Ok, Houston: ora che le celebrazioni per il cinquantenario del passettino di Neil Armstrong si stanno sopendo possiamo dirlo: che noia mortale la Luna! Ai tempi di Apollo 11 già si sapeva che il satellite più vicino alla Terra non è fatto di formaggio o di miele, non è un volto benevolo, non ha niente a che fare con un luna park, ma è in realtà una palla di roccia fredda e invivibile. Fa bene Dino Buzzati a ostentare distacco rispetto alla Grande Conquista del primo allunaggio. Nel suo brevissimo racconto Non deluderci, Luna (distiamo 4,23 anni luce da Proxima Centauri e un anno gregoriano dal 1968) fa notare che le vicende dell’umanità, nel loro complesso, non saranno sconvolte più di tanto da Apollo 11. Cambiare radicalmente l’immagine del satellite (facendolo schizzare via come in Spazio 1999 per esempio), quello sì che sarebbe un autentico shock culturale o una “rivoluzione”, per usare un termine in voga in quegli anni.
Sì, è vero, Luna 1969 ha avuto importanti ricadute scientifiche ed economiche per gli umani. Ma queste sono colate troppo lentamente nei decenni successivi per essere davvero sentite a livello immaginativo. È pur vero che Luna 1969 ha il merito, e lo celebriamo a ogni anniversario, di rendere omaggio a tutte quelle volte che l’astro bianco e grigio ha spinto in avanti l’uomo facendo leva sull’immaginario.
Neil Armstrong non ha semplicemente toccato un planetoide roccioso: ha stabilito un contatto con sua maestà la Luna che con la sua albedo regna sovrana sul cinquanta percento del nostro cielo (se consideriamo il giorno come l’altra metà, ovvero il regno del Sole). Si pensi all’importanza del fondamentale dualismo Sole/Luna nel definire e plasmare le origini dei nostri cicli circadiani, dei calendari, delle religioni e di chissà quanti altri sistemi culturali. Nell’antichità greco-romana “le divinità lunari erano sempre descritte come femminili (Selene e Artemide in Grecia e Luna e Diana a Roma)” e “la Luna svolgeva un ruolo fondamentale e benigno” (Maelström, Tetro, 2019) per l’agricoltura e per la pesca. Gli umani avevano intuito un collegamento tra le fasi lunari e i cicli dei campi, delle maree e della fertilità femminile. Da qui un’inevitabile sequela di ramificazioni nella mitologia e nell’immaginario pre-moderno.
La nostra Luna di miele con l’immaginario
Poi un giorno è arrivata la modernità. E poco dopo Apollo 11. La scienza (non la religione o la superstizione) ci ha condotti verso un rapporto nuovo, probabilmente più profondo perché più assiduo, con la metà notturna del cielo. Ma anche negli scenari numerici, discreti e normalizzanti della scienza, il legame con la Luna viene costruito quasi sempre grazie a una espressività non verbale, alla potenza evocativa delle immagini: le antiche osservazioni astronomiche, le costellazioni fantasticate e lo zodiaco come prime forme di narrativizzazione del cielo; poi sono venute le illustrazioni a stampa e oggi non riusciamo ad appassionarci a una conquista astronomica che non sia accompagnata da bellissime fotografie ad alta definizione.
Ecco perché l’antologia Viaggi sulla Luna inquadra il pianeta come un’esibizione anzitutto per gli occhi. Il curatore Fabrizio Farina punta a evidenziare la varietà offerta dalla stratificazione dei segni lasciati dal pallido planetoide nel nostro immaginario. La selezione evidenzia una certa voglia di surrealismo, e più precisamente un gusto per la decomposizione della Luna come segno grafico: scelta fondamentale per riuscire a far convivere stili e sogni così diversi e lontani nel tempo e nello spazio.
Nella divertente introduzione, preparata dallo stesso Farina, l’equipaggio dell’Apollo 11, alle prese con la faccia oscura della Luna, scopre tracce di un “bel via vai di personaggi” approdati lì in diverse epoche. La superficie lunare si scopre un immenso museo dell’immaginazione. C’è tutto in rappresentanza di qualsiasi racconto riguardante la Luna, compreso il famoso “proiettile del film Viaggio nella Luna di Georges Méliès”, quello finito “dritto nell’occhio del nostro satellite” a inizio Novecento.
Quando la missione volge al termine i ragazzi della Apollo 11 decidono di non rivelare la clamorosa scoperta e di non prendere niente dal museo perché è “sempre stato così e così dovrà rimanere, tutti devono poterci andare sulla Luna e trovare le stesse cose”.
In definitiva la Luna è la calamita emozionale che ha trascinato l’umanità fuori dal suo elemento naturale (o meglio dalla sua biosfera tradizionale) per gettarla in un viaggio infinito verso la tecnologia e il cosmo.
Quella strana faccia della Luna
Ne Il racconto del lupo mannaro di Tommaso Landolfi, la letteratura italiana della prima metà del Novecento offre sprazzi di surrealismo che anticipano Italo Calvino, seguendo il filo di una presunta razionalità animalesca. È l’avventura di due lupi perseguitati dalla Luna, che confabulano e finiscono con il lanciarsi nell’impresa di catturare la terribile luce nel cielo e intrappolarla in un camino per riempirla di fuliggine e renderla meno luminosa una volta risalita in cielo. Anche i lupi sono dunque capaci di follie scientifiche ma alla fine “contro la Luna non c’è niente da fare” e “il vento degli spazi e la sua corsa stessa l’andavano gradatamente mondando della fuliggine, e il suo continuo volteggiare ne riplasmava il molle corpo”.
La Luna resta lì, a guardarci e a farsi guardare/desiderare. La Luna è ineluttabile. La pazzia dei lupi non è molto dissimile dalla lucida follia del protagonista del racconto di Dino Buzzati, Non deluderci, Luna, che esalta l’aspetto preminentemente visivo del rapporto uomo-Luna per motivi politici: l’idea che possa venir meno quel dischetto bianco e grigio dal nostro cielo sconvolgerebbe assetti culturali plurimillenari. Buzzati pone evidentemente il problema del primo allunaggio come gesto rivoluzionario solo apparente: un venticello incapace di dare un ulteriore contributo alla spinta del Sessantotto. Bene dunque che “la Luna se ne vada” proprio nel fatidico momento in cui Armstrong scende dalla scaletta. Che l’astro “tolga gli ormeggi” e si metta a viaggiare nel cosmo per i fatti suoi.
“Vederti rimpicciolire a poco a poco, restringerti, giù per le profondità sconfinate, in silenzio, diventare una palla, una pallina, un lume, un lumicino, un punto di luce, e poi più niente”.
Ma a dispetto di questa concezione politica del segno, altri racconti sulla Luna, specie quelli ottocenteschi o comunque in odore di positivismo, si lasciano andare con entusiasmo al fascino delle speculazioni scientifiche basate sui dati oggettivi. Come nel racconto di Konstantin Ciolkovskij, Sulla Luna, che per far sopravvivere i poveri protagonisti si riempie di azione e quiz scientifici ma tenendo tutto sull’orlo del tuffo onirico.
Moon e Fake Moon
Oggi per noi che siamo immersi nei social media, sembra esserci poco spazio per l’epica e per i discorsi come quello del 1962 in cui Kennedy annuncia la missione lunare. Più facile pensarla fake questa moon.
In effetti mitomanie e teorie del complotto, noiose come le tasse, aleggiano nelle commemorazioni del cinquantenario di Apollo 11. Stanley Kubrick (colpevole di aver girato un popolare film di fantascienza particolarmente convincente sul piano fotorealistico), Hollywood (riconosciuta fabbrica dei sogni collettivi) e Richard Nixon diventano tutt’uno a rappresentare l’establishment, il Palazzo. Dall’altra parte l’uomo comune, eternamente sedotto e turlupinato dalla politica, che proprio non riesce a capire cosa gliene potrebbe venire in tasca da una qualsiasi impresa cosmica. L’uomo-massa contemporaneo è abituato al tele-comando, alla montagna che va da Maometto, e il suo ego è sufficientemente grande da pretendere ogni volta una ri-esibizione delle prove a sostegno di eventi storici come Luna 1969. Nella spassosa introduzione, Farina non si sottrae all’ineluttabile circostanza di dover pagare dazio al complottismo (“le cose non sono andate come la versione ufficiale vuol farci credere”) ma gioca con ironia parlando dei “primi uomini in carne e ossa a mettere piede sulla Luna”, ultimi cioè di una lunga serie di uomini non in carne e ossa.
“Quello che vediamo o che crediamo di vedere, a questo punto non fa molta differenza”.
La Luna diventa così il Museo della Fantascienza-diventata-Scienza. Persino il moonwalk di Cab Calloway genera delle “strisciate regolari sul terreno” facendone una realtà concreta. In pratica ogni singola intuizione artistica, dal semplice nome di un ballo ai più complessi universi narrativi focalizzati sul nostro satellite, diventa una installazione materialmente tangibile. Nella introduzione/racconto di Viaggi sulla Luna tutti gli universi narrativi possono diventare reali, proprio come può diventare reale l’universo narrativo di chi non crede nell’allunaggio del 1969 oppure di chi non crede che la Terra sia una sfera.
La Luna come monolito della Storia umana
Come con il monolito di 2001, la Luna con la sua dialettica stasi-movimento resta sempre lì, ferma e impassibile ma nello stesso tempo seducente a invogliare strappi tecnoscientifici. Imprese come quella del 1969 sono salti che definiscono l’andamento non-lineare della Storia umana: da una parte si allontana lo spettro di un teatro di guerra generalizzato e ubiquo come ai tempi delle guerre mondiali, ma dall’altro le armi si fanno sempre più devastanti e anche i conflitti economici e ideologici bruciano, creando fratture politiche e ondate di populismo antiscientifico. Per Peppino Ortoleva le bufale come quella della falsificazione dell’allunaggio sono narrazioni informali che costituiscono la “parte più magmatica e mutevole” di una nebulosa di miti non strutturati emersi allo scopo di consentire uno “sfogo più immediato e spontaneo per ossessioni diffuse” (Ortoleva, 2019) e prive di voce.
Insomma gli Stati Uniti, mentre andavano a vincere la Luna e la Guerra Fredda con la cultura tecnoscientifica e la politica, contemporaneamente gettavano ombre su qualsiasi evento storico affinando le armi della propaganda, dello spionaggio internazionale e della narrativa cinematografica. Le teorie complottistiche non hanno fatto altro che incrociare il disagio per la crescente influenza dei media e della volontà di potenza statunitense. Il risultato è una certa nostalgia per dinamiche di trasmissione culturale premoderne basate sul carisma. In questo regime di post-verità e cinismo è significativo che per il mockumentary del 2002 Operazione Luna di William Karel, il cosiddetto establishment americano si sia sentito in dovere di metterci la faccia prestandosi con serietà alla gigantesca burla: Buzz Aldrin, Christiane Kubrick, Henry Kissinger e persino Donald Rumsfeld, segretario di stato degli USA sotto attacco nel 2001.
La bolla dell’allunaggio
Nel racconto Sulla Luna di Walter Fontana esiste una base lunare chiamata “Non siamo mai stati sulla Luna”. Si tratta di un luogo dove vengono deportati tutti quegli scienziati ed ex dipendenti Nasa “che nel corso degli anni hanno aperto qualche cassetto che sarebbe stato meglio lasciare chiuso”. Il fatto che le deportazioni siano cominciate all’inizio degli anni Ottanta incatena la mente dei galeotti a quell’epoca. All’epoca “Frankie Goes To Hollywood, Ultravox e Simple Minds vanno fortissimo, come del resto le Timberland e la Thatcher, il reaganismo e le cravatte spiritose”.
Interessante accostamento: gli ombrelli ideologici dei complottisti/negazionisti e quella gigantesca bolla estetica che oggi chiamiamo nostalgia per gli anni Ottanta. L’attuale mediascape sembra mostrare con insistenza la mappa di territori segnati dai recinti delle filter bubble (cfr. Pariser, 2012). Se il Rinascimento mette l’uomo al centro, la contemporaneità (in particolare le energie politiche del capitalismo contemporaneo) sembra voler conferire centralità all’ego individuale. Ognuno di noi può essere una Luna.
Su questo punto è invece di segno opposto il focus sulla post-verità da parte di Federico Lai: nel suo racconto Non c’è peggior sordo, scritto appositamente per l’antologia, ci invita a riflettere su quanto sia invece verosimile il ritorno al potere dei nuclei di pensiero più ideologizzati.
Nel mondo descritto da Lai “ognuno studia quello che vuole, a casa o in una scuola privata gradita ai genitori” e le autorità non intervengono perché “chi vuole gente istruita da governare?”. Leader populisti e negazionisti come Hashtley riescono a tenere in mano l’opinione pubblica argomentando su quanto fosse pericoloso e manipolatorio il potere tecnoscientifico.
On the sunny side of the Moon
Mitomani e falsari sono anche l’astronauta ubriacone e il giornalista a caccia di scoop nel racconto di James Ballard, L’uomo che camminò sulla Luna (pubblicato per la prima volta nel 1985). Ma sono solo gli ultimi di una lunga schiera di viaggiatori abusivi che hanno conquistato la Luna in sogno finendo con il confondere i contorni di ciò che è reale. Tutti simbolo di quanto la Luna sia capace di insinuarsi clandestinamente nei nostri pensieri fino a condizionare i nostri sogni.
In Requiem anche Delos Harriman non è mai stato sulla Luna: ha speso una vita intera dietro al sogno di creare un mercato per i viaggi lunari e vorrebbe finalmente sperimentarli di persona nonostante l’età molto avanzata. Robert A. Heinlein è uno scrittore dell’età dell’oro della fantascienza americana che ha dedicato ampio spazio al contesto capitalistico e alle implicazioni economiche del sogno spaziale: in Requiem intuisce l’importanza delle conseguenze psicosociali e i nuovi bisogni generati dalle nuove conquiste.
La narrativa premoderna sulla Luna è anche la narrativa sui primi esseri extraterrestri che si caratterizza fin da subito come un pretesto per analizzare l’umano. La Luna tende a essere spesso l’alter ego storico e sociologico del pianeta Terra. Il viaggio proposto da Edgar Allan Poe conferma le commistioni tra il mondano, i commerci e un piano cosmico tutt’altro che astratto o spirituale. L’incomparabile avventura di tale Hans Pfaall di Poe sembra seguire il filo di un pensiero di Mark Twain: “ognuno di noi è una luna” (Twain, 2011) e vuole fare il suo viaggio per il suo tornaconto personale.
Il racconto di Stanley Weinbaum, La Luna pazza, arriva addirittura a riannodare i rapporti tra la conquista dello spazio e il passato colonialista, provando a condensare uno strano orgoglio patriottico umanoide nella lotta per la sopravvivenza in una flora e una fauna mai così dense nel nostro Sistema Solare immaginario. Il protagonista è Grant Calthorpe, un temerario ex cacciatore di “velaffilata e filivermi su Titano, triopi e unipedi su Venere” ora ridotto a raccoglitore di foglie per l’industria del farmaco contro la febbre gioviana. Grant ci ricorda l’età eroica delle grandi esplorazioni geografiche, dei passaggi a nord-ovest.
Non importa quanto siano affinate le nostre conoscenze sull’astro nel corso dei secoli. Non importa che a quel volto pallido corrisponda in realtà una sfera di roccia invivibile. L’immaginario segue il suo corso e ci ricorda che la Luna si trova dalle parti del mito ed è una proiezione dei nostri desideri. Prima di tutto desideri di scienziati e di artisti. Nel 1969 “qui uomini del pianeta Terra posero, per l’ennesima volta, piede sulla Luna”.
- Maelström (a cura di), Michele Tetro (con la collaborazione di), La Luna nell’immaginario. Storia, letteratura, cinema, Odoya, Bologna, 2019.
- Peppino Ortoleva, Miti a bassa intensità. Racconti, media, vita quotidiana, Einaudi, Torino, 2019.
- Eli Pariser, Il filtro. Quello che internet ci nasconde, Il Saggiatore, Milano, 2012.
- Mark Twain, Lettere dalla Terra, Piano B, Prato, 2011.
- Gerry Anderson, Spazio 1999, Password, 2019 (home video).
- Stanley Kubrick, 2001: Odissea nello spazio, Warner Bros. Entertainment Italia, 2007 (home video).
- Georges Méliès, Méliès l’Illusionista – Le origini del cinema (1896-1903), Medusa Film, 2009 (home video).