Bree Van de Kamp. Quando si pensa alla perfezione, sterile, noiosa, talvolta irritante, viene subito in mente lei. Difficile trovare un personaggio femminile che abbia costruito, nel tempo, una corazza altrettanto impenetrabile, fatta di muffin e buone maniere, centrini e ortensie sempre rigogliose.
Un modo di essere che diventa maniera, struttura, artefatto.
In realtà è anche una donna ricca di sfumature e fascino, in grado di esemplificare al meglio la capacità di liberarsi delle proprie maschere, costrizioni, imposizioni personali. Un riuscitissimo personaggio catartico, capace di ricostruire sé stesso dopo la rivoluzione del proprio essere e che, cosa non da poco, sa fare delle straordinarie torte capovolte all’ananas.
Bree Van de Kamp (interpretata da Marcia Cross) entra nelle case degli americani per la prima volta nell’ottobre del 2004. Si sta recando al funerale di una delle sue migliori amiche con il marito Rex e i figli Andrew e Danielle. Ha un cesto di dolci pensati apposta per l’occasione, è vestita esattamente come ci si aspetterebbe a un funerale e ha militarmente obbligato prole e marito a seguire un rigidissimo codice di comportamento. Un insieme di regole, esteso alla vita quotidiana, che rende al confronto il cerimoniale della corte austroungarica una comune di hippie.
Sembra tutto perfetto. Sembra.
In realtà Bree ha imparato sin da piccola che la cucina e le buone maniere celano le insoddisfazioni, i rancori, le negatività. E, ancor meglio, la maldicenza e il pettegolezzo. Vive in un mondo perfetto che lei si ostina a vedere come tale, nonostante tutto cambi attorno a lei e gli altri le mostrino più volte l’utopia della sua Weltanschauung. Lontana anni luce dalla pasta scotta di Susan, dai figli ribelli di Lynette, dai comportamenti eccessivi e inappropriati di Gabrielle. Nessuno ricorderà mai il suo sincero affetto, la sua empatia al dolore ma nessuno avrà mai modo di criticarne l’operato, o i modi. Come dice a Susan, sconvolta per la fine di una storia d’amore, lei tiene i suoi sentimenti in una scatola ben chiusa.
Ogni tanto permette loro di uscire ma, per il resto del tempo, è importante che riesca a tenere lontana da ogni incertezza, malinconia, disperazione. Una vera signora, afferma, è colei che riesce a distinguere l’immagine di sé dalla sua vera essenza, che rimane privata, intima e personale e non visibile all’esterno. Se Susan vuole esserlo, o dimostrare di poterlo diventare, deve iniziare a comportarsi come lei, a sorridere anche quando sentiamo il mondo crollarci addosso.
Capelli rossi sempre in ordine, vestiti mai sgualciti, una giornata che nelle sue mani diviene di almeno trentasei ore per giustificare la mole di attività, lavori, beneficenza, cura della casa e della cucina che riesce a impartire: il personaggio di Bree da subito è il più divertente perché il più irreale, sopra le righe, alieno alla nostra vita fatta di torte bruciate e figli dimenticati a scuola. Mentre le altre casalinghe disperate devono in qualche modo trovare una chiave per far immedesimare le spettatrici, lei è la vicina molesta, la suocera contro la quale ogni battaglia è persa, la collega che riesce ad arrivare a lavoro mezz’ora prima e con i biscotti caldi per tutto l’ufficio.
La sua perfezione irrita quasi quanto divertono le avversità che le capitano: è l’unico personaggio che si spera venga colpito dal fango di una pozzanghera o dia di matto, come fa realmente, perché una ragazza rovina la glassa della torta di compleanno della figlia. Eppure piace, perché si capisce che dietro quel mondo di frivole sicurezze si nasconde altro e che non sarà in grado a lungo di gestire situazioni sempre più incontrollabili ed esplosive. Pian piano, infatti, molte delle sue sicurezze cedono, le crepe familiari diventano visibili e non c’è prodotto da casalinga che possa più nascondere le macchie, o il cadavere sotto il tappeto. Rex la tradisce con diverse prostitute, i figli la odiano e diventeranno esattamente ciò che lei teme: un omosessuale e una ragazza facile, incinta fuori del matrimonio. Per una religiosissima repubblicana che spara a chiunque si avvicini con intenti poco chiari alla sua proprietà e che primeggia nel realizzare il miglior plumcake della città, è un colpo duro da digerire e metterà in atto, gradatamente, una serie importante di trasformazioni. Bree inizierà a mostrare umanità, a concedere qualche licenza al suo mondo di regole asfissianti. Troverà un modo per comunicare con il figlio Andrew, di stabilire rapporti empatici e solidali con le vicine ficcanaso, di affermarsi come imprenditrice fuori dall’ambito casalingo.
La perfezione lascerà piccoli spazi di libertà a una donna avida di caos e disordine liberatorio, che teme di perdersi senza le sue regole ma ha grande necessità di affermare un’identità molto più complessa di quella stereotipata e monodimensionale che si è concessa.
Nell’ottava stagione proverà anche a rinnegare sé stessa, diventando una donna promiscua e dalla doppia vita, seppur sempre legata ai suoi valori di brava massaia. Indicativa la scena in cui, cacciando un amante dal suo letto alle quattro per paura che la vicina chiacchierona con la sveglia alle cinque lo veda, regala all’uomo dei muffin per non farlo andare via senza colazione.
Alla fine della serie, maturata e cambiata dagli accadimenti della vita, l’ex donna perfetta capirà che non è fatta solo di maniere ma che esse sono ormai parte di lei, accettando di gestire le situazioni in maniera impostata ma meno irreale e artefatta, con il cuore, anche se ricoperto di lustrini e zuccherini. Colei che, all’inizio, doveva essere uno strumento di critica a una specifica versione del sogno americano, come le mogli perfette di Stepford si è ormai evoluta; trasformandosi come e più delle altre e attraversando una fase di totale diniego, ha ora ritrovato una natura più umana e la capacità di empatia con il pubblico della serie.
Desperate Housewives, andato in onda per otto stagioni fino al 2012, ha rappresentato un modello di serialità al femminile diverso ed evoluto rispetto a Sex and the City. Quello che le ragazze di Manhattan arrivavano solo a intravedere a margine delle loro storie e flirt, diveniva invece centrale e punto focale di attenzione. Che cosa accade dopo il matrimonio? L’amore divenuto progetto come evolve, si stabilizza, si porta avanti nel tempo? Facile per una donna di successo fare shopping tutto il giorno e andare nei locali a conoscere gente la sera: non ha vincoli se non con sé stessa. Più difficile immaginare come sia ritrovare un proprio spazio personale quando ci sono figli, lavatrici e la cura del giardino a proprio carico. Il punto focale si sposta dalle proprie necessità a quelle di altri, le priorità si modificano ed è impossibile ritrovarsi reciprocamente nell’immagine dell’altra. Come l’amica di Carrie Bradshaw che va da Manolo Blahnik con i tre figli ed è invitata ad andare via perché fa confusione. Non è più un luogo aperto o accessibile per lei.
La scrittrice e sceneggiatrice Tracy McMillian, parlando alle lettrici dell’Huffington Post, sostiene per esempio che:
“Il matrimonio è solo un’opportunità a lungo termine, da nutrire amando qualcuno anche quando non se lo merita. Perché la maggior parte delle volte il tuo uomo non farà esattamente quello che ti aspetti da lui. Ma se lo amerai in ogni caso (perché hai deciso di trasformarti in una persona che s’impegna a essere gentile, profonda, virtuosa, fidata, generosa e, soprattutto, disposta ad accettare sé stessa) capirai che stai vivendo l’unica cosa che hai sempre desiderato: l’amore”.
Sacrificio, impegno, dedizione per vivere, a proprio modo, il sogno romantico americano. Non può accadere a Manhattan, non quando il mondo bussa alla tua porta continuamente e ti fornisce stimoli continui, culturali e personali. Deve trovare un suo contesto più circoscritto, immutabile, definito e capace di imporre una propria etichetta di socializzazione.
Le donne di Wisteria Lane, un sobborgo ricco alla periferia di Fairview (entrambi luoghi inventati) sono ricche ma prigioniere delle loro vite, che hanno ricostruito, come delle carcerate, attorno ai loro spazi limitati di azione. Simulando gli attori su un palcoscenico, si muovono fra poche case e giardini, in un micro-universo dotato di specifiche regole. Combattono lotte intestine per il prato più verde, per la ricchezza esibita in maniera più sfarzosa, per la torta venuta meglio. Una donna arriva a comprare una schiava cinese per poter lavorare a ogni attività di volontariato riuscendo comunque a servire un pranzo di sei portate a quaranta persone. Sono essenzialmente, come accade a molte donne reali, delle proiezioni del successo ottenuto dai mariti: iniziano a puntare su elementi superficiali per stabilire o ristabilire una propria identità. Una borsa di lusso perde così il suo valore strumentale e ne assume uno personale, costruendo un frammento dell’immagine che ogni donna vuole promuovere con le vicine, amiche, nemiche, confidenti e traditrici.
Figure e luoghi familiari nelle narrazioni seriali
Riprendendo una solida tradizione letteraria e cinematografica, come avviene ugualmente in molte altre serie televisive, anche in Desperate Housewives, i tranquilli luoghi ameni ai margini della città celano una natura umbratile, sanguinaria, gravata dal peso di segreti inconfessabili. Dai “peccatori” di Peyton Place, passando per la porta dell’inferno di Sunnydale, fino ad arrivare a Salem. Senza dimenticare le madri di Big Little Lies, in cui le perfette spiagge e case milionarie di una fittizia città californiana fanno da sfondo a invidie, gelosie, stupri e omicidi. Una serie appena nata ma che raccoglie perfettamente l’eredità di Desperate Housewives, quella sorta di ansia di primeggiare e di affermare sé stesse che porta donne molto diverse a creare rancori, alleanze, faide.
I tranquilli sobborghi della middle class americana si colorano di rosso non solo per le meravigliose rose a cespuglio delle loro dimore. Non è la luce abbagliante della città che può nascondere al meglio l’animo nero d’individui inquieti, ma la tranquilla oscurità dei boschi, dei viali alberati, delle villette a schiera color pastello. La dinamica modernità della città perde via via in intensità mentre ci si allontana dal suo epicentro, dai colori e dalle vetrine, dai rumori assordanti del traffico. Rimangono solo i silenzi, la solitudine. Omicidi, suicidi, paternità negate affiorano così di sovente a Wisteria Lane fra una tazza di tè verde alle mandorle e una fetta di red velvet. A raccontare l’ovvio di una realtà solo all’apparenza perfetta, che mette un muro verso l’esterno ma ha i suoi demoni già nascosti sotto il letto o dentro l’armadio. In quest’ambiente così perfettamente congeniato fra rose bianche e colpi di pistola, si muove la vita delle quattro protagoniste e dei loro vicini. C’è Susan, l’ex moglie tradita alla ricerca di un nuovo compagno, Gabrielle, ex modella divenuta consorte (e poi madre) insoddisfatta e predatrice di giovani giardinieri, Lynette, ex donna in carriera ora madre di cinque figli alla perenne ricerca di un lavoro che la porti fuori da Wisteria Lane, e Bree. Quattro donne diverse, capaci di reagire al suicidio di una loro amica costruendo un ponte reale fra le loro vite ed eliminando gli imbarazzi e le rigidità imposti agli abitanti di un sobborgo benestante. Le ricette culinarie e il poker cedono prontamente il passo a temi più intimi e alla narrazione di traumi infantili, infedeltà, vita vera. E ognuna delle protagoniste riesce, tramite le altre, a compiere un proprio percorso di emancipazione e autocomprensione.
Prima del finale, dell’abbandono di ciascuna a Wisteria Lane che sarà ora abitata da altre casalinghe, forse altrettanto disperate, sicuramente alla ricerca anche loro di un equilibrio fra figli, marito assente e una casa impeccabile che non possa essere criticata da chi le osserva e giudica dall’altra parte del cortile.
Letture
- Grace Metalious, Peyton Place, Einaudi, Torino, 2006.
Visioni
- David E. Kelley, Piccole grandi bugie, HBO, Sky Atlantic, 2017.
- Frank Oz, La Donna Perfetta, Universal Pictures Italia, 2005 (home video).
- Darren Starr, Sex and the City, HBO, 1988–2004.
- Joss Whedon, Buffy l’ammazzavampiri, 20th Century Fox Television, 1997–2003.