Il cinema europeo reagì al secondo conflitto mondiale nell’immediato dopoguerra; un paese prima oscurato dal nazionalismo quale fu l’Italia produsse già nel 1945 film del calibro di Roma città aperta, dando a uomini come Roberto Rossellini, prima autore della poco ricordata trilogia del periodo fascista, l’onorevole compito di rappresentare sul grande schermo l’eroismo e il sacrificio degli uomini e le donne della resistenza. Altrove alla conclusione della Guerra non emerse subito il tempo del racconto, la Corea conquistata in silenzio e occupata dal 1910 al 1945 dal cruento impero del Giappone ha atteso a lungo prima di condurre lo spettatore con le immagini nella lotta per l’indipendenza della penisola.
È recente il ritorno di fiamma, salito in cima al box office nel 2015 con Assassination di Choi Dong-hoon, favorito dal fluire di capitali nell’industria cinematografica che individua nel film in costume il materiale ideale per la realizzazione di blockbuster d’epoca.
Sull’est sventola bandiera bianca
Tra le svariate produzioni spicca senz’altro L’impero delle ombre (2016), passato alla Mostra del Cinema di Venezia del 2016, ma mai uscito nelle sale italiane e ora distribuito nei formati dvd e blu ray da Sound Mirror (l’etichetta home video di Movies Inspired – società di distribuzione cinematografica – a sua volta distribuita da Eagle Pictures), collana affatto nuova al cinema asiatico.
Un film diretto da Kim Jee-woon, regista e autore del nuovo cinema coreano sviluppatosi sul chiudersi del Novecento, di ritorno dall’esperienza statunitense di The Last Stand con Arnold Schwarzenegger. Siamo negli anni Venti del secolo scorso. Protagonista è la stella locale e internazionale Song Kang-ho, interprete di Lee Jung-chool, un ex combattente per l’indipendenza con sede a Shanghai passato dal lato del nemico. La stretta di mano col nemico è la sorgente della sua fortuna, la bandiera con Sole sullo sfondo bianco lo ha guidato verso una proficua carriera costellata da caccie ai suoi commilitoni di un tempo, azioni compiute non senza un briciolo di rammarico. Al momento del primo incontro tra lo spettatore e il capitano Lee la Storia e la decisione di cambiare bandiera combaciano alla perfezione, la Corea è occupata da anni e il Giappone appare come una forza incontrastabile da servire e riverire; battersi per l’indipendenza altro non è che un suicidio glorificato per una causa perduta da lungo tempo, come dimostra l’intelligence giapponese ormai stretta attorno al leader della resistenza interpretato da Lee Byung-Hun, ormai prossimo a essere scoperto da Lee. Tuttavia il cinema, di figure come il capitano, ne ha presentate nelle più disparate forme, uomini e donne spaccati tra dovere e passione. Così il cuore porta Lee a riavvicinarsi alla causa da lui ripudiata, proprio quando quest’ultima appare moribonda in questo momento cruciale della storia della penisola dell’estremo oriente, nonostante l’abilità di uomini come il giovane antiquario di Gong Yoo.
Disillusione e incantamento
L’impero delle ombre lo potremmo leggere come un film sull’identità del popolo coreano, una riflessione riemersa in buona parte della produzione contemporanea dove i grandi temi sono affrontati per tentare di mettere ordine nella rappresentazione dell’identità nazionale: l’industria cinematografica descrive un paese vessato e stuprato – Spirits’ Homecoming (2016) e Snowy Road (2015) – da un governo straniero, diviso in classi mai così lontane tra loro dalla invadente corruzione ai piani alti delle istituzioni pubbliche e private – Inside Men (2015) e Veteran (2015) – schiacciata dai governi dittatoriali durati un lungo e sanguinoso trentennio – A Taxi Driver (2017) – oppure incerta sul proprio percorso come la immagina Hong Sang-soo nel suo cinema, senza contare il costante numero di opere sulla separazione delle due Coree.
Il capitano di Song Kang-ho è un uomo diviso in due tra spazio e tempo, legato alla propria terra e al contempo agli eventi dettati da una forza straniera. Kim Jee-woon ne evoca l’indecisione cominciando dall’alternanza classica tra primi piani e campi totali, caricando sugli occhi del suo protagonista il peso di un’intera nazione e del futuro su cui ha scommesso. Quale sia l’identità del popolo coreano è la domanda a cui in apertura e sviluppo Kim Jee-woon cerca di dare una risposta, la quale sarà ottenuta solo nella inevitabile e dolorosa conclusione, percorrendo con lo sguardo del capitano Lee le strade macchiate di sangue sparse per tutta la durata del Novecento.
Al contrario di film basati sul medesimo tema come Assassination, personaggi ed eventi non sono scritti né immaginati in un semplice bianco e nero, la lotta non è tra figure rappresentanti il bene e il male, resistenza versus forze straniere, entrambe le visioni del mondo sono riassunte all’interno del suo protagonista, nel corpo di Song Kang-ho, attore consolidato nell’interpretazione di personaggi divisi tra natura ed educazione.
Se nel recente semi-biografico A Taxi Driver era un tassista divenuto testimone della verità, in L’impero delle ombre è la disillusione la variante, sottoposta a un duro attacco dal processo di re-incantamento subito dal capitano Lee nel corso del suo deprecabile lavoro, nel suo calpestare vecchie amicizie dimenticando valori come lealtà e giustizia.
- Choi Dong-Hoon, Assassination, Well Go USA, 2015 (home video).
- Jang Hoon, A Taxi Driver, Panorama Corporation, 2017 (home video).