Androidi, vampiri, lupi mannari, mutanti, sopravvissuti a cataclismi e apocalissi assortite, alieni, viaggiatori temporali, entità maligne e intelligenze artificiali ribelli, realtà simulate e mostri d’ogni fatta: ebbene sì, riprende la grande adunata del fantastico nel capoluogo giuliano. Giunge infatti alla sua ventiduesima edizione il Trieste Science+Fiction Festival, organizzato dal centro ricerche e sperimentazioni cinematografiche e audiovisive La Cappella Underground. L’edizione 2022 registra il cambio della guardia per quanto concerne la direzione artistica, affidata quest’anno al critico cinematografico britannico Allan Jones, che con la manifestazione intrattiene un rapporto oramai ventennale.
Jones è un vero pioniere della critica cinematografica di genere ed è patrocinatore del festival Cinema: Made in Italy a Londra, oltre a essere fondatore e direttore del London FrightFest, il più grande festival di cinema di genere del Regno Unito. Jones è anche giornalista radiotelevisivo e autore di diversi titoli sulla materia, tra cui The Rough Guide to Horror Movies, The FrightFest Guide to Grindhouse Movies, The Act of Seeing assieme al regista Nicolas Winding Refn e Dario Argento: The Man, The Myths & The Magic. Proprio insieme a Dario Argento ne ha anche tradotto, curato e illustrato l’autobiografia, Fear, per il mercato anglosassone. Le premesse ci sono tutte per servire un menu ricco e vario, insomma appetitoso, come lo stesso Jones ha tenuto a sottolineare:
“L’edizione 2022 rappresenterà un autentico «Back to the SuperFutures», grazie a un programma di vasta portata per tutti gli appassionati di fantascienza e fantasy, ricco di scioccanti visioni distopiche, incredibili avvistamenti di ufo, sorprendenti impatti con asteroidi, commoventi amicizie aliene, incredibili viaggi nel tempo, spettacolari incontri ravvicinati, disastri spaziali all’insegna della tensione, stravaganti esperimenti top secret, avanzamenti tecnologici che ampliano lo sguardo e meravigliose fantasie esistenziali”.
L’illustrazione originale dell’edizione 2022 del Festival è al proposito un biglietto da visita eloquente. L’ha realizzata il suo connazionale Graham Humphreys, già autore di poster per film cult come La Casa e Nightmare – Dal profondo della notte, naturalmente realizzate per il mercato britannico. Il risultato è un lussureggiante arazzo che riassume il catalogo dei generi prediletti da festival: al centro dell’illustrazione spicca un astronauta umanoide con la testa di lucertola con gli arti scheletrici, una probabile allusione ai pericoli dei viaggi nello spazio. Tutt’intorno segni evidenti della natura ribelle della flora terrestre e della vita vegetale aliena, insetti mutanti, visioni apocalittiche, creazioni umane come i robot di Metropolis e razzi spaziali.
Il programma è ripartito nelle consuete sezioni, tra film in concorso, prime italiane e internazionali, l’amplissima rassegna corti, anch’essi in parte concorrenti, documentari e classici, oltre alle varie iniziative collaterali a partire dagli incontri con personalità di quel grande universo che la denominazione del festival riassume alla perfezione: science+fiction. Non cambiano le sezioni del festival che rimangono, per quanto concerne quelle competitive, il Premio Asteroide (concorso internazionale per film di science-fiction e fantasy) e il Premio Méliès d’argent (concorso per il miglior lungometraggio e per il miglior cortometraggio europei di genere fantastico). A queste si aggiungono le sezioni non competitive, ovvero Spazio Italia (selezione di lungometraggi e cortometraggi italiani di genere fantastico), Fantastic Shorts (selezione di cortometraggi internazionali di genere fantastico) e Mondofuturo (selezione di documentari di genere (fanta)scientifico, e incontri aperti al pubblico), oltre a retrospettive ed eventi speciali.
I film in concorso
Entrando nel dettaglio, i lungometraggi invitano una volta di più a circumnavigare il mondo del fantastico in tutte le sue declinazioni. Il piatto forte si direbbe quello delle distopie legate in particolare al collasso dell’ambiente, tra mondi post apocalittici e lotta per la sopravvivenza, futuri da ripensare e possibili interventi riparatori.
È il caso per esempio di Memory of Water di Saara Saarela tratto dal romanzo di Emmi Itäranta (pubblicato in Italia da Frassinelli). Qui in un mondo alterato dal riscaldamento globale, in cui la terra non è che un arido paesaggio bruciato dal sole e l’acqua potabile è severamente razionata, solo i maestri del tè conoscono l’ubicazione di rare e segrete sorgenti d’acqua. Un segreto che si trasmette di generazione in generazione e toccherà a una adolescente ereditare la preziosa informazione.
Ambientazione distopica anche in Vesper di Kristina Buožytė e Bruno Samper, che vede la dura lotta per la sopravvivenza della tredicenne Vesper assieme al padre malato Darius, tra i resti decadenti di un mondo distrutto dal collasso dell’ecosistema. Mondo disastrato da una misteriosa pandemia è invece quello raccontato da The Deal di Orsi Nagypál. Protagonista è una madre lotta per salvare la vita della figlia malata in un mondo dove le poche risorse disponibili hanno un prezzo carissimo: la vita.
Vesper di Kristina Buožytė e Bruno Samper.
Le cose non vanno meglio in Zero di Faye Gilbert, fuga per la vita da una società tirannica, come in ogni distopia che si rispetti. Scenario poco rassicurante è anche quello raccontato in Walking Against The Rain di Scott Lyus, che immagina una storia che si svolge all’indomani di un evento che ha cambiato il mondo. La popolazione umana è ridotta al lumicino e tra questi i due protagonisti, ciascuno alle prese con la lotta per la sopravvivenza mentre nei paraggi scorrazzano alieni antropomorfi. Unico contatto tra i due che distanti l’uno dall’altro cercano di incontrarsi è una coppia di walkie-talkie. Road movie post apocalittico, mentre sulla strada tra fantascienza e fantasy che avanza lungo gli Stati Uniti del sud-ovest è Night Sky di Jacob Gentry. Un paio di disaster movie completano il quadro. In Rubikon di Magdalena Lauritsch la vicenda prende le mosse da una misteriosa nebbia, osservata da una stazione spaziale, che avvolge la Terra tagliandone tutte le comunicazioni e risultando letale a ogni forma di vita. Un inquietante domanda attraversa l’intera visione di The Impact di Chris Jones. Qui rimangono appena 97 minuti prima che la Terra venga distrutta da un gigantesco asteroide e le microstorie che compongono il film cercano di rispondere al quesito: che faresti in quella situazione?
The Breach, diretto da Rodrigo Gudiño.
Altro blocco di spessore è quello il filone horror composto da variazioni eterogenee sul tema. In The Breach, diretto da Rodrigo Gudiño e prodotto da Slash, il chitarrista dei Guns N’ Roses, al centro della storia c’è il misterioso caso di un corpo mutilato finito sulle rive del fiume Porcupine, mentre The Lair di Neil Marshall mette in scena il combattimento all’ultimo sangue tra un gruppo di soldati mutanti e una sgangherata pattuglia che presidia un avamposto americano in Afghanistan. Un horror dalle tinte sci-fi definito dallo stesso regista come “La Cosa che incontra Quella sporca dozzina”. Storia atipica di fantasmi e di presenze è New Religion di Keishi Kondo, dove una madre dopo aver divorziato in seguito alla morte in un incidente della figlia tira avanti facendo la squillo. Un cliente le chiede un bel giorno di fotografarla, prima la colonna vertebrale, poi i piedi e a ogni passaggio lei avverte strane connessione con la figlia morta. Ancora una madre protagonista in una storia fuori schema, se non quella della sfida mortale. È Control di James Mark, che vede al centro della trama una donna rinchiusa in una stanza misteriosa, dove sarà costretta a superare diverse prove assegnatele da una voce sconosciuta per poter salvare la propria figlia.
Quanto agli alieni, se ne incontrano o meglio ci si scontra con loro sia in Warriors of Future di Yuen Fai Ng sia in Alienoid di Choi Dong-hoon. Nel primo ambientato nell’anno 2055, un meteorite porta sulla Terra una forma di vita vegetale aliena che si abbatte sul pianeta distruggendo ogni cosa incroci sul suo cammino (omaggio a La cosa?), mentre il secondo è un trionfo di combattimenti a base di arti marziali.
The Visitor From the Future di François Descraques.
Spazio anche ai viaggi nel tempo in due pellicole assai diverse tra loro, a conferma che il tema è sempre vivo e declinabile all’infinito. Il primo è The Visitor From the Future di François Descraques, tratto dall’omonima serie web. Ci porta nel 2555 d.C. mostrandoci un mondo ormai in rovina a causa di un disastro ecologico in cui i pochi umani sopravvissuti vivono nel sottosuolo. L’altro è Lola di Andrew Legge: realizzato in stile mockumentary, racconta la vicenda di due sorelle che nel 1940 costruiscono un apparecchio che intercetta le trasmissioni del futuro. Decidono di passare informazioni all’intelligence militare che cambiare le sorti della guerra e… però anche del futuro.
Come si è detto la rassegna non lascia indietro nessun filone, ed ecco infatti in cartellone To Exist di Gabriel Grieco, incontri ravvicinati del tipo argentino in una missione nella valle di Cachi, famosa per i suoi avvistamenti ufo.
Oppure il paranormale affrontato in Something In the Dirt di Justin Benson e Aaron Moorhead, in cui due vicini decidono di documentare gli eventi paranormali che hanno luogo nel loro appartamento, sperando di ottenere fama e fortuna. Non poteva mancare un film sull’IA: The Artifice Girl di Franklin Ritch, intreccio di tecnologia, intelligenza artificiale e prevenzione della criminalità.
To Exist di Gabriel Grieco.
Film di impronta cyberpunk è invece Annular Eclipse di Chi Zhang, storia di giochi di potere, intrighi e manipolazione informatica. Dall’altra parte dell’immaginario, si colloca The Witch: Part 2 – The Other One di Hoon-jung Park, il sequel di The Witch: Part 1 – The Subversion, che venne proposto al TS+FF nel 2018. Qui la strega Cynthia deve evitare a tutti i costi di essere catturata e si ritrova catapultata in una nuova realtà.
Infine un poker di lungometraggi che oscillano tra lo splatter e il grottesco, ovvero spingono l’immaginazione ovunque. Il primo è “Pussycake di Pablo Parés, in cui l’omonima rock band rock tutta al femminile si ritrova a combattere contro mostri interdimensionali oltre la nostra realtà.
Il secondo è Mad Heidi di Johannes Hartmann e Sandro Klopfstein, titolo presentato come primo film Swissploitation della storia. Siamo in una Svizzera distopica sotto il comando di un fascista magnate del formaggio, Heidi vive una vita tranquilla sui monti. Dopo essere stata rapita da brutali truppe d’assalto del governo, innescherà una rivoluzione (sic!).
Metacinema di genere invece con la commedia splatter Wolf Manor di Dominic Brunt, in cui la produzione di un film sui vampiri a basso budget nell’oscura campagna inglese viene attaccata da un vero lupo mannaro.
Infine il ritorno del più bizzarro, spassoso e inclassificabile regista contemporaneo: Quentin Dupieux. Arriva infatti al TS+FF Incredible But True, commedia bizzarra (e non poteva essere altrimenti) in cui una coppia appena trasferitasi in una nuova casa si accorge della presenza nel seminterrato di qualcosa che potrebbe cambiare per sempre le loro vite. Il regista francese ci aveva lasciato con le mosche giganti di Mandibules, ma ora si cimenta con i salti temporali e altro ancora.
Come di consueto verrà proposto anche uno sciame di cortometraggi. I grandi temi e le più rilevanti figure dell’immaginario si ritrovano anche in queste brevi storie, dai corti sugli alieni a quelli sulle creature mostruose, tra mostri classici e nuovi forme dell’altro. Altrettanto dicasi per il tema cruciale dell’intelligenza artificiale, che dai robot in avanti ci interroga sul proprio raggio d’azione, sul confine con l’umano, su una possibile co-evoluzione o sul nostro annientamento. Spazio anche ai temi dell’Antropocene, alle mutazioni del clima e dell’ambiente, alle apocalissi dietro l’angolo, così come i grandi movimenti migratori che lasciano ipotizzare nuovi confini sia reali sia di possibili scenari distopici. Il tempo, la memoria, l’identità sono altri campi esplorati dai corti in programma.
Classici dal futuro remoto
Tornando ai lungometraggi il programma prevede cinque pezzi da novanta nella sezione Classix e non si possono definire altrimenti. Ad aprire le danze è The Thing (1982) di John Carpenter presentato in un’edizione rimasterizzata, e il doppio filone creatura e invasore si ritrova in altri due titoli in cartellone, Invaders from Mars (1953) di William Cameron Menzies e Creature from the Black Lagoon (1954) di Jack Arnold. La dimensione weird e fantastica lascia invece il posto a temi distopici che nell’arco di cinquant’anni sono diventati di drammatica attualità. A raccontarli è Soylent Green girato da Richard Fleischer nel 1973 e tratto dall’omonimo romanzo di Harry Harrison. Apocalisse ambientale, fame nel mondo, verità occulte, un cocktail micidiale con un pizzico di thriller. Il menu si completa con un titolo più recente ma già classico. Dog Soldiers (2022), l’opera prima di Neil Marshall. Il regista del magistrale horror The descent – Discesa nelle tenebre (2095) e di alcuni episodi de Il trono di spade sarà anche in giuria, nonché protagonista di una masterclass dedicata al suo film d’esordio, e come si è detto soprattutto presenterà il suo ultimo film, The Lair.
Indagini, retroscene e biografie: i documentari
Cinque anche i documentari in cartellone, che spaziano da temi più squisitamente scientifici e d’attualità a incursioni nel cinema di genere. L’emergenza climatica è il leit motiv di Into the Ice del regista danese Lars Ostenfeld, un viaggio letteralmente dentro quanto resta della calotta glaciale della Groenlandia. Il documentario mostra tre importanti glaciologi alle prese con il lento ma inesorabile sciogliersi del ghiaccio. Dalla Terra allo spazio si vola con It’s Quieter In the Twilight lavoro dello statunitense Billy Miossi dedicato alla missione più lunga e di più vasta portata nella storia della NASA, ovvero quella del Voyager. Il terzo lavoro di carattere scientifico è Carbon – The Unauthorised Biograph (Canada / Germania / Australia, 2022) dell’australiana Daniella Ortega e del canadese Niobe Thompson, narrato in prima persona dalla protagonista della serie Succession, Sarah Snook, racconta l’origine dell’elemento alla base della vita e di come potrebbe anche trasformarsi nel principale responsabile della sua scomparsa.
Orchestrator of Storms di Dima Ballin e Kat Ellinger.
Tutt’altro registro per gli altri due documentari. The Dark Side of Society dello statunitense Larry Wade Carrell racconta le origini del film Society di Brian Yuzna, che venne riproposto a TSFF nel 2019 in occasione del suo trentennale con la presenza al festival del regista. Allucinata metafora in salsa splatter sull’alta borghesia americana, Society è un cult assoluto del cinema fanta-horror. Il documentario di Carrell svela i retroscena sulle origini del film e sulla sceneggiatura originale. Se Society è un film sopra le righe, lo è altrettanto l’intera carriera del regista francese Jean Rollin al quale è dedicato l’ultimo documentario in programma: Orchestrator of Storms dei britannici Dima Ballin e Kat Ellinger, che hanno interpellato amici, critici e attori che hanno lavorato con lui per farsi raccontare tutto su un artista davvero fuori dagli schemi, autore di un singolare mix a base di surrealismo, fantastico e sesso e horror, in film non convenzionali come Le viol du vampire, La rose de fer, Fascination, Lèvres de Sang e La morte vivante, sempre alla prese con censura, mancanza di quattrini e sovrabbondanza di idee.
Insomma, i super futuri di cui ha parlato Allan Jones non sono del tutto augurabili, ma il suo TS+FF sembra proprio un super festival.