Capita spesso, in molti testi o libri, di trovare un linguaggio al limite del criptico, dove l’ermetismo è sinonimo d’intelligenza, o cultura. Più le cose sono scritte in maniera incomprensibile, difficile, su livelli di decodifica più elevati, più si assume che il contenuto e le idee espresse siano di valore. Nulla di più falso e, financo, goffo nella sua fragilità d’intenti. Il testo Slasher, il genere, gli archetipi e le strutture di Marco Greganti ha il pregio di non tentare articolate metafore narrative o cambi di registro: vuole raccontare, con semplicità e naturalità, il genere slasher e l’horror in generale. Partendo dagli archetipi e dalle strutture narrative, si arriva rapidamente alla descrizione del genere e dei suoi tópoi, senza la pressione di dover impressionare il lettore con parole complesse e periodi interminabili pieni di subordinate e perifrasi. L’intento, più volte dichiarato, è quello di stabilire un criterio di distinzione fra ciò che può essere considerato slasher e ciò che non lo è; operazione facile solo sulla carta , poiché le regole possono cambiare in base a chi le definisce. Ecco così che ci si ritrova a stabilire dei criteri non sempre universalmente accettati, ma, secondo l’autore, logici per non essere troppo selettivi o troppo inclusivi. Un giusto spazio di manovra per i vari cattivi con sega elettrica in mano. Afferma Greganti:
“Bisogna partire dagli archetipi, dalle strutture e dai riferimenti profondi di ogni singola opera. E verificare quali e quanti di questi elementi hanno in comune le storie slasher. È questo che determina il genere. Il fatto che la maggior parte di appassionati o simil tali escluda a priori determinate opere dal genere slasher e di conseguenza crede che altre ne facciano parte solo perché le etichette dicono così, è piuttosto limitante. Le etichette lasciamole al supermercato, qui ci occupiamo d’altro”.
Lo slasher non nasce nel cinema, ha solide basi nella letteratura e anche nel mito e nelle leggende. Ha successo perché, seppur alle volte presenta trame piuttosto essenziali e scarsa caratterizzazione dei personaggi, si muove su sentimenti ed emozioni che il pubblico vuole e ricerca: il brivido, la paura, il vivere situazioni adrenaliniche senza però esserne realmente coinvolti. Dai primi film di successo a oggi, la formula non è cambiata perché vincente e perché, sostiene l’autore, è in essa che e nelle sue regole che si caratterizza il genere e la sua narrazione. Non chiediamo a Miss Marple di rifiutare un’indagine, o al film romantico di non prevedere una struggente storia d’amore; perché mai, quindi, dovremmo snaturare lo slasher, chiedere un approccio più morbido alle vittime o meno sanguinolento, rifiutare l’idea di un cattivo o di un sopravvissuto finale in grado di eliminarlo o di rimandarci a un capitolo successivo della saga?
A partire da alcuni elementi fissi, il testo di Marco Greganti prende in esame alcuni dei film più importanti del genere: non si pone come una guida generale ma come un consiglio di lettura e di approccio, che parte dai casi più famosi per dare un assaggio, competente, sul genere e sui suoi meccanismi. Anche questa idea, la scelta della parzialità, aiuta a giustificare una selezione per forza di cose arbitraria e soggettiva: ciò che non è rappresentato non è meno importante o escluso ma lontano, semmai, dall’indirizzo e dalle scelte effettuate dall’autore.
La casa (Sam Raimi, 1981), Non aprite quella porta (Tom Hooper, 1974), ma soprattutto Venerdì 13 (Sean S. Cunningham, 1980), o Le Colline hanno gli occhi (Wes Craven, 1977). Film ormai divenuti pionieri di un genere che presentano luoghi e archetipi comuni non solo all’horror, ma alla narrativa in generale. Si prenda, ad esempio, l’elemento del viaggio. Nello slasher è fondamentale isolare le vittime in un luogo nuovo, diverso da quello abituale. Ecco quindi case abbandonate, isole, campeggi, cimiteri, aperte campagne. Posti sulla carta ameni che divengono luoghi di sangue e d’incubo. Tutto questo è comune ad altri generi e parte di un discorso di riflessione sulla condizione umana che Greganti fa risalire ad Aristotele, prima ancora che all’Odissea e alla Divina Commedia. Afferma l’autore:
“Scrive Vogler ne Il viaggio dell’eroe: «Fondamentalmente la storia dell’eroe, nonostante la sua grande varietà, rimane sempre un viaggio: un eroe si allontana dal suo ambiente familiare per avventurarsi in un mondo sconosciuto che lo mette alla prova; può trattarsi di un viaggio lontano verso un luogo reale (un labirinto, una foresta o una caverna, una città o un paese sconosciuto) oppure di un posto del tutto nuovo che diventa teatro del conflitto, con forze nemiche che mettono alla prova». Ogni storia è la storia di un viaggio: fisico, metaforico, o entrambi. Se il viaggio è esso stesso un archetipo, nei racconti di genere slasher ha una valenza ulteriore: è un pattern, un elemento narrativo ricorrente e quindi in definitiva un codice di racconto. Come abbiamo già detto non è una regola, né tanto meno un diktat (un qualsiasi autore che crede il contrario dovrebbe seriamente riconsiderare il suo ruolo), quanto invece un segmento di senso. Il viaggio, nello slasher, è quel pezzetto di struttura narrativa simile all’incontro di due amanti nelle storie d’amore o l’omicidio in una detective story. Tutti elementi senza i quali un determinato genere non può dirsi tale”.
Il testo Slasher, il genere, gli archetipi e le strutture di Marco Greganti compie quindi un’operazione volontariamente parziale e non esaustiva sul genere, molto efficace, tuttavia, sia per i continui riferimenti alla narrativa e alla costruzione dell’immaginario collettivo, sia per il linguaggio agile e comprensibile, per nulla pomposo o criptico. Ci s’immerge in un genere pop che ha però un’origine nobile, dei riferimenti narrativi solidi e temporalmente strutturati. Una piacevole lettura che rende più chiaro l’oggetto della narrazione per il lettore, pur non volendo, o potendo, ingabbiarlo in regole fisse e standard. Perché, anche dietro un massacro di teenager, ci si dimentica che spesso c’è un testo di Vogler o di Aristotele sul comodino dello sceneggiatore.
- Wes Craven, Le colline hanno gli occhi, Eagle Pictures, 2006 (home video).
- Sean S. Cunningham, Venerdì 13 Warner Bros, 2004 (home video).
- Tom Hooper, Non aprite quella porta, Quadrifoglio Production, 2007 (home video).
- Sam Raimi, La Casa, Universal Pictures Italia, 2010 (home video).