Nell’iconografia che apprendiamo sui banchi di scuola, l’Inferno dantesco è una voragine che si spalanca al di sotto di Gerusalemme, simbolo della cristianità, fino a raggiungere il punto più distante dal cielo, il centro della Terra in cui si trova conficcato nel ghiaccio del Cocito il corpo di Lucifero, scaraventato lì in fondo dalla caduta seguita alla sua cacciata dal Paradiso. Dai suoi piedi si diparte la natural burella, il cunicolo che conduce alla Montagna del Purgatorio, emersa nell’emisfero opposto come conseguenza della nascita stessa dell’Inferno, quando la terra si ritrasse per evitare il contatto con l’origine stessa del male.
La cosmografia del Sommo Poeta torna alla mente a più riprese durante la lettura di Remoria. La città invertita, cronaca di una discesa negli inferi della borgatasfera, in cui Valerio Mattioli distilla una visione postmoderna della romanitas contemporanea. Intrecciando immaginario underground, cultura pop e storia recente, e mettendo in corrispondenza letteratura di genere e dinamiche sociali, il suo saggio su Roma, la Roma-di-sopra, nota a tutti, e la Roma-di-sotto, ignota ai più, catalizza una visione eterodossa della Città Eterna e si pone come punto di origine di una mitologia eretica.
Alle origini del mito capitolino
Dopotutto, fin dalle origini di Roma storia e mito sono inscindibili. Mattioli risale proprio alla fondazione per derivare dal corso ufficiale degli eventi conosciuti la sua storia parallela. Il suo è il racconto alternativo di una realtà sotterranea; sotterranea nel senso di poco nota e malvista, ma anche di ipogea come l’oltretomba, a cui riporta lo stesso presagio divino che prelude alla nascita dell’Urbe. La città che avrebbe dovuto essere, e che viene cancellata dal fratricidio di Romolo, è la città di Remo: Remoria, ovvero il negativo occulto della Città Eterna.
Rievocata in un rituale di necrofilia urbanistica dai progettisti del Grande Raccordo Anulare, nella seconda metà del Novecento Remoria, e con essa lo spirito tradito di Remo, mai placato dai lemuria concepiti allo scopo, è infine tornata a prendersi la sua rivincita su Romulia, la città dell’ordine ma anche del peccato originale, della colpa primigenia, in quanto battezzata nel sangue.
Il rapporto tra queste due entità, che convivono nel DNA stesso di quella che fu la Città Eterna, non poteva che assumere le forme di una disputa, “uno scontro tra infiltrati, tra spie, tra disertori”, che si è manifestata di volta in volta nelle liturgie delle controculture che emergevano dalla borgatasfera, lo sterminato sprawl urbano proliferato fuori dalle mura del centro, delle sottoculture che in essa attecchiscono col favore dell’esclusione sociale e dell’emarginazione, o della gentrificazione che dal centro porta nelle periferie le logiche predatrici dell’economia globale.
Mattioli è tanto metodico nella sua disamina, quanto spietato nella sua diagnosi. Si tiene alla larga dall’opportunismo convenzionale delle letture agiografiche, dal rimpianto ipocrita per le borgate che furono, e non perde certo occasione per prendere di mira la degenerazione neofascista della periferia che oggi minaccia Roma con il suo tallone di ferro. Con lo sguardo dell’etnografo e la sensibilità di uno psicogeografo, si addentra nelle pieghe del tempo e negli anfratti dello spazio, ripercorrendo dinamiche che magari hanno portato a esiti visibili solo negli ultimi anni, ma che in realtà sono il frutto di processi in atto da decenni sotto la superficie raccontata dagli intellettuali e dagli organi d’informazione.
Il sigillo occulto del GRA
Cos’è dunque Remoria? “Una sorta di antitopia, di città che nega sé stessa e così facendo inverte non solo il corso della storia, ma i significati che a quella storia hanno dato forma”, per usare le parole dell’autore. Una città che rimane di fatto inespressa fino all’inaugurazione dei lavori del GRA, “l’immane ouroboros d’asfalto” lungo sessantanove chilometri che vorrebbe racchiudere Roma nel suo cerchio senza fine ma che in realtà non ne circonda che una parte, rimandando a una genesi avvolta “nella bruma dell’enigma e del simbolico, dell’occulto e dell’arcano”, uno strano attrattore di aneddoti e leggende fin dal nome dell’ingegnere capo dell’Anas artefice del progetto originario: Eugenio Gra.
In questa concordanza, troppo assurda per poterla definire coincidenza, Mattioli individua il segno di “un sigillo, forse addirittura una firma magica”. Richiamando le parole di Renato Nicolini, architetto e assessore alla Cultura del Comune di Roma dal 1976 al 1985, il GRA è:
“[…] un loop che «contiene più piani temporali» e in cui anzi «il tempo si annulla e la città diventa eterna», allungandosi tanto in direzione passata quanto in direzione futura. Ancora meglio, è il contenitore di «tanti futuri possibili» e quindi, per proprietà transitiva, di tanti passati possibili”.
Dopo il pomerium tracciato da Romolo (il confine sacro), il nuovo solco scavato dal GRA ribalta i dogmi della Roma quadrata e con essa ogni principio regolatore: l’ordine e il rispetto delle gerarchie si dissolvono di fronte alle forze del caos, nella forma geometrica stessa del suo tracciato il limite viene meno alla sua missione e il cerchio lo trasforma in un eterno ritorno senza inizio e senza fine, da percorrere all’infinito.
Escursione metropolitana tra ruderi dell’immaginario
È così che “la Roma quadrata del mito di fondazione diventa nel dopoguerra una Roma circolare”. Rinunciando alla linearità, smarrisce le sue coordinate e in un rituale alchemico “il fuori diventa il dentro, il pieno diventa il vuoto, il sotto diventa il sopra”. Remoria “non è tanto una città tonda, quanto una città invertita”, che “nega la sua gemella”, “ma che continua a non essere”. È alla ricerca delle sue tracce nascoste che Mattioli attraversa la città-di-sopra, risalendo la Casilina fino al cavalcavia del GRA, e poi percorrendo il raccordo contromano.
“Un cerchio (per dirla con le parole di Eugene Thacker) «sottrattivo che, ritirandosi sullo sfondo, appiattisce bizzarramente tutte le dimensioni in una sola»”.
Superandone le uscite come le tacche dei secondi sul vasto quadrante analogico di un orologio metropolitano, in transito attraverso una immensa periferia distopica e allucinata, la sua esplorazione urbana assume presto i tratti di uno scavo archeologico, perché dopotutto:
“[…] Remoria è il rimosso dimenticato, il rovescio deforme della città di Romolo, dei re, degli imperatori, dei papi e della Roma quadrata con tutto il suo bagaglio di disciplinata sottomissione alla Legge e all’Ordine. Anticipata da uno stormo di avvoltoi e relegata nel mondo dei morti, Remoria ha la sostanza dell’incubo e del mostruoso, e assieme serve a ricordare quelle che ancora Deleuze e Guattari chiamano «potenze illimitate»: un insieme di possibilità che non portano mai a «un equilibrio finale di un sistema» ma che ribadiscono continuamente ipotesi altre rispetto a quanto è già”.
Archeologo del sapere, ma di un sapere esoterico, potremmo dire parafrasando Michel Foucault, nella refrattarietà alle classificazioni che connota il suo libro, Mattioli liquida la questione affibbiandogli provocatoriamente l’etichetta di fantasy horror (cfr. Vitale, 2019). E in effetti Remoria è intrisa di un gusto per il perturbante piuttosto familiare agli amanti del weird, con suggestioni che ritroviamo fedelmente espresse anche nel disco omonimo composto dagli Heroin in Tahiti, il duo death surf in cui Mattioli (che oltre che autore, critico e musicista, ricordiamo, è anche curatore della collana NOT di NERO Editions) fa squadra con Francesco de Figuereido.
Non crediamo sia un caso se l’alieno e l’artificiale siano le due categorie attraverso cui in Remoria vengono passate in rassegna le evoluzioni sociali, psichiche ed emotive della borgatasfera. Peraltro, l’immaginario popolare delle periferie si fonde inestricabilmente con i riferimenti della cultura di massa e se l’esercizio di una critica indipendente allontana fin dalle prime pagine il fantasma di Pier Paolo Pasolini, altri spettri ben più rilevanti pervadono questo libro: se su tutto aleggia lo spirito di Mark Fisher, Philip K. Dick (che nella Roma imperiale vedeva “la realtà latente” nascosta ai nostri sensi dal velo di Maya) e ancor più James G. Ballard sono citati a più riprese, William Gibson è evocato tra le righe, il cyberpunk entra ripetutamente in risonanza con il mood dell’underground remoriano, dalle prime contaminazioni tra immaginario sci-fi e movimento punk fino all’avvento della musica elettronica; e che dire di Clark Ashton Smith, Howard Phillips Lovecraft e Mary Shelley, la madre del mostro a cui Mattioli riconduce figure e ruoli della sua Roma postmoderna?
Un laboratorio di sottoculture xenomorfe
Le corrispondenze sono più salde di quanto si potrebbe pensare. In fondo, il Ranxerox di Stefano Tamburini che si aggira per una Roma del futuro costruita su trenta livelli, cos’è se non la versione aggiornata ai tempi della creatura di Frankenstein nonché il “progenitore di borgata del cyberpunk”? Espressione di un disagio figlio del riflusso degli anni Settanta, fonde a freddo la figura persistente del coatto con l’anticipazione iperliminale del cyborg e si attesta come “l’ennesimo [mostro] a spuntare tra le pieghe non euclidee della periferia remoriana”, fucina di “sottoculture xenomorfe” come il punk e il dark, e con l’arrivo degli anni Novanta della cultura rave, con tutto il suo portato edonista incentrato su adunate di massa, vita notturna, musica techno e consumo di stimolanti.
Remoria ha il pregio di non limitarsi a un’istantanea: la tensione verso la verità nascosta è tale da non poter prescindere dal movimento. Attingendo olisticamente a un lavoro sviluppatosi nel corso degli anni e che già aveva prodotto interessanti materiali per The Towner, Mattioli trascina il lettore lungo la natural burella scavata nelle viscere della borgatasfera. La scorribanda attraversa le decadi dagli anni Settanta in avanti, spaziando dalla Romanina a Ostia, da Centocelle al Forte Prenestino, da Tor Bella Monaca al Laurentino 38, concludendosi naturalmente a Torre Maura, salita quest’anno agli onori della cronaca nazionale. Non lesina occasionali excursus ancora più indietro nel tempo e non si ferma davanti al muro dell’oblio che le autorità amano erigere intorno alle conseguenze delle loro scelte più discutibili. Così Remoria riaffiora per esempio dal sottosuolo dell’eterotopia nel Casilino 900:
“Il Casilino 900 era la vita che prendeva forma dall’altro lato di quello specchio che va sotto il nome di terrain vague, spazi che – per dirla con l’urbanista Francesco Careri – «producono vere e proprie amnesie urbane: territori di scarto, dimenticati o cancellati dalle mappe mentali dei cittadini perché rimossi dalla coscienza; una sorta di città inconscia». Ma che succede quando quella città inconscia viene effettivamente abitata, vissuta, quotidianamente sperimentata? Quando l’amnesia inghiotte la mappa?”.
Modelli da opporre ai dogmatismi delle soluzioni calate dall’alto, Mattioli ne scova diversi: nei centri sociali come nelle forme più o meno legali di resistenza a quella che definisce “l’ideologia del centro”. Al termine del percorso, sembra di uscire davvero a riveder le stelle alle pendici del Purgatorio: nel cuore di questa Zona tarkovskijana chiamata Roma, forse l’Inferno non è proprio alle spalle, ma il racconto in chiaroscuro delle periferie, dopo averci rivelato il rimosso sotto la superficie della città-di-sopra, ci sta indicando al contempo la strada verso tutti i futuri possibili a cui abbiamo, scientemente o meno, rinunciato, lasciandoci inevitabilmente con il retrogusto amaro di un dubbio: è troppo tardi per farli di nuovo nostri?
- Heroin in Tahiti, Remoria, 2017.
- James G. Ballard, Regno a venire, Feltrinelli, Milano, 2009.
- Philip K. Dick, Radio libera Albemuth, Fanucci, Roma, 2017.
- Mark Fisher, Spettri della mia vita, Minimum Fax, Roma, 2019.
- Michel Foucault, L’archeologia del sapere, BUR, Milano, 1999.
- Valerio Mattioli, I misteri di Remoria, The Towner, febbraio/aprile 2016.
- Mary Shelley, Frankenstein, BUR, Milano, 2019.
- Eugene Thacker, Tra le ceneri di questo pianeta, NERO, Roma, 2019.
- Edoardo Vitale, Valerio Mattioli: «Il centro non è un luogo, è un’ideologia», Esquire.com, 8 ottobre 2019.
- Gianfranco Rosi, Sacro GRA, Rai Cinema, 2014 (home video).
- Stefano Tamburini e Tanino Liberatore, Ranx. Edizione integrale, Comicon, Napoli, 2012.
- Andrej Tarkovskij, Stalker, Gvr, 2017 (home video).