Quasi ne fosse il sinonimo, pronunciare il nome di Brian Eno equivale tuttora a dire musiche per ambienti. Non che il suo catalogo pop non contenga cose pregevoli e memorabili, dai lontani anni con i Roxy Music ai primi album realizzati una volta messosi in proprio, ma quelli erano contributi raffinati a un genere preesistente.
L’ambient music, invece, pur non nascendo dal nulla, è una visione della musica genuinamente sua. Un marchio di fabbrica che nonostante gli innumerevoli epigoni emerge puntualmente in ogni sua opera.
Prova ne siano i dischi che compongono il box Music For Installations, pubblicato dalla Opal Records, che riuniscono in unico cofanetto le diverse composizioni realizzate da Brian Eno per varie installazioni dal 1985 a oggi. Buona parte di queste erano già state pubblicate in edizioni limitate, ma questa raccolta consente di avere un quadro d’assieme sinora non fruibile, oltre che regalare preziosi inediti. Prodotto sia nel formato compact disc (sei), sia nel formato long playing (nove), è stato anche realizzato in un’edizione lussuosissima, con le stesse dimensione dell’ellepì e libro rilegato in plexiglass. Ciascuna edizione include anche un booklet, illustrato da foto delle varie installazioni, con un breve saggio nel quale Eno ricostruisce le tappe del suo avanzare verso una “esperienza d’ascolto simile allo stare seduti vicino a un fiume, una esperienza di continuo cambiamento e di invariabilità allo stesso tempo”, come scrive in apertura.
Nelle Music For Installations trova definitiva consacrazione l’ambient music, che diventa, ovviamente, anche visual music al termine di un percorso che, come ricorda nel booklet, avviò sin dai primi anni Settanta armeggiando con i nastri e in seguito alla fine di quel decennio realizzando i suoi primi video, tra i quali il più celebre è probabilmente Mistaken Memories of Medioeval Manhattan (1981). Da allora Eno è andato ben oltre il concetto originario di ambient music, proseguendo la ricerca di una musica in grado di soddisfare un suo profondo desiderio, quello che gli fece annotare in un taccuino “I want to be living in a Big Here and a Long Now” (in Brand, 1999).
Da qui il conio per i suoi lavori dell’ultimo ventennio, quelli raccolti in Music For Installations, la definizione di “generative music”, un modo di produrre suoni senza fine basato sull’impiego di un sistema di algoritmi parzialmente controllati, in grado di interagire con l’ambiente. Molto sofisticato, molto tecnologico, eppure, al tempo stesso, Eno riesce a dare il meglio di sé quando mette le ali di Apollo e inizia a generare suoni che sono cenni e accenni di qualcosa di ancestrale.
Se è vero, per dirla con Hector Berlioz che: “ogni corpo sonoro è uno strumento di musica” (in Zaccagnini, 2002), nel nostro caso ci troveremmo di fronte a una configurazione cosmica di suoni prodotta da una serie di corpi sonori che partono da quelli molto On Land, per citare un suo storico lavoro, come gracidare di rane o scivolare di acque sotterranee, fino a armonie celestiali.
I timbri e i suoni esprimono con le loro intensità varie luminosità, il percorso compositivo, apparentemente semplice, acquista grande complessità nel calibrare le varie voci, le colorazioni in cui Apollo si muove con sapienza nell’accennare senza mai rivelare.
From Gagarin’s Point of View è una nota composizione del pianista svedese Esbjorn Svensson che ben chiarisce la dimensione nella quale ci troviamo: quella che potremmo definire di una creatività zenitale. Il ricorso all’immagine serve a chiarire l’idea di armonia di Eno: una trama geometrica in grado di dialogare con la natura e con l’uomo. La trama definisce spesso un circuito, su tale base poi si inseriscono le variazioni sonore e di suoni. Ma le forme geometriche possono configurarsi in milioni di modi generando milioni di differenze. Spesso sono frattali che ripetono infinitamente figure geometriche articolate, in sintonia con la complessità della natura. In fondo anche la struttura musicale spesso tende a creare nelle stesse modalità, si pensi a molte composizioni di musica contemporanea, da John Cage o Morton Feldman fino a Pierre Boulez.
La genialità e la novità creata da Eno consiste proprio nel rapporto tra elettronica e natura, in questa interazione, molto spesso nella sua musica elettronica vi è una componente ancestrale che la caratterizza profondamente, e di nuovo bisogna riferirsi alla cultura greca e ad Apollo. Questi, con la sua cetra, emanava dei suoni come accenni o aforismi che individuavano le loro certezze nel vento che li portava, o nel non dire piuttosto che nell’affermare.
La musica di Eno sembra far tesoro di tutto ciò riportandoci a una visione definibile con un neologismo “Acropolica”: solo in una visione totale spesso noi riusciamo a superare i continui squilibri e le inquietudini che la vita ci offre nell’opprimente monotonia.
Ecco allora il nostro inesorabile bisogno di visioni zenitali che ci diano il senso del tutto. Ma la grande intuizione di Eno è stata anche quella di inglobare con modi impeccabilmente “british” la cosiddetta Cosmik Music tedesca che iniziava a dare i primi grandi frutti, proprio quando la scena inglese cominciava ad appannarsi dopo anni di creatività incredibile.
Entrando nel dettaglio del box Music For Installations, seguendo la ripartizione dei brani nel formato cd, il primo disco dal titolo eponimo, contiene materiale inedito: Kazakistan, musiche realizzate per l’installazione del padiglione britannico di Expo Astana 2017 in Kazakhstan, The Ritan Bells, ovvero la versione ampliata delle musiche per il Ritan Park di Pechino (apparso come estratto nella compilation del progetto Sound and the City del British Council), Flower Bells, musiche per l’installazione realizzata per il Castello Svevo di Trani (2017), e quelle per la Galleria del Cavallino di Venezia nel 1985, Five Light Paintings, il documento sonoro più antico dell’intera raccolta.
Kazakistan propone una musica di ampio respiro, atmosferica, come nella migliore maniera eniana. Il tempo sembra dilatarsi e lo spazio si prospetta con delle linee di orizzonte che lo dilatano verso l’infinito. Il risuonare di suoni ancestrali diviene centrale in the Ritan Bells: spazio metafisico tra echi e risuonare di ricordi antichi. Di nuovo in Five Light Paintings la musica si apre ad ampi territori ricchi di spazialità e luminosità: siamo nei pressi di On Land (1982). Inevitabile il rimando a quello storico disco vista anche la vicinanza temporale tra i due lavori. Una musica che esprime una visione territoriale, ripercorrendo il territorio sottostante e indagandone come un soffio di vento, peculiarità e caratteristiche.
L’installazione 77 Million Paintings che venne presentata la prima volta a Vienna.
In maniera simmetrica in Flowers bells sono i suoni intensi e riecheggianti di immaginarie campane a occupare lo spazio sonoro. La calibratura dei suoni e le varie componenti timbriche fanno da base agli squilli ovattati delle campane.
E veniamo al secondo disco: 77 Million Paintings. Qui, come in un fondale marino, figure appaiono e scompaiono, si scompongono e si ricompongono, immerse in un oceano di suono. La composizione musicale, come un frattale si ripete costantemente e frazioni di essa ritornano ciclicamente con intensità diverse e nuove. La visual music per eccellenza di Eno, come egli stesso l’ha definita. L’installazione per 77 Million Paintings è stata creata in varie parti del mondo, dallo Swarosky Museum in Austria (la prima in assoluto) al palazzo dell’opera a Sidney in Australia.
È approdata anche in Italia, a Napoli nel 2007, dove il grande schermo contenente le mutevoli e variabili forme geometriche è stato installato al Parco Archeologico Pausylipon. In particolare, esso è stato posizionato al termine della Grotta Romana (Grotta di Seiano), opportunamente insonorizzata da Eno, lungo tutti i 770 metri della sua lunghezza e nel cui fondo era posto il grande schermo dove i 77 Million of Paintings si componevano incessantemente. Ritornò a Napoli l’anno successivo ospitata dal Museo Madre. In precedenza era stata pubblicata in dvd, prima nel 2006 e in una versione aggiornata nel 2008, contenente il software che generava tutte le variazioni possibili a partire dalle figure originali.
La musica realizzata nel 1997 per il Marble Palace, ovvero il Russian Museum di San Pietroburgo occupa il terzo disco, didascalicamente intitolato Lightness – Music for the Marble Palace. Due lunghi brani che già dal titolo lasciano evincere il loro sviluppo. Il primo dal sapore più ampio è ambientale, Atmosferic Lightness, crea la premessa per il più stringente Chamber Lightness. Infatti, la forma di Chamber Lightness, diviene quasi un canone che si ripete e si sviluppa costantemente e solennemente su sé stesso. Il carattere sonoro realizzato per questa installazione è di tipo sinusoidale: cioè un’onda di suono che si dipana e si riavvolge su sé stessa costantemente. Pura Generative Music, quella che fece capolino già in Discreet Music, il leggendario lavoro per la Obscure, l’etichetta con cui Eno produsse una serie di opere memorabili composte da un ensemble di artisti allora (metà degli anni Settanta) ancora in nuce. A due anni dopo risale la musica del quarto cd: I Dormienti /Kites Stories.
Gli aforismi apolliniani di Brian Eno si perdono nel vento, così nella musica per I Dormienti, ovvero le sculture supinamente addormentate create da Mimmo Paladino per un lavoro presentato il nove settembre 1999 a The Undercroft of the Rondhouse a Londra. Accenni di voci, trilli di piano, suoni metallici e quant’altro galleggiano nello spazio sonoro. E come se i due artisti fossero uniti da un comune intento che poi è sempre stata una missione dell’arte di avanguardia più autentica: farci riscoprire l’arte antica intensamente e con occhi nuovi.
La musica per I Dormienti è una creata con delle sonorità arpeggiate intense, che divengono sempre più rarefatte in Kites I, II, III, le tre parti della composizione creata per il museo d’arte contemporanea di Helsinki, Kiasma, l’undici dicembre 1999. Il riferimento alle figure pompeiane che la lava del Vesuvio ha reso come I Dormienti, ci porta nuovamente al mondo antico e al fascino che continua a esercitare su di noi, mentre Kites si aggancia chiaramente a un’opera più recente di Eno, Lux (2012).
L’antologia di brani che compone Making Space, compilata dallo stesso Eno originariamente per essere venduta durante le sue installazioni oppure online sul sito Lumen (quinto cd del box), riporta ad una costruzione musicale fatta di frammenti sonori che spaziano come nelle musiche che commentavano i film immaginari di Music for Films (1978), uno dei capolavori di Eno, il cui ricordo continua a riemergere ogni qualvolta ne è consentito un ritorno. Probabilmente diventerà un “eterno ritorno” nella musica eniana.
L’installazione per la Sydney Opera House nel 2009.
Il frammento sonoro è alla base della sua poetica, ed è ciò che in ogni momento fa riemergere o sommergere qualcosa. È anche un’arte in qualche modo visiva che permette di tratteggiare, di accennare, di illuminare, o di ombreggiare. Tutto ciò è Making Space.
L’ultimo disco in continuità con quello precedente è basato come dichiara il titolo stesso sulle Future Installation, che precisa Eno spesso sono dei pretesti per comporre musiche per film immaginari che prendono forma nella sua mente. A volte sono tratte anche delle esperienze di vita comune, di tutti giorni, a generare grandi visioni. Visioni oniriche come nel caso di Surbahar Sleeping Mudic, a proposito di questo brano l’autore parla di narcotic music, o visioni più cosmiche e spaziali come in Unnoticed Planet. L’atmosfera si fa più inquietante in Liquidambar, e più solenne e aulica in Sour Evening( Complex Heaven 3). Tutto il materiale vede qui per la prima volta la luce.
In definitiva, il percorso musicale delle Music For Installations consolida l’aspetto di Eno musicista contemporaneo a tutto tondo, e il contatto con le opere di Cage o di minimalisti storici come Terry Riley e Philip Glass risulta evidente, così come la sua capacità di evolvere quel linguaggio.
Adesso la meta è più vicina: “Big Here and a Long Now”.
- Stewart Brand, The Clock Of The Long Now: Time and Responsibility, Basic Books, New York, 1999.
- Guido Zaccagnini, Una lettura di Berlioz, Pendagron, Bologna, 2002.
- Brian Eno, Music for Films, Emi, 2009.
- Brian Eno, On Land, Emi, 2009.
- Brian Eno, Discreet Music, Emi, 2009.
- Brian Eno, Lux, Warp, 2012.