Zygmunt Bauman e Riccardo Mazzeo non sono nuovi alla pratica di trasferire in volume le loro conversazioni: eloquenti in tal senso le loro riflessioni sulla scuola (2012). E c’è da dire che i temi che affrontano colgono sempre aspetti cruciali del dibattito contemporaneo, e delle preoccupazioni che agitano il pensare quotidiano, dalla presunta dittatura del web, ai disastri dei sistemi scolastici, ai modi con cui affrontare la quotidianità e le difficoltà e i traumi della condizione umana. Anche Elogio della letteratura è frutto del dibattito tra i due autori, che solo la scomparsa di Bauman ha purtroppo interrotto.
Qui i due autori invitano il lettore a concentrare lo sguardo su due forme centrali del discorso elaborate dalla modernità: la letteratura e la sociologia, accennando en passant al fatto che anche il cinema e le altre forme estetiche funzionano come la letteratura, come canali che sostengono la riflessività dell’individuo contemporaneo sulla propria esistenza.
I due intellettuali nello sviluppo del volume intrecciano le loro riflessioni fondendo l’osservazione e l’analisi dei temi problematici della contemporaneità con continui riferimenti alla letteratura, alla grande letteratura, in particolare quella del Novecento, senza limitarsi a cercare legami diretti fra un problema dell’oggi e una trama di romanzo, ma allargando il discorso ad altre tematiche e ad altre opere estetiche, così da sviluppare una specie di flusso di riflessioni che, nonostante la divisione in capitoli, si svolgono senza soluzione di continuità, prodighe di rifrazioni ed evocazioni, che fungono da spunto per alludere ad altri testi e ad altri temi. Così nel corso del libro si alternano Robert Walser, Milan Kundera, Miguel de Cervantes, Hermann Broch, Jonathan Franzen che legge e si ispira a Karl Kraus, giusto per citarne qualcuno.
In sostanza, il Gotha della letteratura occidentale, anzi di un possibile “canone occidentale”, per citare il libro di Harold Bloom del 1994, magari con un’articolazione diversa da quella del grande critico americano (cfr. Bloom, 2016), ma che alla fine colpisce gli stessi “nervi scoperti” (Carroll, 2009) dell’uomo occidentale: il rapporto col padre, quindi con la tradizione e col sacro; il senso del destino, che torna a ripresentarsi in una dimensione disincantata, ma altrettanto potente; la sussunzione spesso inconsapevole ma comunque difficilmente contrastabile alla società dei consumi, il senso di disorientamento e impotenza con cui a volte guardiamo alle trasformazioni prodotte dallo sviluppo delle tecnologie e dallo strapotere del mercato.
Da sinistra: Zygmunt Bauman e Riccardo Mazzeo.
Sottesa, e apertamente dichiarata nel libro c’è un’assunzione di fondo: che letteratura e sociologia siano profondamente simili. Nell’oggetto, avendo tutte e due a che fare con le reazioni e i comportamenti umani di fronte al mutamento sociale e alle sfide che pone; nel modo di procedere, per la modalità narrativa con cui descrivono quelle province dell’agire umano che volta per volta prendono in esame; nello scopo, che riguarda l’indagine su ciò che si trova alle spalle di ciò che si pone davanti ai nostri occhi, alla nostra esperienza sensibile. Ognuna con i propri strumenti, sociologia e letteratura lo fanno perfettamente, almeno se pensiamo (dopo aver ricordato i grandi scrittori, come fanno il sociologo polacco e l’intellettuale trentino) a quella linea della riflessione sociologica che parte da Max Weber e Georg Simmel per passare per Alfred Schütz, Edgar Morin, Charles Wright Mills, fino a Peter Berger. Proprio quest’ultimo, fra l’altro, ci ha regalato una riflessione sintetica ma perfetta sul rapporto fra letteratura e studio della condizione umana. Nel suo saggio su Robert Musil infatti scriveva: “I grandi scrittori possono non essere bravi nell’offrire teorie e spiegazioni, ma se non altro sanno vedere. E la descrizione, dopo tutto, è un atto della vista […] Può darsi dunque che la letteratura… possa offrire effettivamente la guida migliore per la definizione dell’identità contemporanea” (Berger, 1992, corsivo nel testo).
D’altra parte, lo stesso Bauman aveva affermato l’affinità fra letteratura e sociologia, in una intervista concessa a Quaderni d’Altri Tempi, affermando che “… le arti e la sociologia fanno lo stesso tipo di lavoro: la reinterpretazione della percezione umana del mondo e la visualizzazione delle trascurate/rifiutate/ignorate alternative allo status quo. Le arti e la sociologia sono impegnate allo stesso modo in un dialogo continuo con l’esperienza umana ampliando gli orizzonti delle sue possibili interpretazioni. Il rapporto tra le arti e la sociologia si basa sulla piena cooperazione, il reciproco feedback e la rispettiva ispirazione, e nel peggiore dei casi su una fraterna rivalità”. Una dichiarazione che non ha bisogno di ulteriori approfondimenti.
Sullo stesso piano, Riccardo Mazzeo, più di recente, in un volume firmato con Ágnes Heller, dovendo ragionare sulle possibili forme future (e presenti, in effetti) di organizzazione politico/istituzionale della vita associata (cfr. Heller, Mazzeo, 2016), decide di utilizzare come esempi quelli di alcuni romanzi contemporanei, che, meglio di qualsiasi saggio di sociologia politica, o di fantapolitica se è per questo, riescono a rendere il senso delle inquietudini contemporanee rispetto ai rischi che possono comportare lo sviluppo del digitale, il ritorno di forme sincretiche di misticismo e di sacro e la tensione al consumo compulsivo.
- Zygmunt Bauman (con Riccardo Mazzeo), Conversazioni sull’educazione, Erickson, Trento, 2012.
- Peter Berger, Robert Musil e il salvataggio del sé, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1992.
- Harold Bloom, Il canone occidentale, Rizzoli, Milano, 2016.
- John Carroll, Il crollo della cultura occidentale, Fazi, Milano, 2009.
- Ágnes Heller, Riccardo Mazzeo, Il vento e il vortice, Erickson, Trento, 2016.