddy boy che vogliono uccidere quelli come me. Niente mi impedisce di vestirmi come voglio, la mia è una missione […] I vestiti di Sex sono così cari che la maggior parte di noi possiede solo una o due cose, una maglietta o un paio di scarpe, e indossiamo quei tesori preziosi tutto il tempo. Vestirsi dalla testa ai piedi con dei capi nuovi di zecca di Sex è ridicolo. Bisogna stare molto attenti a che cosa si sceglie perché definisce la tua personalità. Il fatto di aver comprato una cosa da Sex non significa aver preso quella giusta. All’interno di quella scelta molto limitata esiste un margine ancora più ristretto. Tutti noi diamo importanza allo stile, siamo tutti uniti su quel fronte, anche se abbiamo gusti differenti (io e Siouxsie compriamo cose molto diverse da Sex). Il nostro look è estremamente importante e all’interno di quella scena ristretta ogni sfumatura viene rigorosamente osservata e giudicata”
(Albertine, 2023).

“Captain Sensible (The Damned) Gli unici aspiranti manager a essersi accorti che stava succedendo qualcosa e che i tempi stavano cambiando erano proprietari di negozi di vestiti o gente in affari con loro, tipi come John Krevine, Andy Czezowski e McCunty (Malcom McLaren). Provavamo nel magazzino di Krevine a Deptford, che era anche l’occasione per prendere in prestito definitivo un po’ dei famosi vestiti retro venduti in negozio […]
La musica che senti ad Acme Attractions è importante quanto i vestiti: un dub pesantissimo selezionato dal commesso rasta Donovan Letts, che sostiene ancora oggi che sì, Sex avrà avuto anche i vestiti migliori, ma Acme era più di un negozio […]
Marco Pirroni (The Models) Sex, il negozio, era CRUCIALE: senza quello niente Pistols e niente punk. I vestiti ERANO la scena, con l’élite del punk che si vestiva così già due o tre anni prima che i Pistols si formassero”
(Marko, 2023).

Questa sottolineatura dell’elemento estetico, fondamentale a quanto emerge dalle mille testimonianze dei protagonisti, ha un valore profondo in quanto rappresenta un forte fattore riconoscitivo che permette la creazione di una comunità ben distinta all’interno della società inglese. Comunità che, più delle precedenti, prova a scioccare, provocare, distruggere le consuetudini e il conservatorismo della collettività. Ma ad aggiungere un ulteriore particolare, la moda punk comporta una sorta di anticonsumismo ben lontana dalle precedenti subculture: è il riciclo, l’aggiustare, il ricombinare, in breve il Do It Yourself che poi verrà trasferito anche in ambito musicale, ma anche comunicativo con la nascita di decine di fanzine autoprodotte. Un ribaltamento dei lustrini, del glam, dell’estetica tardo Sixties che di fatto emarginava i giovani della classe operaia o del sottoproletariato, certo impossibilitati ad acquistare e seguire le tendenze delle rockstar. Anche questo processo va di pari passo con la musica, un riappropriarsi della propria estetica sì da esprimere la propria disperazione, rifiutando in un solo blocco le vecchie illusioni ormai tramontate della californiana summer of love. Non è casuale che proprio i piccoli negozi alternativi di moda fungono da base per l’esplosione del punk, anche prima dei locali musicali e della formazione dei primi gruppi: è lì che il malcontento e la disperazione possono trovare un punto d’incontro immediato, senza l’intermediazione della musica. Ed è lì che è subito possibile formare una autorappresentazione identitaria, che prova a resistere al disincanto e alla profonda crisi dell’Inghilterra degli anni Settanta.

La provenienza sociale dei protagonisti

 “…siamo i figli della prima ondata di genitori divorziati degli anni Cinquanta, abbiamo assistito al collasso dell’ideale domestico. Era impossibile che quel sogno si avverasse: siamo cresciuti durante il peace and love degli anni Sessanta per poi scoprire che ci sono guerre ovunque e che l’amore e il romanticismo sono una fregatura”
(Albertine, 2023).

Un altro aspetto importante che emerge all’interno del punk è la provenienza sociale dei protagonisti e dei semplici partecipanti, spettatori e assidui frequentatori dei luoghi del movimento. Spesso figli della classe operaia, o del sottoproletariato, emarginati, e con seri problemi familiari alle spalle. Abitanti degli squat, le occupazioni di case che nella Londra degli anni Settanta sono numerose, percettori del sussidio di disoccupazione, carriere scolastiche interrotte o portate a termine con estrema difficoltà. Nel terzo episodio della serie Pistol, sono assai significative le scene che mostrano le difficoltà di Steve Jones nel leggere la prima recensione di un concerto dei Sex Pistols o l’incapacità nello scrivere anche solo poche parole di un testo. Drammatiche, sempre nella serie, le vicende relative all’infanzia di Jones, raccontate peraltro con maggiore incisività nella sua autobiografia, così come complicata è stata l’adolescenza di Viv Albertine, con difficoltà economiche e conflittualità familiare anche violenta, seguita poi dall’assenza della figura paterna. Ambedue le autobiografie sono scritte con un linguaggio crudo, essenziale, diretto; un linguaggio che sottolinea e fa risaltare ancora di più le tribolate condizioni di vita dei due protagonisti. Ma è tutto il punk a essere caratterizzato da un contesto, come si diceva in precedenza, di profonda crisi economica e sociale, ed è probabilmente l’elemento scatenante della rapida diffusione tra i giovani e del naturale approccio contestatario nei confronti dell’autorità in generale.

Le varie anime del movimento
Un movimento che all’inizio assume forme di ribellione situazioniste, anche ambigue, come l’esposizione delle svastiche pur se con un fine di provocazione e ribellione verso il conformismo. Ma è già presente, e lo sarà ancora di più successivamente, un approccio più politico, che va dall’anarchismo ribelle a forme di attivismo orientate soprattutto contro razzismo e fascismo. La stessa Vivienne Westwood, la sodale di Malcom McLaren, stilista e proprietaria del negozio Sex, fa dire a suo figlio, nel secondo episodio della serie Pistol, che il punk è antifascista e antirazzista, e la stampa di svastiche rosa sulle magliette è un atto di ribellione contro la società inglese. Attuando forse una semplificazione arbitraria ma utile alla nostra riflessione, le due anime del punk sono proprio rappresentate dai due gruppi più famosi, Sex Pistols e Clash. Dove i primi esaltano la provocazione, il situazionismo, il caos, i secondi sono nettamente schierati a fianco delle minoranze oppresse, internazionalisti, antifascisti e antirazzisti. A queste due anime in realtà ne andrebbe aggiunta una terza, che tra l’altro è quella che sopravviverà anche negli anni Ottanta, pur in un ambito minoritario: il filone anarco punk, del quale i Crass ne rappresentano la punta di diamante ma soprattutto i precursori. Un filone impegnato politicamente nel quale l’anarchismo è virato in forme per l’appunto più propriamente politiche e non soltanto in termini di costume, con il rifiuto di pubblicare dischi per le major, lo sviluppo di un circuito alternativo, autoproduzione e sviluppo di pratiche cooperative. La compilation Cease & Resist – Sonic Subversion & Anarcho Punk in the UK 1979-1986, pubblicata dalla Optimo Music lo scorso anno ne dà un’ampia testimonianza, sulla quale torneremo più avanti.

“In White Riot i Clash cantano di rivolta bianca, ma sono i fatti di Lewisham del 13 agosto 1977 a cambiare la politica inglese. In questo periodo il National Front è il quarto partito in Inghilterra: la sua politica di estrema destra fa leva in gran parte sulla diffusa insofferenza nei confronti degli immigrati, resa ancora più pesante dall’alto tasso di disoccupazione. In questo clima, il NF annuncia un’osteggiatissima marcia prevista per il 13 agosto nel quartiere di Lewisham, zona ad alta densità di immigrati. Nonostante gli incidenti avvenuti nel corso di una manifestazione analoga a Birmingham, la marcia viene autorizzata. Milleduecento sostenitori del National Front sfilano protetti da tremila poliziotti armati di manganelli e scudi antisommossa. Quello che non si aspettano è trovarsi di fronte seimila antifascisti pronti allo scontro. I contestatori caricano la polizia tirando mattoni, bottiglie e qualsiasi altra cosa a portata di mano per aprirsi un varco e raggiungere i manifestanti del NF. La marcia si ferma e gli scontri proseguono tutto il giorno: i media condannano subito la violenza, si schierano con la polizia e accusano gli antifascisti. È l’episodio che porta dritto alla fondazione di Rock Against Racism e ai grandi festival di Victoria Park e Manchester con nomi come X Ray Spex, Clash, Tom Robinson Band, Steel Pulse e innumerevoli altri. Tutto sfocia nei meno che modesti risultati ottenuti dal National Front alle elezioni del 1979, che lo relegano a un ruolo marginale nella scena politica del Regno Unito. Adesso non è più cool indossare una svastica per scioccare i passanti o per vivere fantasie nazi-fetish. La politica è scesa in strada, il punk è il sound della strada e le cose non saranno più come prima”
(Marko, 2023).

UK vs USA: analogie e differenze

“Mark P (Sniffin’ Glue fanzine) Sebbene le band punk/new wave di New York siano più leggerine delle nostre, non si può negare che abbiano aggiunto un bel po’ di divertimento a una scena che stava prendendosi un po’ troppo sul serio. Con i New Yorker sai cosa t’aspetta, ovvero buon vecchio rock’n’roll al 100%: niente questioni, niente politica, solo un rock molto energico”. Sniffin’ Glue #8, marzo 1977 […]
Henry Padovani (The Police) I gruppi americani erano più rock che punk e ci stava tutta. Gli inglesi musicalmente erano un po’ un tanto al chilo, ma gli americani sapevano suonare davvero: si travestivano da punk, ma avevano un look più glam rispetto a noi, erano più tradizionali. Proiettavano sì energia e violenza, ma non come le band inglesi”
(ibidem).

Una delle questioni più dibattute riguardo il punk è la nascita, l’origine del movimento, dove tutto sia iniziato, se negli USA o in Inghilterra. Discussione certamente puerile e sostanzialmente impossibile da determinare. Purtuttavia, il quesito in realtà nasconde questioni più complesse che alla fine ci consentono di affrontare proprio l’aspetto musicale del punk. Vero è che le radici vanno cercate negli Stooges di Iggy Pop, nelle New York Dolls (del quale Malcom McLaren fu, per un breve periodo, manager), nei Ramones, primi nel pubblicare il 23 aprile del 1976 un disco dalle chiare caratteristiche punk, così come i Velvet Underground alienati e tenebrosi forniscono riferimenti visuali e di approccio musicale all’estetica punk. Non vanno comunque trascurati anche i gruppi inglesi quali i Pink Fairies o gli Hawkwind, Marc Bolan, Roxy Music e David Bowie per quel loro look androgino e provocatorio più che per la musica. Tuttavia, certo è innegabile che ciò che accadeva in locali come il Max’s Kansas City e soprattutto il CBGB di New York a metà anni Settanta rappresenta un punto di riferimento per la nascente scena punk londinese. Ma ci sono differenze sostanziali che in realtà fanno sì che ciò che accade in Inghilterra nel 1976, in modo inaspettato, sia di altro e ben più dirompente livello. Rispetto alla scena americana, formata da gruppi eterogenei, musicalmente molto diversi tra loro anche se accomunati da un evidente approccio innovativo, il punk inglese assume quasi fin da subito una dimensione di massa, di vero e proprio movimento. È una musica che porta con sé la ribellione sociale, che dà voce ad una generazione di esclusi senza futuro, di carattere collettivo e comunitario.

A parte i Sex Pistols, formatisi con l’aiuto e la determinazione di un personaggio alquanto particolare ed ambiguo come Malcom McLaren (in Pistol  le vicende della nascita del gruppo sono un po’ romanzate, nondimeno appare cruciale il ruolo di McLaren), tutta la massa di formazioni e gruppi più o meno stabili che si susseguono in un crescendo incredibile a partire dal 1976 è frutto di un autentico movimento spontaneo che parte dal basso, libera energie e creatività che covavano probabilmente da tempo e che non aspettavano nient’altro che una scintilla.  Il mercato appare assolutamente spiazzato, così come i media e la società in generale, proprio perché l’esplosione è autentica, dirompente, non limitata per l’appunto a poche e isolate formazioni musicali seppur d’avanguardia: è come un fiume in piena che i discografici, dopo il disorientamento iniziale, proveranno ad incanalare in ambito commerciale. Tuttavia, quella dimensione di massa rivoluzionerà da capo a piedi tutto il rock portando alla ribalta un nuovo modo di concepire la musica, un diverso approccio all’espressione creativa, quel Do It Yourself che sarà determinante per gli sviluppi successivi.

“Mi sentivo molto vicina e allo stesso tempo molto lontana dalla musica. Ero convinta che musicisti si nasce, che fosse un dono: o ce l’avevi oppure no. Alcune amiche avevano genitori o sorelle musicisti classici: li vedevo fare pratica cinque ore al giorno e sapevo di non essere il tipo di persona che si impegna così tanto in una cosa: Era molto noioso esercitarsi con le scale, fare su e giù per ore e ore. Invece per suonare la chitarra elettrica pensavo ci volesse il pisello, o perlomeno essere un genio come Joni Mitchell o meritevole come Joan Baez, e preferibilmente essere anche americani[…]
Avevo sempre pensato che le circostanze della mia vita – povera, di Londra Nord, scuola pubblica, casa popolare, femmina – non mi avessero equipaggiata per il successo. Mentre guardo i Sex Pistols, capisco che per la prima volta non ci sono barriere tra me e il gruppo. Le idee che mi ronzano nella testa da anni improvvisamente si fanno nitide e pressanti”
(Albertine, 2023).

L’effetto dirompente che hanno i Sex Pistols, così ben descritto dalla Albertine, produce uno stuolo di emulatori che però sono alla ricerca della propria espressività e non una semplice copia degli originali. Soprattutto, c’è di base quell’idea di poter suonare immediatamente, di abbattere finalmente le barriere ormai sempre più alte tra la rockstar e il suo pubblico. In Pistol, alle accuse di non saper suonare da parte di alcuni spettatori, Glen Matlock (tra l’altro l’unico del gruppo ad avere un’educazione musicale) risponde seraficamente “Eh allora?”. Se possiamo tentare una sorta di semplificazione, una ricerca dell’essenza del punk quella risposta del bassista dei Sex Pistols la racchiude tutta in modo assolutamente chiaro: non importa saper suonare, l’importante è esserci, salire su un palco senza avere l’idea di come si fa e farlo lo stesso, come dice Chrissie Hynde, futura leader dei Pretenders e uno dei personaggi principali della nascente scena punk, nonché commessa del negozio di Westwood e McLaren, Sex. Questo approccio spontaneo, immediato, diretto, avrà ovviamente conseguenze sulla musica vera e propria, quella suonata e quella poi registrata. Se innegabili sono le radici verso quello sporco rock’n’roll suonato dagli Stooges e dalle New York Dolls, le band inglesi saranno certamente più dirompenti, più sperimentali, più trasgressive. Se Never Mind the bollocks, sostanzialmente l’unico lp dei Pistols, mostra ancora certi agganci alla tradizione rock, pur ovviamente trasformandola profondamente e rinnovandola, tanti altri gruppi punk suoneranno musiche ancor più dissacranti, primitive, una serie di accordi per nulla riconducibili ai giri del classico rock, assenza di assoli, brani di due, tre minuti, un misto di rumore, energia furente, irriverenza e violenza che non aveva certo precedenti.

Scontri e incontri fecondi
Un ruolo rilevante nella nascita del punk e nel suo sviluppo lo avranno gli incontri con altre culture, in primis quella reggae, e la contrapposizione, spesso violenta, con le altre subculture giovanili. Stupisce, a prima vista, la vicinanza con la musica e la cultura di origine giamaicana: eppure il contatto, la contaminazione sono immediati. Don Letts, dj reggae, è responsabile della musica all’interno del negozio di vestiti Acme Attractions e successivamente sarà il dj residente al Roxy, nei primi e più significativi cento giorni del locale, vera e propria culla del movimento punk.

“Punk e Reggae si ritrovano fianco a fianco nei panni di quelli messi da parte, nel gesto delle proverbiali due dita in faccia a ogni autorità e in un misto testi/attitudine contro un sistema che sta andando a pezzi. Nella sua postazione al Roxy, Don Letts suona reggae e dub prima ancora che si trovino in giro dischi punk”
(Marko, 2023).

È una sorta di alleanza tra esclusi, emarginati, minoranze oppresse, un mondo sotterraneo nel quale sono coinvolti anche i gay club, i locali frequentati da travestiti, da prostitute: una scena che non aspira all’inclusione, all’ascesa sociale, ma al contrario che vuole distruggere (destroy è una delle parole d’ordine), scioccare, provocare. In questo l’elemento contestazione, la ribellione, la rivolta, sono certamente molto più marcati rispetto alle altre subculture giovanili, in primis quella dei Teddy Boys, ancora ben presenti nel mondo giovanile inglese, dopo un periodo di offuscamento intorno alla seconda metà degli anni Sessanta. I numerosi scontri tra le due subculture nascono ovviamente dalla profonda situazione di crisi economica vissuta dal paese, ma sono anche una sorta di competizione, laddove è ben chiaro che la nascente subcultura punk si appresta a divenire LA subcultura per eccellenza, il punto di riferimento per le angosce e la voglia di ribellione adolescenziale e giovanile in generale.  Concettualmente, i due movimenti sono agli antipodi: il vestire curato, ordinato, contrapposto al miscuglio di fetish, bondage, plastica, rosa e nero, svastiche, sesso, e in generale di totale decontestualizzazione di elementi delle altre subculture giovanili. Il rock’n’roll pulito e tradizionalista contrapposto al caos musicale, un conservatorismo velatamente virato anche politicamente (spesso i Teddy Boys sventolavano la bandiera confederata) contro un ribellismo anarchico e vicino alla cultura nera e caraibica. Insomma, due mondi che, nell’Inghilterra degli anni Settanta, non potevano non contrapporsi, soprattutto fisicamente, in strada. Ma l’incontro/scontro con altre culture è certamente più complesso, meno definito, sfumato.

Strani attrattori: il reggae, gli skinhead
La vicinanza alla cultura reggae si tramuta in assorbimento musicale, con i Clash, le Slits, gli Stiff Little Fingers, tra gli altri, a mutuare e contaminare lo sporco punk rock con ritmi giamaicani e atmosfere reggae/dub. E questo vale, inaspettatamente, anche per i Sex Pistols: in Pistol, è significativa la scena che riguarda le prove di una rudimentale versione di Anarchy in the UK trasformata nella versione conosciuta proprio a partire da una batteria reggae suggerita da Paul Cook. Il vestiario punk contiene comunque elementi dell’estetica Teddy Boy, pur trasfigurati, e la conformazione e configurazione della subcultura punk ha molto a che vedere con quello che i Teddy Boys rappresentavano al loro emergere alla fine degli anni Cinquanta: un movimento giovanile ribelle, associato a sesso, droga e rock’n’roll dai media e dalla società in generale. Complesso è anche il rapporto con la scena skinhead, altra subcultura giovanile inglese, che verrà a contatto con il punk, in parte inserendosi all’interno, grazie anche alla presenza di alcuni gruppi musicali della prima ondata come gli Sham 69, e alla passione per la musica di origine caraibica, in particolare lo ska, dal quale discende il reggae. Ma dall’altra differenziandosi, nel corso del tempo, con la scena skinhead a rivendicare un’autenticità rispetto all’evoluzione della gran parte dei gruppi punk, sia musicalmente che commercialmente, e adottando, perlomeno una parte del movimento non certo nel suo complesso, pratiche e identità vicine all’estrema destra.

Documenti preziosi: libri, serie, dischi

“Il Roxy Club e Acme Attractions sono state le pietre miliari che hanno fatto di me quello che sono oggi. L’etica del Do It Yourself del punk mi ha aiutato a reinventarmi come film maker. Quella era la cosa centrale nel punk: non dovevi essere solo un fan, era un approccio che includeva tutto: con un po’ di faccia tosta puoi farlo anche tu. L’energia era tale che volevo esserci e fare qualcosa a tutti i costi, e l’ho fatto”
(Don Letts cit. in Marko, 2023).

Sia il libro di Viv Albertine che quello di Paul Marko hanno il pregio di una scrittura immediata, diretta, nella quale emerge l’enorme energia scaturita dall’esplosione del punk. Se Albertine intreccia abilmente le vicende storiche con il suo personale, spesso difficile, doloroso in alcuni casi, Paul Marko ha il merito di ricostruire, grazie alle tantissime testimonianze, un mondo effervescente, complesso ma di un’immediatezza straordinaria, dove la musica, la moda, la cultura e la ribellione trovano uno spazio fisico in quel Roxy Club che diventa, perlomeno nei suoi primi cento giorni, dal primo gennaio 1977 con il concerto dei Clash, all’aprile dello stesso anno con l’estromissione dei due fondatori, Barry Jones e Andy Czezowski, il punto di ritrovo e convergenza dell’intero movimento punk, permettendone, nei fatti, l’esplosione. I due libri mostrano, da angolature differenti, l’abbattimento del muro creatosi tra le rockstar e il loro pubblico, dando risalto alla riappropriazione dal basso delle pratiche musicali e culturali, e alla trasformazione radicale dell’intera industria del rock, emarginando per gli anni a venire la vecchia scena derivante dai Sixties, sia a livello musicale che culturalmente. Pur in una dimensione più colorita, ricca di ironia e stravaganza, con elementi fantasiosi ma inframezzata talvolta dalla complicata realtà vissuta da Steve Jones o dalle tragiche e luttuose vicende riguardanti Sid Vicious e Nancy, Pistol è una serie che getta comunque uno sguardo attento sulle vicende dei Sex Pistols. Anche qui emerge quell’estetica Do It Yourself, quell’arrembaggio guascone e provocatorio che comporterà, a dispetto di ogni previsione, la nascita di un grande gruppo e la scintilla per una scena incredibilmente proficua, densa di idee ed energia. La regia del regista di Trainspotting (1996) e The Millionaire (2008), Danny Boyle, riesce a tenere in equilibrio la ovvia dimensione fiction con la narrazione degli avvenimenti intorno al punk e ai Sex Pistols, permettendo comunque di far apprezzare allo spettatore l’incredibile novità portata dal movimento e l’enorme impatto che ha avuto sia a livello musicale e culturale che sociale.

L’evoluzione del suono punk
In questo quadro la compilation Cease & Resist – Sonic Subversion & Anarcho Punk in the UK 1979-1986 ci mostra alcuni sviluppi di quella scena, ciò che in parte rimane dell’ondata di furore scatenata dal punk e che mantiene alcune caratteristiche della prima ora. Se intorno al 1978/1979 possiamo già osservare il confluire del grosso del movimento in una serie di musiche sommariamente definite new wave o post punk, con l’antico furore declinato in atmosfere dark, nel nichilismo e nell’angoscia oppure in riletture originali della matrice rock, o ancora nello sviluppo dell’elemento ritmico e di derivazione black, il filone più impegnato politicamente, legato ancora ai canoni di uno sporco e graffiante punk rock, svilupperà dimensioni sperimentali, connessioni con l’improvvisazione radicale, ambiti no wave e rumoristi, nonché inaspettati approdi commerciali.

Il doppio album assemblato dal batterista e zinester Chris Low e dal dj, produttore e scrittore JD Twitch, pubblicato per raccogliere fondi per il Faslane Peace Camp, un sito occupato ininterrottamente dal 1982 per protestare contro la vicina base navale dove all’interno sono presenti missili nucleari, è prodotto prezioso e di alta qualità, sia a livello musicale che come documentazione. Come accennato in precedenza, non siamo in presenza di un punk monolitico, i classici tre minuti e via, o perlomeno non solo di quello. Basta ascoltare gli stessi Crass, il gruppo che più è rimasto fedele all’ideale dell’anarchismo e che, grazie alla propria etichetta ha permesso a molte band di registrare dischi. La loro Bloody Revolutions è una sorta di elaborata e dinamica punk suite, ruvida ma di grande pregio, lunga oltre sei minuti e significativa, ovviamente visto il loro impegno politico, dal lato testuale. Altrettanto elaborato, ma vicino ad atmosfere alla True Sounds Of Liberty, gruppo punk californiano, è Anti-Christ degli Alternative, mentre di natura più sperimentale è Death Is Big Business di Andy T. Tuttavia, è importante soffermarsi su tre altri gruppi, per certi versi i più noti insieme ai Crass, presenti nella compilation. Importante non solo per la qualità musicale dei brani, ma perché ci permettono di individuare dei percorsi emersi dalla rivoluzione punk e che il probabilmente il filone meno conosciuto, quello dell’anarco punk per l’appunto, ha sorprendentemente intrapreso.

Un caso di successo: i Chumbawamba
Partiamo dai Chumbawamba, attivisti politici, occupanti, sostenitori di campagne contro il fascismo, la guerra, contro il nucleare, esordiscono nel gennaio del 1982 per l’etichetta dei Crass, la Crass Records, poi ne fondano una propria, la Agit-Prop, e negli anni Novanta del secolo scorso entrano in contatto con la scena alternativa dei rave e della techno. Soprattutto, nel 1997 firmano per la EMI (innescando una serie di polemiche nel mondo dell’anarco punk) e piazzano al numero 2 della chart inglese e al numero 6 di quella statunitense, la loro potente hit Tubthumping, tratta dal loro ottavo lp Tubthumper. In questa compilation sono presenti con Revolution, brano del 1985, autentico punk anthem, con momenti appena più morbidi, una melodia orecchiabile su un tappeto di chitarre distorte e il basso elettrico in risalto, caratteristica, questa, comune non solo a molti gruppi della compilation ma anche a gran parte della musica emersa dal punk.  A parte le polemiche suscitate dalla loro firma per la EMI, che accompagnò anche i Clash per il loro primo lp pubblicato dalla CBS, sorprendente è l’approdo ad un pubblico di massa mantenendo praticamente intatte le loro caratteristiche musicali nonché le loro connessioni con la scena alternativa dei rave: una capacità di innervare la loro dimensione punk con le diverse espressioni del mondo giovanile alternativo, l’abilità di traghettare il ribellismo e il furore sia in ambito commerciale che a contatto con le nuove sonorità degli anni Novanta. A fianco dei Chumbawamba sia in tour che nel progetto Antidote (un EP dal titolo Destroy Fascism!), gli olandesi The Ex rappresentano il filone che dal punk più estremo è entrato in contatto con l’area sperimentale e di improvvisazione radicale europea. Nota è la loro lunga collaborazione con il violoncellista Tom Cora, con il clarinettista Ab Baars e il batterista Han Bennink, con la celebre ICP, Instant Composers Pool Orchestra, e, cambiando di campo, le collaborazioni con Sonic Youth e dischi prodotti da Steve Albini. Come si vede, un raro eclettismo fondato comunque sulla ricerca, sulla necessità di esplorare nuovi linguaggi a partire da quell’attitudine tutta punk del Do It Yourself, la volontà di continuare ed esprimersi mantenendo le antiche radici e connettendole a nuove radicalità, nuovi linguaggi. La loro estrema ed entusiasmante rilettura del celebre inno antifascista della guerra civile spagnola, Ay Carmela (nella compilation Aye Carmela) è uno dei brani più belli dell’intero disco, un’autentica rilettura punk, colma di energia e potenza.

E veniamo ai Flux Of Pink Indians, inglesi, autori di una musica dalle venature dada, dissacrante, provocatoria, sarcastica e anticonsumista, con inaspettati sviluppi zen, esordiscono anche loro per la Crass Records nel 1981 con l’EP Neu Smell. Al suo interno l’irruente ed esplosiva Tube Disasters, presente in questa compilation. Classico brano punk, basso elettrico in primo piano, chitarre distorte, voce veemente, molto vicino ai Sex Pistols.
Il gruppo pubblica nel 1983 il suo secondo album The Fucking Cunts Treat Us Like Pricks, sequestrato dalle autorità a causa di contenuti ritenuti osceni, violenti, inadatto ad essere venduto al pubblico. Nel 1985 il bassista, Derek Birkett, fonda la One Little Indian Records, una delle etichette indie più importanti, per la quale hanno inciso non solo i Chumbawamba ma artisti del calibro di The Shamen (protagonisti della scena rave), gli Sugarcubes, Bjork, e persino Skunk Anansie. Come si vede, un percorso incredibile, la conferma che senza quella rivoluzione fatta da emarginati, contestatori, sbruffoni, autodidatti, dissacratori e provocatori, non avremmo avuto gran parte della musica rock affermatasi nei decenni successivi.
Uno dei meriti principali del punk è stato quello di riportare il rock sulla strada, di rinnovarlo profondamente dal basso, lasciando emergere flussi creativi ed energie inaspettate. Un riconsegnare la musica al suo pubblico, annullando le barriere e veicolando certo disperazione, angosce, paure, ma anche una voglia di protagonismo e un incessante desiderio di cambiamento. È per questo che il punk può benissimo dirsi l’ultima rivoluzione, perché è stata la voce di diverse generazioni, lo strumento di espressione anche dopo che il mercato se ne è appropriato, mantenendo comunque un legame stretto con le ansie e i desideri, i sogni e gli incubi delle masse giovanili. In questo, va detto sinceramente, Punk Is Dead, proprio perché il rock, o perlomeno la gran parte delle musiche considerate rock, è completamente fagocitato dal business e ha perso il contatto con i giovani, non rappresentando più il loro canale espressivo di riferimento, perlomeno per la gran parte di loro. Se non emergono novità significative, se trionfano cover band, se la provocazione è pilotata e veicolata dal mercato finendo per essere una caricatura, se tornano alla ribalta le vecchie rockstar incapaci di dire alcunché di nuovo, se il rock è diventato musica per adulti e nostalgici, è proprio perché il legame con i giovani si è interrotto: questa musica non sa più parlare di loro e loro non usano più il rock per parlare di sé. Ci sarebbe sicuramente bisogno di un’altra rivoluzione punk.

Letture
  • Pat Gilbert, The Clash Death or Glory, Arcana, Roma, 2007.
  • Steve Jones, Lonely Boy. La storia di un Sex Pistol, Adriano Salani Editore, Milano, 2022.
  • Don Letts, Punk & Dread. Quando la cultura giamaicana incontrò il punk, Shake Edizioni, Milano, 2015.
  • John Lydon, Rotten. L’autobiografia. No Irish No Blacks No Dogs, Arcana, Roma, 2012
  • Jon Savage, Il sogno inglese. I Sex Pistols e il Punk-Rock, Shake Edizioni, Milano, 2022.