La maggior parte delle storie narrate dai miti è ambientata in periodo di guerra e, secondo una cronologia poco chiara, nelle generazioni immediatamente precedenti. A suscitare il maggiore interesse tra la gente comune era l’intervento degli dèi nella vita degli uomini o, viceversa, l’ascesa degli uomini nel mondo degli dèi. I grandi eventi bellici offrivano un gran numero di personaggi e di scenari diversi per le storie mitiche. Strumenti di mobilitazione, i miti permettevano di combinare e far interagire famiglie e luoghi diversi, oltre che un gran numero di divinità sia maschili sia femminili. I Romani interpretarono la loro guerra contro la potenza nordafricana di Cartagine come una sorta di eredità dei tempi mitici, quando Enea aveva abbandonato la regina cartaginese Didone, che per il dispiacere si era suicidata. Solo nei due secoli successivi Roma si servì del mito in modo aggressivo per legittimare i suoi interessi imperialistici in Asia Minore. Con la conquista della regione – nel 133 a.C. Attalo III lasciò nel suo testamento l’Asia Minore a Roma e nel 129 a.C. questa divenne una provincia romana – i Romani poterono usare il mito di Troia in un modo del tutto nuovo. Dichiarandosi discendenti dei Troiani, visitarono Ilio e la consacrarono con una pratica che si può paragonare a quella moderna di deporre le corone di fiori.
Illustrazione di Angus McBride .
Una vocazione che ritroviamo all’alba della civiltà, nell’antica Mesopotamia. Grazie alla grande quantità di documenti scritti e di immagini, la proclamazione di guerre, combattute in campagne militari annuali, era certamente una delle prerogative degli antichi Assiri, almeno a partire dal IX secolo a.C. In realtà, già nel periodo più antico della storia dell’Assiria, nel XIX secolo a.C., l’espansione territoriale per mezzo di conquiste militari era già ben presente e definita secondo coerenti linee di sviluppo ed è proprio alla storia militare degli assiri che è dedicato lo studio di Vincenzo Mistrini Gli Assiri. La prima superpotenza dell’Oriente antico. Di quella futura superpotenza si può dire che l’essenza bellica si manifesti più insistentemente e concretamente in epoca medioassira, nelle interazioni con i regni di Babilonia, il regno ittita e l’Egitto. È proprio in questo periodo che sono più ricorrenti gli scontri con la rivale Babilonia per il controllo della Mesopotamia centrale e con il regno ittita per la conquista dei territori lasciati liberi dopo la caduta del regno di Mittani in alta Siria. Proprio alla fine dell’età medioassira, il sovrano Tiglatpileser I potrà vantare un controllo che andrà da Babilonia fino al Mediterraneo o almeno il raggiungimento di questi confini. Ma è solo a partire dal IX secolo a.C. che si rivelerà il carattere fortemente militare dell’Assiria, con programmate campagne di conquista che contribuiranno alla creazione di un impero che nel VII secolo a.C. si estenderà sino all’Egitto.
La stagione delle grandi campagne militari
Assurnasirpal II sarà il vero primo sovrano assiro che sotto molti aspetti potremmo definire un innovatore: per la politica espansionistica, per le scelte di linguaggio nelle iscrizioni e nei rilievi, per i lavori alla città di Nimrud. Con Assurnasirpal II si inaugurerà una stagione di fortunate e sanguinose spedizioni militari che dilateranno i confini del regno assiro portando a vere e proprie conquiste di ampi segmenti di territorio e di popolazioni nella regione dell’Eufrate e in Siria, riuscendo così a recuperare materie prime e manodopera che saranno reimpiegate e reinvestite nelle capitali del regno. Ma le campagne militari promosse da Assurnasirpal, II pur avendo un successo immediato, non si tradurranno sempre in un controllo di lunga durata: la questione delle tribù e dei piccoli regni che occupavano la fascia a cavallo dell’Eufrate rimarrà per lungo tempo una delle questioni irrisolte della dominazione assira.
Illustrazione di Neston Taylor.
Sotto questo aspetto, le differenti versioni aggiornate degli Annali consentono di ripercorrere le tappe della conquista e le fasi di progresso e di stallo. Le lettere indirizzate al sovrano dai vari responsabili delle aree conquistate permettono poi di comprendere lo svolgersi del conflitto armato, le difficoltà ambientali e logistiche che anticipavano e seguivano lo scontro vero e proprio e che erano omesse nelle iscrizioni ufficiali riportate negli Annali e nei testi incisi pubblicamente sulle pareti delle sale dei palazzi dei sovrani. Se da un lato l’esercito assiro era sempre vincitore, o almeno così era raccontato, la realtà descritta nelle lettere e riportata al sovrano era ben diversa: l’esercito assiro non sempre era trionfante e, quando anche non era sconfitto, poteva talvolta ottenere successi parziali.
Un’idea storica non esatta
La documentazione ufficiale (iscrizioni reali celebrative e rilievi palatini) dev’essere messa a confronto con la documentazione dei testi amministrativi e dei dispacci inviati dalle province al centro dell’impero per poter meglio comprendere la logistica d’una campagna militare. Affidandosi unicamente alle fonti ufficiali, ovvero a quelle esposte pubblicamente, l’immagine del conflitto presentato dalla propaganda è decisamente distorta. Improntando l’analisi solo sulle iscrizioni reali e sui rilievi, si è a torto giunti alla conclusione che l’Assiria fosse uno Stato militarista, dove di fatto il tutto era regolato da un’amministrazione militarizzata e dove la guerra era la sola occupazione dei sovrani: un’immagine influenzata sia da una lettura distorta dei documenti assiri sia dalle reinterpretazioni storiche e dai giudizi espressi dall’Antico Testamento e dalle fonti classiche. Non si può certo negare che la guerra fosse centrale nell’ideologia politica assira, dal momento che il sovrano era appositamente chiamato a promuovere l’espansione del suo regno e del dio eponimo Assur su altre genti e terre: non era tuttavia un’operazione di conversione religiosa, ma rientrava in un’ottica di occupazione dei territori conosciuti, perché il re d’Assiria potesse giustamente fregiarsi dei titoli di “re della totalità” e di “re delle quattro parti del mondo”.
Illustrazione di Angus McBride .
Il re (šarru) assiro era indubbiamente il motore dello Stato, ovvero colui che, grazie e per conto del dio Assur, promuoveva l’espansione territoriale del regno, ne organizzava gli eserciti e ne determinava la crescita politica, sociale ed economica. La figura del sovrano assiro è stata spesso fraintesa: nelle riletture fatte dalle fonti bibliche e classiche, che hanno fortemente influenzato i primi studi sull’Oriente antico, è assimilata a un terribile e feroce despota dedito esclusivamente a coltivare i propri vizi ed a vessare il popolo e le genti straniere con tassazioni e guerre infinite. In realtà ogni sovrano, in quanto reggente e vicario del dio Assur, svolgeva una indefessa politica di cure e attenzioni per il benessere del regno comprendente numerose attività: prima di tutte, la costante pianificazione di campagne militari volte all’annessione di nuove terre e, conseguentemente, al recupero di beni e manodopera che erano poi impiegati nei vari compiti e uffici del regno; quali la cura del territorio con la ristrutturazione e manutenzione delle principali città-capitali, la fondazione di nuove città, la costruzione di residenze sempre più sontuose e la custodia dei più importanti templi e santuari delle divinità, a partire dal tempio del dio Assur nella omonima città. Esisteva una fitta corrispondenza tra il re e il dio: il monarca si rivolgeva, quasi maniacalmente e ossessivamente, alle divinità per chiedere consigli e ottenere favorevoli responsi. Un dialogo che era intessuto in una vera e propria forma epistolare, attraverso testi noti come Lettere al dio Assur. Si trattava di messaggi appositamente destinati al dio, nei quali il re raccontava e relazionava, nei dettagli, i risultati delle proprie campagne militari: celebre è la lettera di Sargon al dio Assur nella quale il monarca riportava gli esiti della sua vittoriosa ottava campagna militare contro il regno settentrionale di Urartu.
La predilezione per gli assedi
Se la guerra era un’azione eroica, una prerogativa del re, allo stesso tempo il ricorso ad assedi e scontri in campo aperto avveniva solo dopo che tentativi alternativi alla battaglia per far capitolare il nemico erano andati a vuoto. Non è infatti casuale che gli Assiri prediligessero gli assedi, mentre cercavano di evitare in ogni modo gli scontri in campo aperto, nonostante avessero numeri e mezzi per poter superare anche quelli. Lo studio della composizione degli eserciti di Assiria è quindi essenziale per comprendere la reale organizzazione delle forze militari e la consistenza degli uomini coinvolti: proprio la consistenza è stata spesso un problema per una considerazione realistica delle milizie effettive a disposizione del sovrano. Se da un lato le iscrizioni reali fanno riferimento a dati sproporzionati, troppo frequentemente e semplicemente etichettati come invenzioni ed esagerazioni, frutto di una propaganda costruita a tavolino, in altri casi la quantità delle perdite subite dall’esercito assiro fu al contrario così bassa che si è pensato che anche in questo caso la propaganda abbia voluto nascondere una dimensione dei caduti ben più grave e rilevante. Tuttavia, è necessario fare una valutazione del tipo di testo preso in considerazione e del contesto d’uso di questi documenti: la trascrizione delle perdite subite dall’esercito assiro (“un carrista, due cavalieri e tre fanti hanno perso la vita”) è contenuto nella Lettera al dio Assur di Sargon II. Si tratta quindi di un testo del tutto particolare per il quale gli scribi utilizzarono un lessico fortemente codificato e simbolico, mentre il riferimento ai caduti era strumentale e generico: si può ipotizzare che questi testi fossero letti in pubblico e pertanto ogni famiglia poteva riconoscere in quel carrista, nei due cavalieri e nei tre fanti uno dei propri cari.
Illustrazione di Ángel García Pinto.
I dati esagerati delle fonti assire non sono quindi così lontani dall’esser veri: le immagini, anche se dovevano tradurre in un linguaggio visivo la complessità e diversificazione delle unità e dei corpi dell’esercito e dei differenti teatri di guerra, sono un’ulteriore fonte di informazione che traduce i nomi e la quantità degli effettivi dei testi scritti. Allo stesso modo, la diffusione di immagini di assedi, rispetto agli scontri campali, trova una logica se si analizzano i contesti e le fonti testuali: gli Assiri cercavano di evitare lo scontro preferendo il raggiungimento dello scopo attraverso altri mezzi. Non è certo una forma di pietà per i nemici, ma il tentativo di evitare l’uso della forza e un dispendio fisico di mezzi e uomini che dovevano essere spostati, nutriti, equipaggiati e curati: la macchina bellica assira, da un lato, era una fonte di sostentamento per l’impero, ma allo stesso tempo era un costo per la gestione e il mantenimento. Lo studio di Mistrini considera anche gli aspetti nascosti, o meno evidenti, tentando di scrivere una storia militare dell’Assiria più realistica.
I reparti dell’esercito
Gli armati dell’esercito assiro, siano essi autoctoni oppure soldati di origine straniera arruolati all’occorrenza, erano divisi principalmente in tre grandi unità: fanteria, cavalleria e reparto carrista. Le tre unità si distinguevano non solo per il tipo di funzione rivestita nelle fasi di attacco, ma anche per la presenza o assenza di soldati stranieri. A loro volta, se le unità costituivano le macrostrutture dell’esercito, i corpi rappresentavano i singoli settori o microstrutture della complessa macchina bellica. Le unità, infatti, si componevano di singoli corpi che potevano essere, al contempo, parte di più unità o comporre uno specifico ed esclusivo settore di una sola unità. La fanteria, con le ulteriori suddivisioni in fanteria leggera e fanteria pesante (a seconda del tipo di abbigliamento corazzato indossato dalle milizie), raccoglieva il maggior numero di soldati, sia assiri sia stranieri. Essa costituiva il vero punto di forza dell’esercito assiro, dal momento che era composta di un gran numero di uomini armati e si caratterizzava per la forte versatilità nelle azioni di attacco, in particolare nelle operazioni di assalto e di assedio di città fortificate.
Illustrazione di Johnny Shumate.
Nella fanteria erano compresi tutti i corpi dell’esercito: arcieri, lancieri, frombolieri e genieri. Proprio questa variegata composizione garantiva la versatilità e la possibilità di adattarsi a ogni tipo di situazione e imprevisto. Inoltre, la presenza di tutti i corpi, e quindi di molteplici armi differentemente impiegabili, caratterizzava la fanteria come l’unità di attacco per eccellenza dell’esercito, dal momento che i fanti potevano combattere sia singolarmente sia in gruppi, arrivando a formare sia unità minime di due soldati (schieramento a coppie) sia falangi più compatte (più coppie combinate insieme in file di soldati). In particolare, decisamente efficace era la combinazione tattica di un arciere e di un lanciere (quasi sempre entrambi assiri): si può facilmente comprendere come tale dispiegamento tattico avesse forti vantaggi sia nella riuscita dell’attacco sia nel mantenere alto il morale della truppa, che, confortata dalla presenza di un commilitone, si sentiva più forte e spinta a perseverare nel combattimento.
Logiche d’attacco
Combinazioni a coppie potevano quindi prevedere sia azioni di attacco diretto e costante, sia azioni di contenimento: nel caso della coppia arciere-lanciere si potrebbe parlare di un’azione di attacco limitato o di contenimento, dal momento che solo l’arciere era impegnato nell’attacco con il lancio di dardi contro i nemici, mentre il lanciere, provvisto di scudo in una mano e di lancia nell’altra, aveva l’incarico di proteggere sé stesso e il compagno dal tiro di munizioni avversarie. Tali coppie non erano quasi mai schierate nelle primissime file, ma usualmente coprivano le coppie di arcieri in testa allo schieramento, appostate sotto le mura nemiche negli assedi. La coppia di arcieri, invariabilmente di soli assiri o di soli soldati ausiliari, costituiva invece il binomio di attacco costante e diretto: tali coppie erano dispiegate in testa allo schieramento e al di sotto delle fortificazioni delle cittadelle assediate ed erano incaricate del lancio continuo e alternato di frecce contro i nemici, che, arroccati sui bastioni delle mura, scagliavano proiettili e frecce verso il basso. Nell’alternarsi tra scocco della freccia e ricarica dell’arco, i due arcieri giungevano quasi ad un’azione sincrona, che prevedeva di non lasciare alcuna possibilità al nemico di potersi difendere e contrattaccare allo stesso tempo. A tale azione bellica un contributo determinante era dato dalla cavalleria, che non solo era una preziosa unità di combattimento con arcieri e lancieri che si potevano muovere velocemente sul campo di battaglia, ma era anche un’unità di comando che raccoglieva in sé il corpo delle guardie personali del re e, quindi, alti funzionari di comando sia politico sia militare.
Illustrazione di Ángel García Pinto.
A partire dal regno di Sargon II, l’uso del cavallo in ambito militare aumenterà esponenzialmente: gli stessi testi risalenti a questo sovrano documentano l’importanza della cavalleria e della gestione dei cavalli in generale ottenuti tramite tributi, bottino di guerra, tasse e doni personali al re assiro. Come affermato, l’esercito assiro non era mai sconfitto: anche quando subiva delle perdite queste erano irrisorie rispetto alle pesanti sconfitte che riusciva a infliggere ai nemici. Certo possiamo immaginare che la situazione fosse realmente ben diversa, anche se è innegabile, stando alle fonti e osservando il progresso delle conquiste assire dal IX al VII secolo a.C., che la macchina bellica assira fosse un organismo perfettamente funzionante e di eccellenza, con unità e corpi altamente specializzati e allenati per affrontare, quando necessario, ogni tipo di scontro. Sicuramente questo era il risultato di una pianificazione attenta delle azioni da intraprendere e dalle contromosse degli avversari: una intelligence ben strutturata, come ha magnificamente descritto Nathan Morello (cfr. Fassone, Morello, 2018), operava su vasta scala con la redazione di dispacci informativi precisi, fondamentali per elaborare il piano di attacco da parte del re e dei suoi generali e studiare la logistica delle truppe.
Trionfi e cerimonie
Il fine della campagna militare era il Lebensraum, l’inglobamento di nuovi territori all’impero, con tutto quanto ne derivava: tutte le operazioni militari del sovrano, che muoveva ogni anno in guerra durante la stagione primaverile, si dovevano concludere con cerimonie di trionfo degne, che mostrassero i risultati ottenuti alla popolazione, agli altri regni, ma principalmente alla corte stessa e al dio Assur. Un primo momento trionfale si celebrava al termine della battaglia, quando le schiere di prigionieri erano scortate al cospetto del sovrano e i funzionari dell’esercito valutavano il bottino razziato: consueto e raccapricciante era l’uso di contare le teste mozzate ai nemici; mentre un’azione ritenuta altamente eroica era premiata con una speciale donazione e spartizione del bottino. Ma le vere celebrazioni vittoriali avevano luogo in Assiria, nella capitale e nei grandi centri sacri della madrepatria: Ninive, Arbela e Assur. Il sovrano compiva una sorta di tour trionfale, dove ripercorreva e presentava alle divinità gli esiti di un’azione di conquista risoltasi con una piena vittoria grazie al loro aiuto.
Illustrazione di Ruggero Giovannini.
Le celebrazioni prevedevano quindi cortei di festeggiamenti con inni, canti e musica e la rituale caccia al leone, nella quale il re sublimava, nell’atto di uccidere l’animale, la propria supremazia e invincibilità. Anche se non è attestato da fonti primarie, è presumibile che la popolazione assistesse a questi eventi, assieme ad ambasciatori e rappresentati dei regni alleati: il re e il dio Assur erano i protagonisti del trionfo, ma si trattava di una celebrazione globale che doveva siglare il conseguimento dei risultati con l’entrata trionfale del re nella città assira (erāb āli) da dove era partito per la campagna militare e dove tornava dopo il successo. Diversi erano appunto i luoghi del trionfo, dalla capitale, nella quale sorgeva la residenza principale del re, ai più importanti luoghi sacri del paesaggio religioso, nei quali sorgevano i templi e i santuari degli dèi. Arruolamento, allenamento e gestione delle truppe, campagne militari di conquista annuali e trionfi erano solo i punti emergenti di un’organizzazione che prevedeva molto altro sia in termini di quantità, sia in termini di personale coinvolto: la documentazione a nostra disposizione, soprattutto i testi amministrativi, ha permesso a Vincenzo Mistrini di analizzare in dettaglio la struttura dell’esercito assiro, approfondendo i singoli elementi che componevano una delle macchine belliche più efficienti e organiche dell’antichità.
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