Si chiama “dieta paleolitica”: niente più latticini, pasta o verdure cotte, ma solo carne, rossa o bianca, meglio ancora se consumata cruda. Possibilmente che corra o che almeno si dibatta ancora, che non urli troppo che altrimenti i vicini sentono e che eticamente e personalmente sia una pessima persona: assassini, stupratori, pedofili, ricattatori. Se bisogna seguire una dieta che consiste nel mangiare esclusivamente della carne, che sia almeno etica come scelta.
Madds Mikkelsen in Hannibal (Fuller, 2013) della NBC non poneva tante barriere morali tra il suo appetito, aristocratico e da nouvelle cuisine, e le sue vittime: la sua fame era morbosa, strana, macilenta, vendicativa, aveva un sentore di disturbo e di malvagità. Le scene che riproponeva la serie tv erano un alternarsi truculento di immagini forti e violente, scene del crimine grondanti sofferenza e dolore, alternate a glaciali immagini culinarie in cui il dottor Hannibal cucinava con estrema cura, accompagnato da musica classica, mentre fuori, in sala da pranzo, qualche ignaro ospite aspettava di assaggiare la rinomata cucina del dottore.
Uomini che mangiano uomini, vivi che mangiano vivi, il cannibalismo come orrore massimo, come atto contro Dio e come reato contro l’umanità. Persino nutrirsi di simili ormai deceduti per la propria sopravvivenza, come era successo ai superstiti del disastro aereo avvenuto sulla Cordigliera delle Ande nell’ottobre del 1972, crea disagio e repulsione. Eppure se del maiale non si butta via niente, figuriamoci dell’essere umano. Così con le dita si possono fare dei gustosi finger food, qualche bistecchina, un orecchio per insaporire il bicchiere di sangria, un frullato di cervelletto, si mette tutto nella borsa frigo e via, al mare con la famiglia.
Fuori dagli standard, ma l’appetito è quello di sempre
D’altronde se si è uno zombie bisogna scendere a patti con la normalità se non si vuole morire (di nuovo) di fame. Soprattutto se si vive a Santa Clarita, un sobborgo della Los Angeles dai prati verdi e dai vicini impeccabili, che poi così sempre impeccabili non sono mai.
La trama è la seguente: Joel e Sheila sono due agenti immobiliari che vivono in un quartiere bello e illuminato dal sole, hanno una bella casa con il loro giardinetto e la loro bella casa è proprio in mezzo tra quella di un poliziotto e quella di uno sceriffo, hanno una figlia, una bella macchina, un bel lavoro, sono contenti e sono ottimi esempi della middle class statunitense. Tutto bene e senza sorprese: sesso il mercoledì sera, il sabato gita al mare con la famiglia, la domenica barbecue. Finché Sheila, durante il tour di una casa con possibili acquirenti, inspiegabilmente si sente male e, in un turbine mostruoso di vomito, muore rigettando una sfera/rene/palla/chisacosa rossa. Il dolore per Joel è immenso, subito si precipita a sorreggere quello che è l’amore della sua vita in un pianto disperato. Non ha il tempo neanche di capacitarsene che Sheila si risveglia perfettamente come prima: bella, sorridente, sana di mente, eccetto per una fame insaziabile di carne umana.
Una dieta un po’ forzata, ma necessaria se si vuole arrivare alla prova costume senza sbranarsi la famiglia in un raptus omicida. Perché se il dottor Hannibal Lecter è uno stimato medico e criminologo che nasconde la mente deviata e sadica del serial killer, fredda e calcolatrice, Sheila è semplicemente e banalmente uno zombie: una creatura non-morta, né tantomeno viva, senza battito cardiaco, che non prova dolore e dal sangue denso e colloso. Sheila muore e rivive e nella sua resurrezione si trasforma, evolvendosi e regredendo: diventa totalmente e completamente Es, dove Eros e Thanatos si incontrano e si scontrano con furia animalesca e selvaggia, divellendo i suoi freni e aprendo le porte a una nuova (paradossale) energia che migliorerà (ancora più paradossale) la sua vita. Sheila diventa però una nuova frontiera dello zombie: una donna con troppi impegni per potersi permettere di deambulare gorgogliando sangue e disgusto, una mamma che non può permettersi di sbranare il preside della scuola perché trasmetterebbe un messaggio educativo sbagliato alla figlia, una moglie che condivide il letto con l’uomo che ama e che dovrebbe evitare di masticargli il dito durante l’amplesso o tentare di mangiare uno spacciatore nerboruto trasformandolo poi a sua volta in uno zombie. Santa Clarita Diet presenta probabilmente tutto quello che uno zombie non dovrebbe essere, ma così facendo crea un nuovo tassello nella ricca e immensa cultura pop relativa al non-morto.
Una storia lunga un secolo e che dura a morire…
La storia dello zombie come protagonista o comprimario pericoloso di film e serie tv horror è lunga, se non lunghissima, e costellata di alti e bassi: L’isola degli zombie (Victor Halperin, 1932) è considerato il primo film in assoluto a presentare quello che poi diventerà un vero e proprio mito commerciale, ma tutti associano la nascita del claudicante mostro al film di George Andrew Romero del 1968 La notte dei morti viventi, Joe D’Amato nel 1980 ha aggiunto al Thanatos anche l’Eros con Le notti erotiche dei morti viventi, Peter Jackson con Splatter-Gli schizzacervelli (1995) si è divertito a versare più di cinquecento litri di sangue finto. Poi sono arrivati gli anni Zero e i videogiochi, grande terreno fertile per esercitarsi in caso di apocalisse formato zombie, che hanno dato spunti e suggerimenti, come per esempio la saga di Resident Evil (2002-2016) con una combattiva Milla Jovovich spietata e “umana”. La letteratura ha dato inoltre il suo contributo al rinvigorimento del mito narrativo con World War Z di Max Brooks (2007), così come il fumetto con quello che poi è diventato un enorme successo televisivo, The Walking Dead (2003, scritta da Robert Kirkman e disegnata da Tony Moore e Charlie Adlard).
Lo zombie si rivela come il proletariato dei mostri, lo stuolo di cadaveri ambulanti sopra solo agli scheletri animati, forza lavoro di malvagi stregoni, operai anonimi del terrore, carne da macello contro cui si scagliano intrepidi eroi. Gli zombie non hanno nome, volto, storia, non sono conti, nobili bevitori di sangue, o esperimenti scientifici, né mummie di faraoni potentissimi o fantasmi di spiriti penitenti; gli zombie sono la massificazione e l’omologazione che nascono dalla paura della fine degli anni Sessanta, sono il Grado Zero dell’Umanità che rende irriconoscibile l’essere umano e che, ottuso a tutto se non alla sopravvivenza istintiva, lo porta all’orrore massimo: diffondere morte incondizionatamente per cibarsi della morte stessa.
In quest’ottica di furia cannibalesca fatta di sangue, budella, viscere, grida e terrore, dove madri uccidono figlie e figli si cibano di padri, il cinema e la televisione ci “sguazzano”: ci sono stati zombie lenti e impacciati, zombie che uscivano dalle tombe, zombie contaminati da virus, zombie risultato di esperimenti scientifici, zombie veloci e feroci, zombie affamati solo di cervello e quelli che invece erano di bocca buona, zombie che potevano soccombere solo col fuoco e quelli da decapitare, zombie buoni con un cuore e zombie che il cuore non ce l’avevano nemmeno prima; insomma da che il voodoo haitiano ha iniziato a stregare i coltivatori di canna da zucchero, come ogni prodotto culturale che si rispetti lo zombie è stato modellato e interpretato a piacimento, morto e risorto innumerevoli volte.
Netflix non vuole essere da meno e così Santa Clarita Diet prende dal calderone fumante gli ingredienti che preferisce e prepara un piattino gustoso e divertente: un amuse-bouche, un solletica palato che ruba una mezz’ora di tempo che fa ridere e sorridere, che sfama la voglia di splatter (talvolta in maniera eccessivamente disgustosa e divertente). Certo, non tutto funziona, non tutto è perfetto, ci sono domande a cui non viene data risposta e, anzi, non viene neanche prestata attenzione alla formulazione di queste. In più la durata di mezz’ora non permette approfondimenti e sviluppi situazionali che hanno bisogno di una continuità narrativa all’interno dello stesso slot di puntata, senza frammentarla; rimane tuttavia un bel prodotto, fresco e stuzzicante, magari non per tutta la famiglia, ma si sa che per certe cose bisogna farsi un po’ la bocca e… lo stomaco.
- Robert Kirkman, Frank Darabont, The Walking Dead, AMC Studios, 2010.
- Bryan Fuller, Hannibal, NBC, 2013.