“La donna è sempre stata un mostro”, così si apre Il mostruoso femminile. Il patriarcato e la paura delle donne, di recente tradotto e pubblicato in Italia da edizioni Tlon. Esplorando miti, leggende, romanzi gotici, film horror e casi di cronaca nera, e muovendosi su un arco temporale che va dalla mitologia babilonese alla nostra contemporaneità, Jude Ellison Sady Doyle ci consegna un testo ironico e brillante, oscuro e spaventoso, che si struttura intorno a una tesi ben precisa:
“L’umanità è definita dagli uomini, perciò le donne, che non sono uomini, non sono umane. Da qui la necessità che vengano dominate dagli uomini – e se le donne si ribellano a questo dominio, diventano mostruose”.
Non sono pochi i passaggi disturbanti in questo libro. Ma, a ben guardare, ciò che disturba e spaventa non sono le donne-mostro di cui racconta, quanto invece i responsabili della loro esistenza: gli uomini e il mondo patriarcale che hanno costruito.
L’eco de Il secondo sesso di Simone de Beauvoir (2008) si sente chiaramente, e Doyle lo esplicita più volte: gli uomini non vedono le donne come esseri umani, ma come l’alterità assoluta. Il dominio dell’uomo sulla donna è stato antropologicamente giustificato attraverso la costruzione di metafore zoologiche che assegnavano le donne al campo della natura e della bestialità (cfr. Rivera, 2010). Il ricorso al “mostruoso” è il gradino successivo: emerge laddove le norme sociali del patriarcato vengono minacciate o violate; in questa prospettiva la mostruosità delle donne può essere intesa come un atto di ribellione o di disperazione, comunque di non sottomissione al dominio maschile. La sirena, metà donna e metà animale, è una donna che osa nutrire desideri sessuali. La fata è una donna sposata che pretende di essere indipendente. La strega è una donna potente, che rifiuta di subire la violenza maschile.
Le paure degli uomini, la condanna delle donne
Le donne, insomma, sono dei mostri quando è il patriarcato a raccontarle. Pagina dopo pagina, Il mostruoso femminile entra nelle trame di film cult, da L’esorcista a Scream, da Alien a Psycho, di classici della letteratura come Dracula, di serie tv di culto come Twin Peaks, e suggerisce che forse non avevamo mai capito di cosa parlassero veramente: della paura che gli uomini, da sempre, nutrono nei confronti del potere delle donne. Il potere in questione è ovviamente quello della capacità riproduttiva, dominato e contenuto attraverso l’invenzione e la naturalizzazione degli unici tre ruoli che una donna può assumere nella famiglia patriarcale: figlia, moglie e madre. La mostruosità entra in gioco tutte le volte in cui uno di questi ruoli non è performato da una donna nel modo giusto. Perciò Doyle ricostruisce le genealogie di figlie, mogli e madri – così si intitolano le tre sezioni che compongono il libro – che popolano il folclore e la cultura pop, la letteratura e il cinema.
Le figlie fanno paura nell’adolescenza, quando appare chiaro che a un certo punto diventeranno delle donne. Le narrazioni analizzate in questa sezione “insegnano” che diventare donna pone davanti a un bivio: vergognarsi della propria sessualità o diventare un mostro. Ne è esempio la giovane Regan de L’esorcista. La terza opzione è morire, come accade alla dead blonde di ogni film slasher che si rispetti. Le mogli sono temute tutte le volte in cui, pur all’interno di relazioni eterosessuali, mostrano il desiderio di preservare indipendenza e autonomia; come se le due cose non fossero compatibili. Allora vengono trasformate in changeling o spose fatate. Miti e leggende insegnano che le donne indipendenti non possono che essere non umane, creature sovrannaturali che ingannano gli uomini e che dunque possono, e devono, essere uccise. Ma, ovviamente, la creatura più spaventosa è la madre, il cui corpo gravido è l’espressione per eccellenza del potere che gli uomini non possiedono. Per trasformare le madri in mostri non è necessario scomodare creature mitologiche ed esseri magici. È sufficiente educare le donne a essere solo madri e non anche persone. La madre che prova desideri che esulano dall’esercizio della maternità è il mostro. Emblematiche poi sono le storie dei serial killer. Che si tratti di ricostruirne il profilo per un’indagine o che se ne produca una trasposizione cinematografica o televisiva, queste storie svelano “l’ultimo asso nella manica del patriarcato”: ogni serial killer è il figlio di una madre mostruosa. Così il patriarcato
“Spostando la responsabilità della violenza maschile indietro di una generazione, fa delle donne, che sono sue vittime, le vere colpevoli […]. Se la dominazione maschile ha rivestito il mondo di violenza si accusano le madri e non gli uomini”.
A riguardo, e paradossalmente, risulta più verosimile uno dei romanzi in cui spesso si individuano le origini della fantascienza, Frankenstein. Doyle lo definisce senza mezzi termini un capolavoro che dimostra “come sia l’arroganza maschile, e non la debolezza femminile, a creare mostri”, laddove un uomo, cercando di creare la vita senza una donna, “impone la propria volontà sulla materia inerte e la materia inerte si incazza”.
Finzione o realtà?
Nel corso della lettura, tra un mito e una credenza popolare, tra un film e un romanzo, ci si imbatte più volte nella realtà: numerose sono le statistiche citate, e frequenti i richiami a casi di cronaca nera la cui vittima è una donna; casi molto noti per il pubblico statunitense, ma familiari anche altrove per le dinamiche che li caratterizzano. Per esempio scopriamo che fino al 1979, anno di uscita de L’esorcista, la possessione demoniaca è un fenomeno “unisex”; successivamente, il 75% delle persone esorcizzate sono giovani donne, spesso vittime di abusi sessuali. O che nel 1895, in Irlanda, un tale Michael Cleary uccise la moglie Bridget, una donna per i tempi indipendente e che non si impegnava a nasconderlo, ritenendola un changeling. Si giustificò sostenendo che una qualche creatura magica si era impossessata di lei. È una scelta ben riuscita quella di accostare credenze popolari e fatti di cronaca, cult movie e statistiche, espressione del punto di forza di un testo che racconta efficacemente la circolarità tra finzione e realtà. In questa prospettiva una delle tesi più interessanti presentate da Doyle riguarda le analogie tra i film slasher e i programmi di true crime.
Se il primo è un prodotto di finzione e il secondo prende le mosse da omicidi effettivamente avvenuti, entrambi raccontano le storie di donne uccise da uomini violenti. E, altra analogia insospettabile, entrambi attraggono un pubblico prevalentemente femminile. Sebbene l’interesse delle donne per queste “storie frivole” venga spesso bollato come “una pausa pruriginosa dalle vere notizie”, potrebbe esserci un’altra spiegazione: forse le donne seguono in modo quasi ossessivo questi programmi perché sono “realmente preoccupate che i loro mariti possano ucciderle”. Qui Doyle ci fornisce uno dei punti di vista più originali del testo, che rimanda appunto alla circolarità tra ciò che le donne affrontano nella vita quotidiana e ciò che vedono rappresentato sullo schermo. Se i film slasher nascono da una visione maschile e violenta che sfoga sul corpo femminile le inquietudini degli uomini, la dead blonde incarna però le ansie silenziose di tante, troppe, donne.
All’improvviso, quei film di dubbia qualità e quei programmi tv ossessionati dalla cronaca di cui è piena la televisione (non solo statunitense) ci appaiono come una “drammatizzazione delle statistiche”. E allora, conclude Doyle, lo slasher ha un potenziale catartico, offre alle donne l’occasione di urlare paure soffocate, e l’interesse per i programmi di true crime racconta il loro bisogno, che evidentemente non ha molti spazi in cui esprimersi, di comprendere come funziona la violenza, di capire se c’è un modo di sopravvivere. E spesso non c’è:
“Per ogni femme fatale immaginaria che usa la propria sessualità come un’arma per la distruzione dei maschi, c’è una donna reale che è stata stuprata da un ragazzo o palpeggiata dal proprio capo; per ogni ninfa crudele che affoga il proprio amante o sirena ammaliatrice che induce a schiantarsi contro le rocce, c’è una donna la cui esistenza è stata bloccata, limitata o conclusa da un uomo. È facile pensare di essere la sirena, identificarsi con la sposa fatata che può proibire agli uomini di guardarla o toccarla e dimenticare la sposa umana, brutalizzata, torturata e bruciata per avere mostrato un inaccettabile bagliore di autonomia. Ma è più probabile essere la regola che l’eccezione, essere le troie ammazzate piuttosto che le final girl”.
Che lo deduca da storie di fantasia o da fatti realmente accaduti, Il mostruoso femminile racconta una delle cose più reali che esistano: le donne, in una società patriarcale, sono sempre in pericolo.
La via di fuga: diventare mostri
Uno degli obiettivi di questo libro, esplicitato nell’introduzione, è capire di cosa gli uomini abbiano paura. Ma ve n’è anche un altro: capire come le donne possano difendersi e liberarsi dalla violenza maschile. Alcune storie di mostri, infatti, indicano anche la via di fuga. Nella postfazione dell’edizione italiana di Le visionarie. Fantascienza, fantasy e femminismo: un’antologia (Vandermeer, 2018), le curatici notano come in diversi racconti di fantascienza femminista le donne, per sottrarsi al dominio maschile, decidano di trasformarsi in qualcosa di non umano “tramite un processo di accrescimento fisico di sé che ha del mostruoso”. Abbracciare la mostruosità a cui si è state condannate è dunque un gesto femminista. Perciò il capitolo conclusivo de Il mostruoso femminile è dedicato al mostro femminista per eccellenza:
“Se vogliamo dunque disfarci del patriarcato, porre fine al ciclo di violenza sessuale e sociale che demonizza le ragazze e le distorce in cattive madri, la strega – la levatrice, colei che esercita il controllo sulle nascite, la donna esperta nell’arte di imbrigliare la fertilità e il desiderio di riproduzione – è la figura dirompente di questa storia. Mette mano al meccanismo dell’universo, fa accadere le cose e così è pronta a infrangere il cerchio e a permettere che nuove possibilità vi entrino. Forse quel terribile potere che manda in frantumi il mondo è solo, dopo tutto, il potere sul proprio corpo”.
Le streghe non esitano a reagire con violenza alla violenza maschile. Ma la donna che compie un gesto violento è un mostro, un’aberrazione della natura. La possibilità che la violenza sia la conseguenza di altra violenza non viene presa in considerazione. Per questo secondo Doyle occorre diventare streghe, imparare che il patriarcato non ha nulla di naturale e percorrere la strada, per ora battuta da poche e in solitudine, della sua distruzione. In questa prospettiva la mostruosità femminile cessa di essere contro-natura e appare per quella che è: una forma di resistenza e di lotta contro l’oppressione.
L’origine del mostruoso femminile va rintracciata nelle paure che gli uomini nutrono nei confronti delle donne e nel loro tentativo di dominarle. Ma il suo destino può essere quello di avviare un’apocalisse, provocando non la fine di ogni forma di vita, ma del mondo per come lo conosciamo. Su questo Jude Ellison Sady Doyle è molto chiara: non si tratta di creare un mondo senza uomini, ma semplicemente senza patriarchi.
- Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano, 2008.
- Annamaria Rivera, La bella, la bestia e l’umano. Sessismo e razzismo senza escludere lo specismo, Ediesse, Roma, 2010.
- Ann & Jeff Vandermeer, Le visionarie. Fantascienza, fantasy e femminismo: un’antologia, Nero, Roma, 2018.