“Perché abbiamo bisogno dei viaggi nel tempo, quando abbiamo già viaggiato nello spazio così velocemente e così lontano? Per la Storia; per il mistero; per la nostalgia e la speranza; per testare il nostro potenziale ed esplorare i nostri ricordi; per contrastare il rimpianto della vita vissuta, la nostra unica vita, una sola dimensione, dall’inizio alla fine”. Così James Gleick, brillante divulgatore scientifico, da sempre attento studioso del rapporto tra scienza e immaginario di massa (il suo libro Caos ispirò a Michael Crichton il personaggio di Ian Malcolm in Jurassic Park), riassume nel suo dottissimo e leggibilissimo Viaggi nel tempo le motivazioni che hanno spinto generazioni di visionari, a partire dalla fine del XIX secolo, a inventare modi diversi di superare gli stretti confini del nostro presente.
È l’ansia di intravedere il futuro prossimo e remoto a spingere H.G. Wells, al volgere del secolo, in un momento in cui il mito del progresso era ancora immacolato, a inventare il primo Viaggiatore del tempo; è l’ansia di rivivere il tempo perduto a convincere Marcel Proust a imbarcarsi nel suo viaggio a ritroso nella memoria a bordo dell’arca di Noè rappresentata dalla sua camera rivestita da pareti di sughero; ed è il desiderio di immaginare che si possa cambiare in qualche modo l’unica vita che ci è dato di vivere, magari tornando indietro e facendo scelte diverse a quei bivi che scandiscono la nostra tormentata esistenza, a spingerci a consumare febbrilmente romanzi, film e serie TV che ci propongono linee temporali alterabili e alternative.
Fisici e filosofi, tuttavia, hanno anche un’altra motivazione che li spinge a baloccarsi con l’idea fantascientifica del viaggio nel tempo: studiare il Tempo (o, meglio, lo spazio-tempo) nella sua essenza, per riuscire a svelarne i misteri e tracciarne topologia e dinamica. È quel che fanno, nella loro densissima Filosofia del futuro (sottotitolo obbligatorio: Un’introduzione), i filosofi Samuele Iaquinto e Giuliano Torrengo, coordinatori del Centre for Philosophy of Time all’Università di Milano.
Eternisti e presentisti
Gli esperimenti mentali, o gedankenexperiment, hanno del resto una storia illustre nell’ambito della fisica teorica, e sono serviti a compiere importanti balzi in avanti nella nostra comprensione della realtà: basti pensare agli esperimenti mentali di Galileo sul moto dei corpi nel vuoto, che demolirono la fisica aristotelica; all’esperimento dell’ascensore di Einstein, che portò allo sviluppo della relatività speciale; al paradosso EPR proposto sempre da Einstein e da suoi due colleghi per mettere in crisi la meccanica quantistica, ma che portò alla scoperta della proprietà fondamentale della non-località dei fenomeni quantistici; o, sempre nello stesso ambito, il celeberrimo paradosso del gatto di Schrödinger. Ma, per quanto a loro agio con paradossi e situazioni surreali, fisici e filosofi non riusciranno mai a eguagliare la fantasia degli scrittori di fantascienza. Per questo, tanto Gleick quanto Iaquinto e Torrengo saccheggiano a piene mani dall’immaginario fantascientifico per comprendere il modo in cui è possibile pensare il problema del tempo e quello, in particolare, del futuro, attraverso l’espediente del viaggio temporale.
Rod Taylor a bordo della macchina del tempo. Il film dall’omonimo romanzo di H.G.Wells è Time Machine (1960) di George Pal.
Tra le storie più interessanti Gleick cita quella di Robert Heinlein, Un gran bel futuro, del 1941, tra i primissimi racconti a mettere in scena il problema della moltiplicazione dei diversi “sé” causata dai viaggi indietro nel tempo, e naturalmente La fine dell’Eternità di Isaac Asimov del 1955, romanzo che pone tutta una serie di problemi legati al determinismo e al libero arbitrio che ritroveremo in Filosofia del futuro.
I due filosofi italiani si divertono soprattutto a dissezionare un particolare episodio di Star Trek: Deep Space Nine, dal titolo Visioni future, classico esempio di paradosso temporale prodotto da un viaggio nel futuro che spinge il protagonista, ritornato nel suo presente, a cercare di impedirne la realizzazione; e a stimolare la riflessione sulla “predizione” del futuro attraverso i pre-cog di Philip Dick utilizzati dallo scrittore californiano in romanzi celebri come Ubik e in storie come Rapporto di minoranza.
Cosa possano o meno fare i viaggiatori del tempo dipende infatti da come funziona lo spazio-tempo, o meglio dalla sua topologia. Gli studiosi distinguono al riguardo tra le A-teorie e le B-teorie, sulla base di una distinzione risalente al 1908 e proposta dal filosofo John McTaggart Ellis McTaggart (il cognome ricorsivo non è un errore), che Gleick riassume così: “La serie B è fissa, permanente. L’ordine non cambia mai. La serie A è mutevole: «Un evento che ora è presente, era futuro e sarà passato»” (Gleick, 2018).
Il divulgatore e storico della scienza James Gleick.
McTaggart prediligeva la prima soluzione, quella oggi nota come eternalismo, che nelle sue accezioni radicali porta a ipotesi come quella dell’Universo-blocco, in cui tutti gli istanti esistono già dall’inizio del Tempo (o, se il Tempo non esiste, da sempre), ed è solo il nostro peculiare punto di vista a darci l’impressione di un tempo che fluisce in avanti. I fisici, generalmente, gli danno ragione, perché ci sono diversi indizi provenienti dalla teoria della relatività, dalle simmetrie vigenti nella fisica delle particelle e dalle teorie di gravità quantistica che sembrano suggerire l’esistenza di un universo atemporale, o in cui comunque la freccia del tempo che noi sperimentiamo, e che ineluttabilmente punta dal passato verso il futuro, non costituisca un aspetto fondamentale della realtà.
A queste visioni si contrappongono i presentisti, per i quali “la realtà in toto è costituita solo dal presente, ed è con ciò in un costante mutamento” (Iaquinto e Torrengo, 2018). Questo naturalmente ha influenza anche nella struttura delle storie sui viaggi nel tempo. Miles O’Brian, il protagonista dell’episodio di Deep Space Nine, vede una situazione nel futuro che vuole impedire – la distruzione della stazione spaziale – e quando ritorna nel suo tempo cerca di impedirla; ma se hanno ragione gli eternisti, sembra ci sia poco da fare: ha infatti visto qualcosa che esiste nel futuro e che resterà tale a prescindere dai suoi sforzi per impedirlo. Se invece accettiamo che esista solo il presente, come vogliono i presentisti, allora il futuro non esiste ancora e quel che O’Brian vede è solo uno dei possibili scenari che potrebbero o meno avverarsi. In tal caso il futuro è ramificato e, nel corso del fluire del nostro punto nel presente in avanti, selezioneremo sempre una e una sola delle possibili ramificazioni del futuro, che passerà da uno stato di probabilità a uno di realtà.
Futuri aperti e chiusi
Le cose, però, non sono per nulla così semplici e intuitive (quando mai lo sono, quando si ha a che fare con i viaggi nel tempo?). Come fanno notare Iaquinto e Torrengo, infatti, “di per sé non è incoerente sostenere che il futuro ha una struttura lineare, anche se non sono le leggi di natura a determinare che cosa vi troveremo, ossia cosa accadrà”, a prescindere dalle nostre azioni.
Ci viene in aiuto, in questo caso, la disamina di Gleick del romanzo di Asimov: ne La fine dell’Eternità, infatti, il futuro è chiuso ma gli eventi non sono determinati dalle leggi di natura, quanto dalla casta degli Eterni i quali, vivendo al di fuori del continuum spazio-temporale, possono modificarlo a loro piacimento.
Non c’è nulla che noi, esseri che vivono nel continuum, possiamo fare per cambiare le cose: gli Eterni possono in qualsiasi momento cambiare le carte in tavola in favore dei loro piani. Analogamente, accettando l’ipotesi dell’esistenza di un Dio che interviene nel Tempo, “il futuro sarebbe comunque necessitato dalla volontà divina: anche se in tale universo le leggi di natura lasciano aperti molti futuri alternativi, l’intervento di una (o più) divinità ne necessiterebbe sempre e solo uno” (Iaquinto e Torrengo, 2018).
Un tipico paradosso temporale: tornando indietro nel tempo, Marty McFly rischia di impedire la sua stessa nascita in Ritorno al futuro (1985).
L’idea che il libero arbitrio umano sia comunque conservato pur in presenza di un universo chiuso è difesa anche dal filosofo Mauro Dorato, che nel suo libro Che cos’è il tempo? (2013) riprende il classico esperimento mentale della battaglia navale in chiave fantascientifica (proposto in tale forma per primo da Roger Penrose): per due persone in moto reciproco che si incontrano a un certo punto – per esempio il capitano Kirk sull’Enterprise e il comandante Sulu sulla Excelsior, le cui astronavi si incontrano in un punto in orbita terrestre – gli “spazi simultanei”, ossia gli spazi in cui tutti gli eventi che avvengono appaiono all’osservatore simultanei, sono diversi. Entrambi quindi non concorderanno con un evento avvenuto molto distante da loro, per esempio la partenza di una flotta aliena dalla galassia di Andromeda: per Kirk, che si sta avvicinando alla Terra allontanandosi da Andromeda, l’evento è nel futuro, mentre per Sulu, che è partito dalla Terra e si avvicina un po’ più ad Andromeda, appartiene già al passato. Questo vorrebbe però dire che per Kirk il comandante alieno, pur non avendo ancora preso la decisione, sarà costretto a decidere di attaccare perché questa scelta appartiene al presente di Sulu. Per Dorato, tuttavia, la decisione del comandante andromediano dipende sempre da sue personali valutazioni e da fatti avvenuti nel passato, perché “la relatività speciale al fine di stabilire la compatibilità tra determinismo e libertà è del tutto irrilevante” (Dorato, 2013).
Analogamente, quella del futuro aperto non è un’idea così semplice come potrebbe apparire a prima vista. Per “futuro aperto” s’intende l’idea di un futuro fatto di innumerevoli, potenziali diramazioni. Nella logica di senso comune, accettiamo il principio che le nostre scelte rendano una sola di queste diramazioni “reale”. Ma, nell’ipotesi del multiverso e in particolare nell’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica proposta da Hugh Everett III e Bryce DeWitt, è possibile anche ipotizzare che tutte le ramificazioni siano davvero reali, in altri universi.
“I sostenitori dell’interpretazione a molti mondi sono come accumulatori seriali, incapaci di buttare via qualcosa; non ci sono strade che non vengono percorse. Tutto ciò che può succedere, succede. Tutte le possibilità sono realizzate, se non qui, in un altro universo” (Gleick, 2018).
Si tratta di una soluzione deterministica, dove a noi non viene lasciata alcun tipo di scelta, pur in presenza di un futuro aperto. L’ipotesi del multiverso è stata proposta da alcuni fisici teorici, in particolare David Deutsch, come soluzione per rendere possibili i viaggi nel passato: quando il viaggiatore nel tempo torna nel passato impedendo la propria nascita, non scompare dal continuum come sembra avvenire a Marty McFly nel primo episodio di Ritorno al futuro: lui proviene infatti da una diversa linea temporale, nella quale può fare ritorno ma in cui la sua nascita è un evento ineluttabile; con il suo agire, ha creato una nuova diramazione, una linea temporale nella quale lui invece non è mai nato, ma in cui può risiedere in quanto proveniente da una linea alternativa (cfr. Everett e Roman, 2016).
Se il futuro è aperto in questo senso, se cioè l’ipotesi del multiverso è reale, allora Miles O’Brian nell’episodio di Deep Space Nine non impedisce al futuro che ha visto di realizzarsi, ma provoca la creazione di una linea temporale alternativa. In un episodio di Star Trek: Voyager, per esempio, il guardiamarina Henry Kim muore e viene sostituito da un suo doppio proveniente da un continuum diverso, che però conserva gli stessi ricordi. Ciò pone, inevitabilmente, l’amletico quesito se il Kim che prende il posto del suo omologo ne conservi l’identità.
Visioni di possibili futuri da parte dei precog di Minority Report (2002), dall’omonimo racconto di Philip Dick.
Etica del possibile
Ma il vero punto interessante che pongono Iaquinto e Torrengo nel loro libro riguarda l’etica del futuro. Molti filosofi, come per esempio Hans Jonas (2009), hanno parlato della responsabilità nei confronti delle generazioni future; ma l’esistenza di tali generazioni future dipende dalle nostre scelte nel presente. Se per esempio in questo momento una coppia di fidanzati decide di avere un figlio – tralasciando la possibilità di ostacoli come difficoltà di concepimento o problemi in gravidanza – allora essi diventano responsabili della nascita nel prossimo futuro di un essere umano; ma se, anziché prendere questa decisione, essi scegliessero di non avere figli o di separarsi, quell’essere umano esistente in potenza nel futuro scomparirà. Ciò assume un rilievo senza dubbio maggiore su scala più ampia:
“Ad esempio, sembra giusto cercare di non sfruttare l’ambiente terrestre oltremisura per non creare un danno alla qualità della vita delle generazioni future. Se però l’umanità sceglie altrimenti e fa sì che fra duecento anni i nostri pronipoti si ritrovino in un mondo allo stremo, non è che chiaro che una nostra scelta diversa avrebbe in effetti portato a qualcosa di migliore per loro. Infatti, se l’umanità presente non avesse sfruttato l’ambiente oltremisura, le generazioni future non sarebbero quelle che fra duecento anni vivranno in un mondo allo stremo, ma molto probabilmente sarebbero altre persone” (Iaquinto e Torrengo, 2018).
Con un esempio ancora più estremo, si potrebbe sostenere che impedire una delle più grandi tragedie della Storia, la Shoah, sarebbe sicuramente eticamente corretto se potessimo in qualche modo cambiare il passato (magari con il classico topos di tornare nel passato e uccidere Hitler, ammettendo che uccidendo un solo uomo sia davvero possibile salvarne sei milioni); ma per alcuni teologi ebrei, la Shoah è stata il prezzo pagato per ottenere in ricompensa la Terra Promessa, il ritorno a Israele che realizza le profezie messianiche sul destino del popolo ebraico (cfr. Dal Maso, 2007). È senza dubbio vero che, senza la Shoah, la costituzione dello Stato d’Israele non si sarebbe realizzata, per cui le generazioni che hanno potuto vivere in Israele non sarebbero esistite. Come possiamo tenere conto di tutto questo quando decidiamo di impegnarci a realizzare quello che riteniamo essere il futuro migliore?
“Quali sarebbero gli istanti futuri da prendere in considerazione nel decidere se un’azione sia lecita o meno? Quanti secondi, minuti, ore, anni devono passare esattamente? Il lettore avrà intuito che, tanto più complessa è l’immagine del futuro offerta da una teoria del tempo, tanto più difficile diventa dare una risposta convincente” (Iaquinto e Torrengo, 2018).
Si tratta di questioni nuove che assumono una rilevanza anche per coloro che si occupano di futures studies, ossia di studiare i possibili futuri (il plurale di futures suggerisce un futuro a topologia aperta) e orientare le scelte decisionali nel presente. Gli Eterni nel romanzo di Asimov calcolano pedantemente tutte le implicazioni di una singola scelta, le possibili ramificazioni nel remoto futuro, prima di decidere cosa modificare nel continuum. Noi non abbiamo questo lusso, e ci limitiamo a immaginare solo alcuni futuri possibili. Questo pone un inesorabile limite alla nostra capacità di anticipazione (cfr. Poli, 2017). D’altronde, se in futuro riuscissimo a padroneggiare una tecnica tanto sofisticata di anticipazione dei possibili futuri, allora faremmo bene a sottrarla al controllo degli Eterni, come proverà a fare Andrew Harlan nel romanzo asimoviano, per restituire all’umanità il suo libero arbitrio.
- Isaac Asimov, La fine dell’Eternità, Mondadori, Milano,
- Monica Dal Maso, Pensare Dio dopo Auschwitz. Il pensiero ebraico di fronte alla Shoah, EMP, Padova, 2007.
- Philip Dick, Ubik, Fanucci, Roma, 2017.
- Philip Dick, Rapporto di minoranza, in Id., Tutti i racconti (1955-1963), Fanucci, Roma, 2013.
- Mauro Dorato, Che cos’è il tempo? Einstein, Gödel e l’esperienza comune, Carocci, Roma, 2013.
- Allen Everett, Thomas Roman, Come viaggeremo nel tempo, Il Saggiatore, Milano, 2016.
- Hans Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi, Torino, 2009.
- Roberto Poli, Introduction to Anticipation Studies, Springer, Basilea, 2017.