Sin dal primo trailer diffuso da Netflix, Dark è apparsa come una serie che sembrava voler sfruttare la scia del successo globale di Stranger Things.
Cercare di ridurre il plot di questa serie a una sinossi che non coinvolga spoiler è un’impresa ardua, ai limiti dell’impossibile. Converrà quindi introdurre soltanto lo scenario proposto nel corso del primo episodio, quando i bambini della città tedesca di Winden iniziano a scomparire misteriosamente ed emergono i rapporti spezzati, le doppie vite e il passato oscuro di quattro famiglie, rivelando un oscuro mistero che abbraccia tre generazioni.
A prima vista, in effetti, Dark può sembrare una versione “europea” della serie dei fratelli Matt e Ross Duffer; una versione adulta, più complessa, dai ritmi cadenzati e flemmatici.
La serie, composta da dieci episodi della durata di circa un’ora, mette in scena un racconto multi-generazionale a cavallo tra fantascienza e horror, ambientato a Winden, una piccola città tedesca che vive all’ombra di una centrale nucleare. Tra bambini misteriosamente scomparsi e ricerche notturne in sella a una bicicletta, le somiglianze con Stranger Things (2016 – 2017) sono forti quanto robuste le radici europee nel declinare un certo tipo di intrattenimento.
Al posto dell’incessante e adrenalinica corsa dello show americano, Dark ci mostra una sensibilità diversa nel raccontare la sua storia, in qualche modo affine a quello della ghost story francese Les Revenants (2012) creata da Fabrice Gobert, o del thriller anglo-belga The Missing (2014), prodotto dalla BBC, scritto da Harry Williams e Jack Williams e diretto da Tom Shankland.
È ardua la sfida, per lo spettatore che si accinge a seguire Dark, di tener traccia delle vite ingarbugliate dei protagonisti di una vicenda che salta tra tre cronologie (2019, 1986 e 1953) e quattro famiglie, con ciascun personaggio interpretato da tre attori di differenti età e fattezze.
L’accuratezza del casting e il semplice utilizzo del make-up (tecnologie da cinema delle origini) sono il vero grande effetto speciale della serie: le similitudini degli attori scelti per interpretare le varie fasi della vita (passato, presente e futuro) sono impressionanti e fanno impallidire i tentativi hollywodiani di riportare in vita o ringiovanire digitalmente l’immagine degli attori, come accaduto per il gommoso Peter Cushing in Rogue One: A Star Wars Story (2016).
L’affollamento di storyline, moltiplicato per le tre epoche che ci troviamo a rincorrere, può causare uno spaesamento nello spettatore che, tra l’altro, non deve perdere di vista lo scontro che caratterizza l’intera serie: l’autodeterminazione del singolo contrapposta alla forza ineluttabile del destino, che racchiude e incanala ogni scelta nelle dimensioni di spazio e tempo. Paradossalmente, quando più le azioni dei protagonisti sembrano voler divergere la linea che congiunge passato presente e futuro, più questa diventa netta.
Osservando l’opera di Baran bo Odar e Jantje Friese, rispettivamente regista (di tutti e dieci gli episodi, una vera maratona) e sceneggiatrice, non possiamo evitare di cogliere una sincera dichiarazione d’amore verso il genere mistery: Dark, in quest’ottica si rivela essere un denso composto aplologico che centrifuga oltre trent’anni di narrazioni testuali e audiovisive.
Innanzitutto, partiamo da Twin Peaks (1990-1991 e 2017). Il capolavoro televisivo di David Lynch, da molti considerato il big-bang della narrazione post-seriale, mette in scena una tranquilla cittadina di provincia, proprio come Winden, dove apparentemente non accade mai nulla di eclatante e gli abitanti vivono delle vite semplici e normalizzate. Incrinata la crosta della superfice, entrambe le comunità pullulano di tradimenti, misteri e situazioni ai limiti della comprensione umana.
Forte è anche l’influenza di alcune opere di Stephen King, maestro dell’horror e della tensione. Vengono in mente It (1986) per la ciclicità in cui il male si ripresenta a scompaginare gli equilibri della vita di provincia (e non solo per l’iconico impermeabile giallo indossato da Jonas) e il più recente (2011) 11.12.63 con la sua porta, nel retro di un classico diner americano, che apre un varco nel tempo a pochi giorni prima di una delle cesure della storia occidentale: l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy. Non è un caso, allora, che uno dei portali di Dark ci riporti a pochi giorni prima della tragedia di Chernobyl, altro fenomeno che ha lacerato la storia a metà.
Non è possibile omettere, parlando di viaggi nel tempo, quel Ritorno al futuro (1985) di Robert Zemeckis, con i suoi paradossi temporali e gli incroci fra personaggi che incontrando le loro versioni più giovani cercano di indirizzare (o evitare di influenzare) ciò che sarà del loro futuro.
Infine, Lost (2004-2010), la serie che più di ogni altra ha caratterizzato la seconda golden age della televisione americana, che nella quinta stagione ha introdotto un concetto di viaggio nel tempo e ineffabilità del destino dal cui paragone Dark difficilmente può sottrarsi.
Un’esemplare narrazione post-moderna
Potremmo dilungarci in una lista pressoché infinita di riferimenti e citazioni: in questo senso Dark ha tutte le caratteristiche della narrazione post-moderna. A causa della sua densissima complessità, Dark rappresenta il prodotto ideale da guardare e ri-guardare su una piattaforma post-network come Netflix.
Se, da un lato, le fiction televisive hanno oltrepassato i confini dei singoli mezzi di comunicazione riconfigurandosi come narrazioni trans-mediali, ossia integrazione e fusione di diverse esperienze dell’entertainment suddivise su piattaforme mediali differenti (cfr. Giovagnoli, 2013), dall’altro, la natura del pubblico appare destrutturata e scissa in gruppi differenziati ma allo stesso tempo strettamente inter-connessi (cfr. Brancato, 2011).
In questo scenario di ininterrotta trasformazione, i rapporti di forza tra produzione e consumo appaiono continuamente alla ricerca di un equilibrio, influenzando direttamente le storie e il modo in cui esse vengono narrate. Sempre più di frequente lo storytelling delle serie televisive si basa su una complessità narrativa che comprende più linee di sviluppo, presupponendo forme di attività connessa da parte dei pubblici-utenti (cfr. Boccia Artieri, 2012). Dark, in questo senso, è una serie strutturata per coinvolgere lo spettatore in una sfida intellettuale, volta alla soluzione dei misteri presenti nella trama, mediante una ricostruzione iper-testuale del suo universo narrativo.
L’uscita dell’intera stagione, al contrario della somministrazione settimanalmente cadenzata tipica dei ritmi seriali, favorisce il binge-watching lasciando piena libertà allo spettatore di decidere i propri ritmi di fruizione, scombussolando, allo stesso tempo, la possibilità del pubblico di riunirsi in comunità (siano esse basate o meno sulla prossimità fisica) allo scopo di decodificare gli arcani della serie tramite uno sforzo di intelligenza collettiva (cfr. Levy, 2002).
Nel tempo che intercorre tra la prima stagione e la successiva, il fandom ha tutto il tempo di costruire le proprie infrastrutture per cercare di anticipare le mosse autoriali: oltre all’immancabile pagina di wikipedia (che riporta addirittura i grafici degli alberi genealogici di tutte le famiglie coinvolte) è già nato un wiki non ufficiale (sulle pagine di wikia.com) con tutte le informazioni e le teorie sui mondi possibili che potrebbero entrare a far parte della narrazione ufficiale.
Tutta questa complessità necessita, tuttavia, di alcuni specifici dispositivi narrativi, quelli che gli addetti ai lavori chiamerebbero “spiegoni” (dialoghi in cui i protagonisti fanno luce su quello che è accaduto in modo da renderlo chiaro anche agli spettatori meno attenti). Dark cerca di utilizzarli in maniera non troppo palese, collocandoli strategicamente all’interno delle trasmissioni radiofoniche o in alcuni episodi fondamentali, in particolare l’ottavo, dove viene esplicata, tramite un lungo dialogo, la teoria dello spazio e del tempo su cui è imperniata tutta la serie.
Dark ci mostra un doloroso equilibrio tra bellezza e solitudine che lo pone ben al di sopra delle consuete narrazioni misteriose o sovrannaturali. È una serie che, in fin dei conti, scandaglia l’animo umano: dalle promesse non mantenute della gioventù, alla cupa rassegnazione dell’età adulta. Dark è una serie portatrice di un’oscura attrattiva; difficile da iniziare, impossibile da abbandonare.
Superato lo shock iniziale delle prime puntate, riesce a mostrarsi originale, affascinante e perturbante a tal punto da invogliarci a ritornare a Winden, nel (nostro) 2019, con la giusta dose di curiosità e fiducia nel lavoro degli autori. Con la speranza che riescano a tenersi in equilibrio sull’acrobatico intreccio narrativo che hanno tessuto lungo il corso di questa prima stagione.
- Giovanni Boccia Artieri, Stati di connessione. Pubblici, cittadini e consumatori nella (Social) Network Society, Franco Angeli, Milano, 2012.
- Sergio Brancato (a cura di), Post-serialità: per una sociologia delle tv-series: dinamiche di trasformazione della fiction televisiva, Liguori, Napoli, 2011.
- Max Giovagnoli, Transmedia: storytelling e comunicazione Apogeo. Milano, 2013.
- Stephen King, It, Sperling & Kupfer, Milano, 2017.
- Stephen King, 22/11/’63, Sperling & Kupfer, Milano, 2011.
- Pierre Lèvy, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 2002.
- David Lynch, Twin Peaks, Collezione completa (Stagione 1-2), Universal, 2016 (home video).
- David Lynch, Twin Peaks, Stagione 3, Universal, 2018 (home video).
- Matt e Ross Duffer, Stranger Things, Netflix, 2016.
- J.J. Abrams, Lost, Serie completa, Abc Studios, 2017 (home video).
- Robert Zemeckis, Ritorno al futuro, Trilogia 30° Anniversario, Universal, 2015 (home video).